Si scaldano i motori per la prima edizione di Paving Show & Congress, la fiera dedicata alle pavimentazioni stradali e spin-off dello storico SaMoTer (il Salone internazionale sulle macchine per costruzioni in programma dal 6 al 9 maggio 2026).La cornice dell’evento è sempre Veronafiere, le date dal 12 al 13 marzo 2025.
«La formula individuata per il Paving Show è quella della mostra-convegno, riservata agli operatori del settore delle pavimentazioni stradali per garantire un elevato tasso di specializzazione agli addetti ai lavori, agli ordini professionali e agli stakeholder, oggi alle prese con le nuove sfide della mobilità sostenibile, della sicurezza stradale e di infrastrutture sempre più smart», afferma il direttore generale, Adolfo Rebughini.
«Paving Show & Congress vuole essere un momento di confronto fra costruttori, fornitori, operatori e utenti del settore dell’industria delle pavimentazioni stradali, alle prese con una fase di transizione verso politiche green e con la necessità di stare al passo con l’innovazione e di sfruttare le opportunità che l’Intelligenza Artificiale può offrire per una gestione più razionale e per migliorare la sicurezza del settore».
Manutenzione stradale
Oltre all’esposizione dedicata alle attrezzature, alle tecnologie e ai servizi per le pavimentazioni stradali, Paving Show offrirà un ricco calendario di eventi in collaborazione con aziende del settore e partner istituzionali come Anas, Ance, Anepla, Unacea, Assodimi-Assonolo, Unem e Cece.
Proprio Cece (il Comitato europeo per le attrezzature da costruzione) presenterà al Paving Show il progetto europeo InfraRob, finanziato dall’Unione europea per automatizzare tanti interventi di manutenzione stradale che attualmente causano problemi al traffico e sono fonte potenziale di incidenti per i lavoratori.
Tanti i temi che saranno affrontati durante la manifestazione: dalla sostenibilità all’intelligenza artificiale per la progettazione e gestione delle strade, dagli aspetti normativi, alle materie prime e attrezzature.
In ogni giornata dell’evento sarà realizzata una tavola rotonda in collaborazione con le associazioni dedicata agli addetti ai lavori: imprese stradali, progettisti, direttori lavori, sindaci, assessori, uffici tecnici della pubblica amministrazione e società concessionarie autostrade e trafori.
Samoter day
Riflettori accesi anche sul Samoter Day, appuntamento di avvicinamento al Salone di maggio 2026, con la relazione del direttore di Unacea, Luca Nutarelli, che analizzerà il mercato delle macchine per costruzioni in Italia e all’estero.
Dopo un biennio particolarmente brillante per le vendite, trascinate nel 2022-23 da politiche incentivanti come Industria 4.0, il settore delle macchine per costruzioni punta al rilancio, focalizzandosi su innovazione, circolarità del cantiere (anche con strategie a costo zero per le amministrazioni locali) e strategie green che vedono l’Italia protagonista a livello europeo nella raffinazione e in prodotti ormai considerati a tutti gli effetti specialty, come ad esempio il bitume, dove l’impiego di materiale secondo si sta diffondendo rapidamente.
Utilizzando moduli fotovoltaici standard Aiko, Soluxa crea soluzioni colorate e personalizzate che rispettano l’armonia architettonica, sbloccando così un nuovo potenziale solare per applicazioni residenziali, storiche e urbane.
L’adozione della tecnologia fotovoltaica ha spesso incontrato difficoltà a causa di conflitti estetici e restrizioni normative, soprattutto nelle aree con edifici storici protetti e tetti tradizionali in terracotta. I moduli standard neri risultano infatti in contrasto con l’identità architettonica di queste zone, limitando così l’integrazione delle energie rinnovabili.
Soluxa, pioniere nella tecnologia brevettata di rivestimento Vibrant, ha introdotto moduli fotovoltaici colorati ad alta efficienza, consentendo agli edifici storici di adottare l’energia pulita senza compromettere l’estetica.
«Con la tecnologia Vibrant brevettata da Soluxa, siamo in grado di ottenere una vasta gamma di colori intensi con una perdita di energia minima. Grazie all’elevata efficienza dei moduli standard di Aiko, offriamo una soluzione fotovoltaica che si integra perfettamente nell’architettura, senza compromettere le prestazioni», dichiara Lourens van Dijk, fondatore di Soluxa.
I pannelli colorati di Soluxa, basati sui moduli standard Aiko ABC N-Type, offrono una potenza fino a 390 Wp per modulo, garantendo così un’elevata produzione di energia e affidabilità. Soluxa si occupa di tutte le attività post-vendita e della garanzia.
Per le applicazioni residenziali, una recente installazione da 7,5 kWp su un edificio storico protetto nei Paesi Bassi ha evidenziato i vantaggi dei moduli color terracotta di Soluxa. Il sistema ha infatti permesso al proprietario di rispettare le normative estetiche, producendo al contempo energia pulita sufficiente per il consumo quotidiano.
Per gli sviluppi urbani, le facciate solari offrono un’alternativa scalabile e altamente efficiente rispetto alle tradizionali installazioni sui tetti. Un modulo solare colorato, installato su una facciata esposta a sud nei Paesi Bassi, può generare circa 300 kWh all’anno, equivalente a un valore di 90 euro per modulo all’anno.
Inoltre, questi moduli svolgono una doppia funzione: non solo forniscono energia solare, ma fungono anche da materiale di rivestimento, contribuendo a ridurre i costi di costruzione e massimizzare l’efficienza dello spazio.
Nella sede di Pieve di Soligo (Treviso), Eclisse apre un nuovo showroom aziendale con un allestimento che esalta il potenziale estetico e funzionale delle soluzioni per porte scorrevoli, battenti e sistemi di chiusura.
Lo showroom si estende su una superficie complessiva di 600 metri quadrati, di cui 120 dedicati all’area tecnica dove i professionisti possono approfondire la conoscenza dei sistemi attraverso corsi di formazione e sessioni dimostrative.
Protagonista dell’allestimento è Eclisse Syntesis Collection, gamma che permette di integrare ogni elemento architettonico della casa: porte scorrevoli e a battente filomuro, chiusure per nicchie, botole fino al battiscopa.
Il risultato è una continuità visiva e materica che valorizza gli ambienti con un design essenziale e pulito. La possibilità di personalizzare le superfici con pittura o carta da parati consente libertà creativa, adattando ogni soluzione a qualsiasi esigenza di stile e progetto.
L’allestimento dedica particolare attenzione anche alle cabine armadio, con sistemi che includono scaffalature e soluzioni modulari per ottimizzare lo spazio. Le porte a tutta altezza, prive di traverso superiore, valorizzano invece le ampie aperture dal pavimento al soffitto.
Oltre alle superfici materiche e ai sistemi filomuro, è presente una zona dedicata alle porte in vetro e alluminio.
Lo showroom offre anche un’esposizione dedicata ad Eclisse Classic Collection, le soluzioni per porte a scomparsa con stipiti e cornici esterne. Anche qui i prodotti vengono presentati sia nella loro versione finita che in una sezione volutamente incompleta e a vista per mostrare i dettagli costruttivi che fanno la differenza tanto nella posa in opera quanto nella resa estetica finale, offrendo un approfondimento pratico utile sia ai progettisti che agli installatori.
Lo spazio non è solo un punto espositivo, ma un luogo di incontro e confronto aperto ai professionisti del settore e ai privati interessati a scoprire i prodotti Eclisse. La visita è su appuntamento, dal lunedì al venerdì: per prenotare è necessario compilare il form sul sito Eclisse.
D-Vision è un modulo trapezoidale per pavimentazioni esterne che permette disegni di posa inusuali, rendendo distintiva ogni realizzazione. Garantisce inoltre sicurezza, prestazioni elevate e il rispetto dei principali protocolli ambientali.
Novità Bagattiniper il 2025: D-Vision rappresenta un cambio di prospettiva che dona personalità e distintività agli spazi esterni.
Grazie a un unico modulo brevettato è possibile personalizzare la pavimentazione esterna con varie modalità di abbinamento e di resa del disegno.
Il modulo monoformato agevola inoltre la vendita al pezzo nelle rivendite e l’utilizzo per il fai-da-te.
La lastra D-vision di Bagattini consente di personalizzare camminamenti e pavimentazioni esterne.
D-Vision si abbina a tutte le pavimentazioni esterne della serie BAGAFlame di Bagattini, dalle inconfondibili striature fiammate irregolari, disponibili in dieci formati.
Caratterizzate da eccezionali resistenze ad abrasione e gelo e posabili a secco o a malta, sono le uniche lastre per esterno testate per quattro diverse normative sulla resistenza allo scivolamento, raggiungendo i valori massimi in ogni prova.
Questi prodotti possiedono inoltre un indice di riflettanza solare SRI certificato, che permette di garantire superfici fredde anche se sottoposte al forte irraggiamento solare estivo.
Una caratteristica che, unita all’utilizzo di materiale riciclato in produzione, permette di rispondere alle recenti richieste dei Cam(Criteri Ambientali Minini) e dei principali protocolli ambientali quali Leed, Itaca, Breeam.
Due nuovi associati per Gruppo Made, il network della distribuzione edile italiana guidato da Franco Ferrari. Con l’ingresso di Centro Edilizia Caprioli di Rieti e Nastasi di Torregrotta (Messina), il gruppo conta oggi 225 punti vendita in 18 regioni per un totale di 76 province coperte.
Centro Edilizia Caprioli, Rieti
Presente da oltre cinquant’anni presente sul territorio di Rieti, Centro Edilizia Caprioli dispone di un’offerta ampia e completa che comprende, oltre ai tradizionali prodotti per l’edilizia, anche termoidraulica, ferramenta professionale, vernici, colore e materiale elettrico.
Grazie al servizio di consulenza e di assistenza, Centro Edilizia Caprioli supporta il cliente nelle varie fasi della scelta dei materiali e delle soluzioni costruttive. Una fornita sala mostra di finiture offre inoltre soluzioni per arredobagno, pavimenti e rivestimenti.
Chiara Caprioli
«Siamo entrati in Gruppo Made con il desiderio di avere una marcia in più per affrontare con più serenità e consapevolezza le sfide del mercato. In particolare, i corsi di formazione organizzati dal gruppo ci permetteranno di avere una visione un po’ più ampia di quello che sarà il futuro del settore, con la possibilità, quindi, di aggiornare dove necessario l’impostazione aziendale», afferma Chiara Caprioli, amministratrice dell’azienda.
Nastasi, Torregrotta
L’ingresso della rivendita Nastasi di Torregrotta (Messina) testimonia invece lo sviluppo sostenuto di Gruppo Made in Sicilia.
Guidata da Claudio Nastasi, terza generazione di imprenditori a capo dell’azienda, la rivendita Nastasi da cinquant’anni rappresenta un punto di riferimento nella provincia per la commercializzazione di prodotti siderurgici e materiali per edilizia, con un focus sulla fornitura di ferro per la prefabbricazione e la ristrutturazione di abitazioni civili e grandi opere.
Claudio Nastasi
Da quasi cinque anni, inoltre, Nastasi si occupa anche di offrire consulenza energetica, con la promozione ai suoi clienti di pannelli fotovoltaici, in collaborazione per la parte tecnica e di installazione con una società di Prato.
Per ampliare la propria offerta merceologica, l’azienda ha deciso di riorganizzare i settori dei materiali edili e della ferramenta professionale, scelta che l’ha indotta a entrare in Gruppo Made.
A determinare la decisione anche la possibilità di partecipare ai corsi di formazione professionale dedicati alla cultura d’impresa. Una svolta che sarà supportata dall’ufficio commerciale del gruppo, anche grazie ai nuovi format espositivi presentati di recente a tutti i punti vendita aderenti.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 28765 del 7 novembre 2024, ha affermato che quando, dopo la compravendita, il proprietario di un immobile scopra che sul bene vi sono degli abusi edilizi, l’eliminazione degli abusi stessi non riporta il bene al valore originariamente convenuto, sicché il compratore ha diritto sia al rimborso spese, sia all’importo pari alla diminuzione di valore.
Secondo la Corte, le spese sostenute dall’acquirente per eliminare gli abusi non possono compensare la riduzione di valore dell’immobile, poiché gli esborsi effettuati servono solo a rimuovere i manufatti abusivi il cui valore, invece, è stato considerato dalle parti nella determinazione del prezzo in origine convenuto, con la precisazione che la loro eliminazione non riporta il bene al valore originariamente stabilito tra i contraenti che, anzi, rimane deprezzato.
Il rimborso delle spese occorrenti per l’eliminazione dell’abuso non può, dunque, considerarsi ricompreso nell’importo riconosciuto a titolo di deprezzamento dell’immobile: le spese per l’eliminazione degli abusi non possono compensare la riduzione del valore dell’immobile abusivo compravenduto, poiché i suddetti esborsi valgono solo a eliminare i manufatti abusivi.
Il valore di tali manufatti era stato considerato all’epoca della determinazione del prezzo di vendita dell’immobile, quando il compratore ancora non sapeva della loro illiceità.
Una volta che il compratore ha eliminato gli abusi, sopportando le relative spese, l’immobile non ha più il valore che, in origine, le parti avevano determinato, ma resta deprezzato, essendo stata eliminata una sua componente costitutiva, ossia quella abusiva.
Per questa ragione è cumulabile il rimborso per le spese sostenute con gli importi riconosciuti a titolo di riduzione del prezzo.
Organizzato presso Ruote da Sogno, a Reggio Emilia, il RockOut Meeting di Eternoo ha ospitato la forza vendita e il management del distributore, offrendo un’opportunità di riflessione e una dichiarazione d’intenti futuri, per abbracciare il cambiamento.
Il nome “RockOut Meeting” trae ispirazione da un ricordo di Federico Nessi, amministratore delegato di Eternoo: una sveglia JBL, che 15 anni fa lo esortava con il motto “Wake Up. Rock Out”, a “svegliarsi e scatenarsi”.
Federico Nessi
Il cuore dell’evento è stato il decalogo dei valori di Eternoo, emerso dal recente rebranding e simboleggiato dal nuovo logo. Curiosità, lealtà e umiltà sono i primi tre valori del decalogo e sono stati il filo conduttore dell’intera giornata.
Ospiti e sponsor hanno avuto l’opportunità di condividere non solo la loro visione imprenditoriale, ma anche il loro percorso umano, a partire da Federico Nessi, che ha raccontato il suo percorso, intrecciando la sua storia di sogni e sfide con quella di Eternoo.
Il cuore del cambiamento non risiede solo nel miglioramento dei processi tradizionali, ma nella spinta continua verso l’innovazione tecnologica e l’adozione di nuove soluzioni digitali.
L’amministratore delegato Federico Nessi con il padre Franco Nessi e la sorella Caterina Nessi, direttrice generale Eternoo
L’evento ha visto la partecipazione di partner industriali, come Copernit, Fischer Italia, Heidelberg Materials, Knauf, Rabbiplast, T2D e Xella.
La giornata è stata arricchita da ospiti di rilievo che hanno condiviso le loro esperienze e visioni. Mauro Grassilli, Sporting Director di Ducati Corse, ha parlato della sua passione; Raffaella Pannuti, Presidente della Fondazione ANT Italia Onlus, ha sottolineato l’importanza della solidarietà e dell’impegno sociale; Luigi Ranieri, co-founder di Bonsay, ha guidato i partecipanti in un’esperienza motivazionale di profonda introspezione; Marco Squinzi e Veronica Squinzi, Amministratori Delegati Gruppo Mapei, hanno condiviso la loro storia di crescita, mettendo in luce come il valore della famiglia; infine, Andrea Barzagli, ex calciatore della Nazionale Italiana e della Juventus, oggi imprenditore, ha offerto una riflessione sulla resilienza e sullo spirito di squadra.
Mantenere una certa coerenza nella rivendita edile in un mondo che cambia comincia a essere un lavoro complicato. Dopo decenni di faticosa crescita, anche per distinguersi, la tentazione di lasciarsi affascinare dal nuovo finto appare sempre più forte. Ma certi valori della rivendita edile non dovrebbero essere messi sul mercato dell’innaturale.
Forse sarete d’accordo con me che i valori veri di una rivendita edile, per intenderci quelli da preservare e cercare di migliorare, sono la sua storicità (quindi la sua oggettiva diversità), la sua competenza (quindi il suo contributo di esperienza), la sua crescita intellettuale (quindi la sua capacità di selezionare e offrire innovazione), la sua empatia (quindi l’abilità di relazionarsi con il cliente).
Si tratta di concetti che dovrebbero essere ormai assodati, non se ne dovrebbe più nemmeno parlare, ma il mondo sta cambiando e l’invasione dell’intelligenza artificiale, con la sua promessa neanche tanto velata di appiattimento cerebrale che porta con sé, potrebbe affascinare i più pigri: perché perdere tempo a pensare se c’è qualcuno che può farlo per te? Magari anche meglio, sicuramente più velocemente?
Ecco allora che i valori qui sopra elencati, ancora autentici e veri, cominciano ad assumere oggi una valenza rivoluzionaria.
L’identità della distribuzione edile all’interno della filiera delle costruzioni è sempre stata messa a dura prova.
Per decenni considerati un inutile passaggio in più, giusto buono per far lievitare i costi dei prodotti, gli imprenditori della distribuzione edile si sono dovuti reinventare come fornitori di servizi, per aggiungere valore al semplice prodotto e anche per avere una identità più marcata e distinguibile, per dare un significato apprezzabile alla loro presenza nel mercato.
Costruzione della competenza, crescita tecnica, miglioramento della relazione con il cliente (meglio: i clienti, non ce n’è più solo un tipo) sono costati per molti sangue sudore e lacrime, soprattutto quando si doveva decidere se provare a crescere oppure no, se investire o aspettare tempi migliori che magari non sarebbero nemmeno mai arrivati.
Tutto questo lavoro non è certo andato sprecato. Seppur fra tante difficoltà, oggi un punto vendita di materiali edili organizzato, che sa quel che vende e che sa anche consigliare in modo pertinente, da passaggio in più è diventato un passaggio necessario. Non solo per i suoi clienti, ma anche per i fornitori.
Quindi, dopo questa bella rivincita morale la questione dell’identità e dell’adeguatezza di un’azienda all’interno della succitata filiera delle costruzioni potrebbe essere rivolta ad artigiani, imprese edili e in parte anche al mondo della produzione. Questi interlocutori sono certi di essere cresciuti in modo altrettanto convincente?
Ovviamente non si può generalizzare, le eccellenze esistono in tutti i comparti produttivi, ma è indubbio che il successo della distribuzione edile nazionale sia anche dovuto al fatto che esistono artigiani, imprese e anche parte della produzione che, almeno per il momento, non hanno saputo fare passi avanti, rimanendo ancorati a principi commerciali inadeguati al nuovo mercato.
Allo stesso modo, non tutta la distribuzione edile è oggi in grado di competere con armi che non siano il prezzo, sempre che il prezzo possa essere considerato un valore coerente per competere, ed è un discorso che riguarda anche la produzione.
Se la filiera delle costruzioni ha bisogno di una identità marcata per essere credibile e affidabile, la crescita dovrebbe riguardare tutti i suoi protagonisti, chi più chi meno, ma tutti. Inutile dire che così non è, da sempre.
Per questo è forse il caso di sottolineare che i valori espressi all’inizio di queste note hanno di bello che non sono punti di arrivo ma eterni work in progress, ovvero peculiarità che hanno bisogno di un monitoraggio e di una attenzione seri e costanti.
E di bello hanno anche sono il risultato di impegno e sacrificio, la loro solidità arriva anche dalla moltitudine di errori e di ravvedimenti che si sono sviluppati negli anni. Insomma, una bellissima storia di umanità, con tutti i suoi fallimenti e i suoi successi.
Ma nel mondo che ci aspetta, quello che pensiamo di costruire e che invece stiamo più o meno coscientemente subendo, ci sarà ancora spazio per questi romantici valori? Servirà ancora, domani, avere una identità precisa e differente da altre, avrà ancora un senso cercare di distinguersi, di essere migliori?
Come ricordo sempre, il nostro è un mondo pragmatico, ma anche molto fragile. Le scorciatoie, per esempio delegare a un programma i pensieri, come sceglierli e come esprimerli, potrebbero diventare una povera e sgradevole alternativa all’identità così duramente conquistata.
La carenza di alloggi e il costo degli affitti a Milano, ma anche nel resto d’Italia, è un’emergenza. Per risolverla c’è anche chi ha presentato un Piano Casa per realizzare 10 mila appartamenti. Basterà?
A novembre, ultimi dati disponibili secondo Immobiliare.it, il prezzo di un alloggio a Milano oscillava tra 3 mila e 11 mila euro al metro quadrato, con punte di oltre 20 mila per gli appartamenti nelle zone più esclusive.
E nell’analisi di Abitare Co. il prezzo di acquisto nel capoluogo lombardo supera in media i 4.700 euro al metro quadrato per l’usato (+42,4% sul 2019) e 7.690 euro per il nuovo (+48.1% sul 2019).
Sempre a novembre scorso, per l’affitto sono stati richiesti in media 22,47 euro al mese per metro quadrato, con un aumento dello 0,18% rispetto a dicembre 2023.
Quindi, in sostanza, sempre in media, affittare un appartamento di 100 metri quadrati costa 2.247 euro al mese. Ovvio che il calcolo comprende cifre molto più basse per un trilocale in periferia, rispetto al corrispettivo in zone come Brera o Magenta.
Ma si tratta pur sempre di affitti ampiamente al di sopra delle possibilità della maggioranza delle persone, dato che un monolocale si trova a non meno di 800 euro al mese.
Prezzi alti
La richiesta di case a prezzi compatibili con il reddito, che si tratti di acquisto (e, quindi, con un mutuo da accendere) oppure di locazione, non è peraltro una prerogativa di Milano, anche se nella città lombarda il problema raggiunge l’apice (come abbiamo scritto nell’inchiesta pubblicata sul numero dello scorso luglio-agosto di YouTrade).
Sotto la Madonnina, così come in altri centri italiani, come Roma e Firenze, una buona parte delle case sfitte sono in realtà adibite alle locazioni turistiche, con gli affitti brevi o brevissimi che sono una fonte di reddito per i proprietari, ma che tendono a trasformare le città in luna park per visitatori occasionali, mentre gli abitanti sono spinti sempre più spesso a traslocare a parecchi chilometri di distanza.
Dal 2006 al 2023 a Milano è stato consumato suolo per 302,67 ettari, eppure solo due anni fa più di 15.400 residenti milanesi si sono trasferiti in provincia (+9,7% sul 2019).
Insomma, per le grandi città urge un piano casa, per realizzare nuove abitazioni da mettere in vendita o in affitto a prezzi commisurati al reddito degli italiani, ma anche degli stranieri che vivono in pianta stabile in Italia: sono circa il 9% della popolazione.
Milano skyline
Blocco dei cantieri
A Milano, per esempio, la richiesta di nuove abitazioni ha spinto una grande attività edilizia. Nuovi edifici sono sorti sulle macerie di vecchie costruzioni. Un’attività che ha spinto la magistratura a bloccare tutto (circa 12 miliardi di lavori) a causa della differente interpretazione della normativa che riguarda i permessi.
Per riassumere: il Comune di Milano ha dato il via libera alla ricostruzione secondo la prassi abituale, mai contestata, adottata secondo le regole della Regione Lombardia e in uso da una decina d’anni senza che nessuno avesse nulla da obiettare.
La magistratura, però, non ha considerato sufficiente questo punto di vista e ha messo i sigilli ai cantieri.
L’accusa è di aver permesso cantieri per la costruzione di grattacieli con il solo strumento dell’autodichiarazione, con una Scia, senza chiedere un piano attuativo più complesso. Risultato: cantieri fermi,
200 pratiche edilizie bloccate, un danno economico per imprese e acquirenti. E un pasticcio da sanare solo attraverso un apposito e contestato provvedimento legislativo, il cosiddetto Salvamilano, arenato in Parlamento dopo gli avvisi di garanzia nei confronti di alcuni dirigenti del Comune. In ogni caso, la sanatoria non sarebbe sufficiente a soddisfare la richiesta di alloggi.
Piano Casa Milano
Che fare, dunque? La soluzione più semplice, a Milano come altrove, è costruire nuovi edifici, ripristinare abitazioni da riqualificare, rigenerare interi quartieri. E, a sorpresa, qualcosa si muove.
Le novità arrivano proprio dal capoluogo lombardo, forse anche sull’onda del blocco dei cantieri, oltre che per la necessità di non svuotare la città dai suoi abitanti, e renderla disponibile solo a chi ha redditi alti, ricchi stranieri e turisti.
L’amministrazione comunale ha quindi messo a punto un piano casa che offre spunti interessanti di riflessione.
Insomma, a prescindere dagli aspetti che riguardano il dibattito politico, spesso capzioso, sembra interessante considerare nel dettaglio l’iniziativa che, con le opportune modifiche, potrebbe essere scalata su altre realtà italiane.
E, in ogni caso, il piano è interessante per chi con l’edilizia commercia, per i progettisti, oltre che per le imprese di costruzione.
Il piano casa meneghino può essere preso in esame come tentativo di mettere una pezza al problema. Prevede un focus immediato su quattro quartieri: Porto di Mare, via Sant’Elia (Palasharp), via San Romanello e via Demostene.
Su queste aree sono in programma un totale di 174 mila metri quadrati da edificare per 2 mila appartamenti, con un investimento complessivamente tra i 300 e i 400 milioni.
Questo primo passo avrà tempi di costruzione dai due ai cinque anni. Ma è solo l’inizio. Secondo i piani, ci sono altre 17 aree interessate da un programma che comprende i prossimi dieci anni.
In tutto è prevista, con notevole ottimismo, la realizzazione di 10 mila case (6.500 a Milano e 3.500 nell’hinterland) da mettere sul mercato con affitto calmierato, per una cifra annua di 80 euro a metro quadrato, cioè meno della metà del canone medio attuale.
Prevista anche la riqualificazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: in città ci sono 16.400 case popolari sfitte.
Per riuscire nell’intento il Comune sta cercando le risorse per manutenzione e ristrutturazione.
La filosofia del piano casa, in ogni caso, è chiara: il Comune mette a disposizione una parte del patrimonio immobiliare per costruire alloggi destinati al ceto medio in difficoltà e bilanciare così la costruzione esclusiva di case di lusso.
Scadenza a 90 anni
Innovativa anche la formula, già adottata in altri paesi come la Svizzera: le aree sono rese disponibili per 90 anni ai privati che costruiscono, poi torneranno in mano pubblica. Facendo due conti non è una prospettiva da buttare via.
Il business plan, inoltre, prevede una rigenerazione urbana con la realizzazione di servizi pubblici, aree verdi e strade.
Secondo le previsioni, a essere interessate al piano casa sono prevalentemente le cooperative, tra cui in particolare le più grandi di Milano, come Uniabita, Abitare, Lum.
«Questo Piano casa, concreto e in grado di rispondere ai problemi delle persone, è finalmente una vera scelta politica», ha commentato a caldo Pierpaolo Forello, presidente di Uniabita.
Alloggi a canone calmierato
La Cooperativa sociale IlMelograno, invece, ha raccolto l’invito di riqualificare gli alloggi sfitti: si prenderà in carico, gradualmente, circa 120 appartamenti da ristrutturare e poi assegnare a prezzi bassi.
L’iniziativa fa parte del progetto del Comune di un bando per 270 immobili disponibili sparsi per la città, vinto da Atm, A2A e Il Melograno, per offrire alloggi a canone calmierato a lavoratori che con il loro stipendio non possono permettersi di vivere a Milano.
L’iniziativa comprende, per esempio, l’accordo sottoscritto con Atm, l’azienda di trasporti municipale, per 30 alloggi popolari da ristrutturare e mettere in affitto ai dipendenti. Per i prossimi 12 anni, in cui Atm progetterà e realizzerà a proprie spese interventi di adeguamento edilizio e impiantistico.
Terminata la ristrutturazione, l’azienda metterà gli appartamenti a disposizione dei dipendenti con canoni calmierati, soprattutto assunti da meno di due anni, in possesso di specifici requisiti, tra cui Isee non superiore ai 26 mila euro.
Aziende municipali
Inoltre, a inizio dicembre il Comune ha siglato un accordo simile con A2A, l’azienda energetica, per assegnare altre 30 unità abitative sfitte situate nei Municipi 2, 3 e 4 da rinnovare e mettere in locazione a dipendenti di Amsa (la municipalizzata che gestisce i rifiuti) e Unareti.
Secondo quanto comunicato, per esempio, l’accordo consentirà a un dipendente di Unareti di affittare un trilocale di 80 metri quadrati spendendo circa 480 euro al mese (più le spese), cifra che corrisponde a meno della metà del prezzo di mercato.
Sulla stessa lunghezza d’onda è la proposta chiamata Una casa per i giovani, avanzata da Edison.
Si tratta di un piano rivolto ai propri neolaureati che non hanno un alloggio diverso da quello della propria famiglia.
A loro il gruppo energetico offre la possibilità di affittare un bilocale arredato, in una zona che si trova entro mezz’ora dalla sede di lavoro e collegato con mezzi pubblici.
Certo, si tratta di iniziative di impatto limitato, ma che possono essere un esempio di come le amministrazioni locali e le aziende con patrimonio immobiliare, se vogliono, possono fare di più.
Il settore piastrelle ceramiche, uno dei fiori all’occhiello della produzione italiana, è nella tenaglia di un sistema regolatorio che non funziona, del costo dell’energia e dell’import extra Ue. E ora c’è l’incubo dazi.
«Il preconsuntivo per l’anno 2024 mostra una crescita del 2% delle vendite complessive di piastrelle e lastre ceramiche espresse in volume, principalmente spiegata dalle esportazioni, in quanto l’Italia è praticamente ferma sui livelli dell’anno precedente.
I mercati che hanno meglio performato in quantità sono quelli extra europei, a partire da Nord America e Golfo, mentre la congiuntura su quelli comunitari ha registrato flessioni, marcate in Francia e Germania.
Non abbiamo a oggi il dato sui fatturati, ma se la dinamica registrata nei primi nove mesi proseguirà, ci aspettiamo un calo», aveva anticipato a YouTrade Augusto Ciarrocchi, presidente di Confindustria Ceramica.
Augusto Ciarrocchi
La previsione per il 2025 potrebbe rivelarsi anche più severa per una delle industrie cardine del sistema industriale italiano, che dovrà vedersela anche con il rincaro dell’energia e l’incubo dei dazi minacciati da Donald Trump.
Ma non solo. Resta sul tappeto anche la revisione sistema Ets, Bref Ceramico e il contrasto alla concorrenza sleale dei prodotti extra Ue, decisive per la competitività dell’industria ceramica nazionale.
Il sistema Ets e il Bref Ceramico: cosa sono?
Il sistema Ets (Emission trading scheme) è un commercio delle emissioni progettato per chi emette anidride carbonica (Co2) e altri gas serra.
Le Bref (Best Available Techniques Reference Documents), invece, sono relazioni di riferimento elaborate nell’Unione Europea per descrivere i processi industriali, i livelli di emissione e di consumo delle tecniche applicate e le migliori tecniche disponibili per la prevenzione e il controllo integrati dell’inquinamento che deriva dalle attività industriali.
Due aspetti su cui Confindustria Ceramica è molto critica. La domanda di ceramica, ha fatto sapere l’associazione confindustriale, ha registrato andamenti diversificati sui mercati esteri e sostanziale stabilità sul mercato domestico.
Ora, però, «la competitività futura dell’industria ceramica italiana dipenderà da decisioni fondamentali in sede europea, quali il Clean Industrial Act, la revisione del sistema Ets sulle emissioni di Co2, quelle del Bref Ceramico sulle migliori tecniche disponibili e dalle iniziative di contrasto alla concorrenza internazionale sleale».
Industria ceramica italiana: i numeri 2024
Il bilancio del 2024 per il settore, in ogni caso, presenta luci e ombre: l’industria italiana delle piastrelle di ceramica ha terminato l’anno passato con un lieve incremento dei volumi di vendita, ma anche con una contrazione della produzione.
Il preconsuntivo 2024 elaborato da Prometeia evidenzia per l’industria italiana delle piastrelle di ceramica un lieve incremento, con volumi di vendite intorno ai 376 milioni di metri quadrati (+1,9% rispetto al 2023), derivanti da esportazioni nell’ordine di 291 milioni di metri quadrati (+2,4%) e vendite sul mercato domestico prossime agli 85 milioni di metri quadrati (+0,3%).
A fronte di dinamiche complessivamente stagnanti sui mercati europei, recuperano le vendite in Nord America e Asia.
Rispetto ai dati pre-pandemici, la flessione dei volumi è nell’ordine di -7,5%. Il dato di preconsuntivo della produzione è stimato in contrazione del -2%.
Il nodo decarbonizzazione
«Il contesto competitivo nel quale le nostre aziende sono chiamate a operare sarà determinato da decisioni di straordinaria importanza che l’Europa prenderà nei prossimi mesi, per le quali chiediamo il supporto ed il sostegno di tutte le istituzioni nazionali ed europee», ha commentato Ciarrocchi in occasione della presentazione dei dati.
«Siamo a favore di una decarbonizzazione pragmatica, che avvenga in tempi adeguati alle tecnologie realmente disponibili, evitando però di continuare a penalizzare la nostra industria che, grazie ai rilevanti investimenti fatti nel corso degli anni, ha già avviato percorsi con riduzione nelle emissioni che non hanno pari nel contesto internazionale.
È essenziale che nella definizione delle norme in tema ambientale si abbandoni l’approccio ideologico fin qui seguito, che definisce aprioristicamente il traguardo ed i tempi, senza considerare quali siano i possibili percorsi da intraprendere per arrivare al risultato».
Co2, le emissioni italiane
Revisione del sistema Ets
L’industria ceramica italiana, ha specificato un comunicato ufficiale dell’associazione, considera fondamentale e urgente la revisione del sistema Ets, dove la speculazione trasferisce in modo assurdo risorse dall’economia reale alla finanza e dove l’assenza di alternative tecnologiche trasforma l’obbligo di acquisto di quote di CO2 in una tassa sulla produzione.
Il commercio delle emissioni di carbonio (Ets) ha l’obiettivo di limitare il cambiamento climatico creando un mercato con quote limitate per le emissioni.
Il commercio delle emissioni di carbonio è un metodo comune che i Paesi usano per tentare di rispettare i loro impegni nell’ambito dell’accordo di Parigi, con schemi operativi in Cina, nell’Unione Europea, mentre la nuova amministrazione Usa ha stracciato gli impegni presi e si è tirata fuori.
Il commercio delle emissioni stabilisce un limite quantitativo totale alle emissioni prodotte da tutti gli emettitori partecipanti, che determina di conseguenza i prezzi delle emissioni.
Il problema è che, come avviene in Borsa, su questo trading si innesca anche una componente speculativa.
Con il commercio delle emissioni, in ogni caso, un’industria energivora che emette più CO2 della sua quota deve acquistare il diritto di consumare di più e acquista questo diritto dalle imprese con meno emissioni.
Le quote di scambio delle emissioni coprono un’ampia fascia di prezzo, che varia secondo i momenti. Per esempio, può andare da 12,7 euro per tonnellata di CO2 nel sistema nazionale di scambio delle quote di carbonio della Cina per salire a 77 euro per tonnellata di CO2 nell’Eu-Ets (prezzo a fine gennaio 2025): una disparità evidente, considerando anche che Pechino è responsabile di buona parte delle emissioni globali.
Anche altri gas serra possono essere oggetto di trading, ma vengono indicati come multipli standard dell’anidride carbonica in relazione al loro potenziale di riscaldamento.
Energia e concorrenza
Un sistema che penalizza anche la cogenerazione, la tecnologia che presenta i maggiori livelli di efficienza energetica a parità di energia primaria utilizzata.
Inoltre, secondo Confindustria, le bozze del Bref Ceramico, ovvero delle nuove norme che individueranno le migliori tecniche disponibili e i limiti ad esse associate, «registrano limiti incomprensibilmente bassi, il cui rispetto appare tecnicamente impossibile e dove nessuna valutazione economica è stata svolta per identificarne l’effettiva sostenibilità, una condizione invece richiamata espressamente dalla nuova direttiva sulle Emissioni Industriali 2.0».
Anche perché, dicono con ragione gli industriali, il problema dei prezzi di gas metano ed energia elettrica in Italia, molto più alti sia rispetto a quelli dei concorrenti internazionali che degli altri Paesi europei, va risolto con il completamento del mercato unico dell’energia, in grado di evitare troppe disparità continentali e di costruire un campo di regole e di aiuti per le imprese realmente armonizzato.
C’è, poi, il problema del commercio internazionale, che presenta forti criticità. L’Europa registra crescenti importazioni di ceramica a basso costo dall’India, provenienti da fabbriche con discutibili (o, meglio, discutibilissimi) livelli di tutela dei lavoratori e dell’ambiente.
«Abbiamo bisogno di politiche e strumenti di difesa commerciale adeguati ed è indispensabile alzare significativamente i dazi antidumping all’import di piastrelle indiane e delle stoviglie cinesi», protestano gli imprenditori per bocca dell’associazione.
«Se la tutela del consumatore ed il rispetto delle sue scelte è un caposaldo dell’essere cittadini dell’Europa, allora non si capisce la ragione per cui l’Europa non abbia già approvato il made in, ovvero l’obbligatorietà dell’indicazione di origine dei prodotti.
Una misura in grado anche di combattere efficacemente le distorsioni derivanti dall’italian sound, recuperando rilevanti introiti per le produzioni fatte nel nostro Paese».
Incubo trumpiano
Come se non bastasse, i rischi di rialzo di dazi e tariffe all’import negli Stati Uniti generano preoccupazione per un settore campione di export come è la ceramica italiana.
Una criticità resa ancora più marcata dalla concomitanza tra i possibili minori flussi di ceramica italiana venduti oltremare che si sommerebbero alle decisioni di altri Paesi esportatori verso gli Usa i quali, trovando questo mercato chiuso, potrebbero dirottare proprio in Europa la loro sovrapproduzione.
«Come ceramica italiana siamo certi, con l’appoggio delle nostre istituzioni, di poter affrontare qualsiasi discussione e negoziato consapevoli della qualità dei nostri prodotti e del livello dei nostri prezzi di vendita, in media doppi rispetto a quelli della concorrenza presente sul mercato statunitense», spiegano in Confindustria Ceramica.
Infrastrutture
Infine, un altro fondamentale fattore di competitività sono anche le infrastrutture al servizio dei distretti della ceramica emiliani, romagnoli e laziali.
In particolare, la Bretella Campogalliano Sassuolo è attesa nei primi mesi dell’anno ad alcuni passaggi fondamentali, quali l’approvazione del bando per la realizzazione del project financing complessivo di tutte le opere di ammodernamento relative all’intera A22 del Brennero, alla Cispadana ed alla Bretella Campogalliano Sassuolo.
Ma in questo caso Bruxelles o Washington non sono i colpevoli: l’invito va rivolto a Roma.
Firmata dall’architetto Alaa Negm, Villa Labriola a Corsico (Milano) è la prima villa in Italia realizzata quasi totalmente in Dekton by Cosentino, una miscela sofisticata di vetro, materiali porcellanati ricavati da oltre 20 minerali naturali e materiali riciclati, che compongono una superficie ultracompatta declinata in lastre di grande formato fino a 320×144 centimetri.
Villa Labriola a Corsico (Milano)
Le lastre Dekton
Le lastre di Cosentino sono protagoniste anche dell’ambiente bagno della villa. Al primo piano, dove sono presenti due bagni, Dekton è stato utilizzato in due modalità differenti: superfici marmorizzate Onirika Neural, caratterizzate da sottili venature scure su fondo bianco, nel primo; Pietra Kode Sabbia, che ricodificano fedelmente il colore e la texture del travertino, nel secondo.
Lavabo in Onirika Neural
Il bagno padronale al secondo piano, invece, ha lavabo, rivestimento parete e pavimento in Marmorio.
La collezione Pietra Kode Travertine nei colori Sabbia e Marmorio è ripresa anche all’esterno per le mura di cinta, la cucina e il bagno turco.
Collezione Pietra Kode nei colori sabbia, marmorio e travertine.
Le applicazioni
Dekton by Cosentino permette una vasta gamma di applicazioni outdoor e indoor, grazie anche all’ampia disponibilità di spessori: 0,4 – 0,8 – 1,2 – 2 e 3 centimetri.
A impatto zero, nel 2020, ha ottenuto la certificazione Carbon Neutral per l’intera gamma di colori, distinguendosi come l’unica superficie a zero emissioni di carbonio.
Tutti i colori Dekton incorporano dal 15 all’85% di materiali riciclati dal processo di produzione del prodotto. Il marchio offre inoltre una garanzia di 25 anni.
Anche in facciata
Le collezioni Dekton sono state utilizzate per tutte le superfici di Villa Labriola. In facciata le lastre Laurent, di un intenso sfondo marrone attraversato da venature dorate, sono contrapposte alla tonalità chiara delle lastre Kraftizen Nacre, utilizzate per pavimentazione esterna, patio, piscina e terrazze.
La pavimentazione in Nacre, in soluzione di continuità visiva prosegue all’interno in alcuni ambienti del basement come l’ingresso, il living, la cucina e il bagno.
«La versatilità delle superfici Dekton ha permesso di creare grandi superfici senza giunture, garantendo una continuità visiva che amplifica la percezione dello spazio», commenta l’architetto Alaa Negm.
«Inoltre, le proprietà tecniche delle lastre assicurano che la villa mantenga la sua bellezza estetica nel tempo, anche negli spazi esterni, dove materiali meno resistenti potrebbero deteriorarsi.
Infine, la sostenibilità del prodotto e del processo produttivo riflette il nostro impegno verso l’architettura sostenibile e responsabile».
Resistenza
Oltre a rispondere ai requisiti di sostenibilità, qualità, durata e design in ogni applicazione, le lastre Dekton sono risultate la scelta vincente in particolare in bagno e in cucina grazie all’elevata resistenza alle macchie, ai graffi, al calore e ai prodotti chimici aggressivi.
In outdoor assicurano inoltre resistenza ai raggi Uv, pioggia, temperature estreme e gelo.
In più la bassissima porosità delle superfici e l’elevata resistenza all’idrolisi e agli shock termici ne fanno il rivestimento ideale anche per la piscina e l’area spa.
È un design improntato sulla sottrazione quello di Plate, il nuovo radiatore di Deltacalor, dalle linee essenziali e dalla personalità decisa, espressione di un processo creativo che mira a raggiungere la purezza formale.
Plate di Deltacalor
Razionale nelle linee e nel concept, Plate riesce a condensare in pochi tratti netti funzionalità e rigore geo-metrico. Elemento squadrato di forma rettangolare, dallo spessore estremamente sottile, Plate si adatta a ogni ambiente domestico e a ogni stile, con eleganza e discrezione.
Raffinato e formale, disponibile in due versioni
Parte della collezione Warm, Plate ne esprime a pieno i principi, ovvero la ricerca di raffinatezza formale attraverso prodotti capaci di emozionare per l’elevato impatto scenografico e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia.
In questo senso, la linea Warm è una chiara espressione dell’eccellenza del Made in Italy alla base della filosofia Deltacalor, che si ritrova in ogni aspetto progettuale: dalla scelta delle materie prime fino alla lavorazione e alle esclusive finiture cromatiche e tattili.
Plate è una piastra radiante tecnologicamente evoluta disponibile in due versioni, a seconda del tipo di alimentazione: idraulica o elettrica.
Plate Electric Plus
In particolare, la versione Plate Electric Plus è completa di cronotermostato ambiente caratterizzato da un’interfaccia con schermo LCD retroilluminato, attraverso la quale è possibile impostare un programma di accensioni su base settimanale, impostando il livello di calore desiderato a seconda dei propri ritmi e delle proprie esigenze.
Il sistema include nove programmi preimpostati e quattro programmi personalizzati.
Il termostato di Plate
In un’ottica di attenzione al risparmio energetico, il sistema integra anche la funzione di rilevatore di finestra aperta, che si attiva allo scendere improvviso della temperatura interrompendo il riscaldamento ed evitando così inutili consumi energetici.
Inoltre, è dotato di un sistema di blocco comando che impedisce che le impostazioni di riscaldamento possano essere inavvertitamente modificate o dai bambini di casa.
Plate di Deltacalor
Grazie a queste accortezze, Plate Electric Plus risponde pienamente alla direttiva europea EcoDesign che mira a ridurre il consumo di radiatori elettrici eliminando dispositivi con insufficiente capacità energetica e inutili consumi.
Estremamente versatile, il radiatore Plate è disponibile oltre che nella versione singola, sia verticale sia orizzontale sotto finestra, nella versione doppia per aumentare la capacità riscaldante pur mantenendo una larghezza contenuta.
Molteplici le varianti come la versione acciaio lucido effetto specchio, la nuova proposta inox spazzolato e le molteplici finiture e tonalità della cartella colori offerta da Deltacalor, offrendo così la massima flessibilità per adattarsi a diversi spazi e preferenze di arredamento.
Plate effetto specchio
Plate è inoltre disponibile in diverse misure, per adattarsi a vari contesti architettonici.
Questa flessibilità si traduce in un totale di otto combinazioni di potenza e dimensioni, consentendo una scelta accurata in base alle esigenze specifiche dell’ambiente. Per la versione elettrica, sono invece disponibili cinque varianti.
Da sinistra: Daniel Schöniger, Direttore Logistica DCK: Max Jetzfellner, Responsabile Progetto MaxSolar; Florian Schillmeier, Team Avviamento MaxSolar; Torsten Ebel, Responsabile Progetto FV Germania; Denis Dieterich, Responsabile Tecnico DCK
JYSK, catena danese specializzata in arredamento per la casa e il giardino, ha deciso di installare pannelli solari sui tetti dei suoi centri di distribuzione.
Sei centri di distribuzione della catena di arredamento dispongono di pannelli solari sui tetti. Di recente, sono stati installati nei tre centri di distribuzione situati a Kammlach, Homberg e Zarrentin, in Germania. Anche i due centri in costruzione in Spagna e nei Paesi
Bassi saranno dotati di pannelli solari.
«Tutti i nostri nuovi centri di distribuzione saranno costruiti per supportare l’installazione di pannelli solari sui tetti ed è nostro obiettivo chiaro che la maggior parte della nostra energia provenga da fonti rinnovabili. I pannelli solari sono una tecnologia ben collaudata e rappresentano anche un investimento redditizio», afferma Morten Venborg Hansen, Direttore dei Progetti Logistici di JYSK.
A seconda della quantità di luce solare, i pannelli solari possono coprire fino al 30%
del consumo energetico annuo totale dei centri di distribuzione.
Nei centri di distribuzione più datati, come quelli di Uldum (Danimarca) e Nässjö
(Svezia), JYSK sta valutando alternative come pompe di calore e teleriscaldamento,
poiché le strutture dei tetti non sono adatte a supportare pannelli solari.
Da sinistra: Daniel Schöniger, Direttore Logistica DCK; Denis Dieterich, Responsabile Tecnico DCK Davanti: Torsten Ebel, Responsabile Progetto FV Germania. Dietro: Max Jetzfellner, Responsabile Progetto MaxSolar; Florian Schillmeier, Team Avviamento MaxSolar GmbH
Il progetto rientra nel piano di JYSK per ridurre le proprie emissioni di gas serra Scope 1 e 2 del 50,4% entro il 2032, prendendo il 2022 come anno di
riferimento.
«Credo che abbiamo fissato obiettivi ambiziosi e significativi per i prossimi anni in tutto il nostro business, con focus sui nostri clienti, la nostra catena del valore e il nostro ambiente di lavoro per ridurre il nostro impatto climatico. Ogni passo è per garantire la nostra competitività e restare la prima scelta dei clienti nell’ambito dello sleeping e del living», ha dichiarato Rami Jensen.
«Abbiamo già implementato soluzioni accessibili, come illuminazione a LED, sistemi di illuminazione e riscaldamento controllati da sensori nei nostri centri di distribuzione, e continueremo a esplorare e implementare ulteriori iniziative per ridurre il nostro consumo energetico e garantire che l’energia utilizzata provenga da fonti rinnovabili», afferma Morten Venborg Hansen.
Tutti i negozi JYSK sono stati dotati di un nuovo sistema di illuminazione che ha
ridotto il consumo energetico per l’illuminazione di almeno il 25% rispetto a prima.
Specializzato nella costruzione di macchinari per il sollevamento di persone e carichi, il gruppo Haulotte festeggia 40 anni.
Guidata da Pierre Saubot, fondatore, e suo figlio Alexandre Saubot, attuale Ceo, l’azienda sta affrontando grandi trasformazioni per rispondere alle nuove sfide del mercato: dall’elettrificazione e transizione ecologica, adattando le macchine ai nuovi standard ambientali e riducendo l’impronta di carbonio, alla digitalizzazione e intelligenza artificiale per soluzioni di manutenzione da remoto e macchine più intelligenti.
Altro tema chiave è l’ascesa della concorrenza cinese: il mercato globale sta cambiando rapidamente, e per rimanere competitiva l’azienda continua a investire in Ricerca e Sviluppo, con un approccio pragmatico e visionario.
La storia di Haulotte
Nel 1984, Pierre Saubot acquistò l’azienda Pinguely-Haulotte.
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Gru su camion 1930
Pala a vapore 1932
Pala SMF per lavori in galleria 1947
Fabbrica Pinguely Ville Gozet Montlucon verso il 1955
Fabbrica Pinguely Ville Gozet Montlucon verso il 1955
Pala idraulica 1967
Fabbrica Horme La Peronniere verso il 1975
«Ho investito tutti i miei risparmi in questa impresa, in un momento in cui l’industria francese stava attraversando una profonda crisi. Lanciare un’attività industriale con sede in Francia, nel mezzo di una tempesta economica, era oggettivamente irragionevole», ricorda il fondatore che gettò le basi di un’azienda che sarebbe diventata un attore importante nel settore delle piattaforme aeree.
«Ero appassionato di questa attività e conoscevo bene il team, essendo stato il loro concorrente. Con una sana dose di incoscienza semi-giovanile, mi sentivo in grado di affrontare qualsiasi sfida, prevista o imprevista».
Negli anni ’90, Haulotte ha vissuto una fase di espansione. L’IPO (Initial Public Offering, l’offerta di obbligazione azionaria) del 1998 ha segnato una svolta importante, consentendo all’azienda di finanziare il suo sviluppo mantenendo la sua indipendenza.
«Tutti i consigli che ho ricevuto all’epoca erano sulla stessa linea: mantenere la maggioranza delle azioni. Era fondamentale dimostrare che avevamo ancora il controllo e che avevamo una visione a lungo termine», spiega Pierre Saubot.
Questa volontà di preservare l’identità familiare dell’azienda ha guidato anche il passaggio di consegne al figlio Alexandre. Già nel 1999, Pierre pensava alla sua successione: «Mi sono detto che era giunto il momento di assicurare il futuro a lungo termine dell’azienda e di preparare una transizione senza intoppi».
Dopo una carriera progressiva all’interno del gruppo, Alexandre Saubot ha ufficialmente assunto la direzione dell’azienda nel 2004.
«Tutto è stato fatto per consentirmi di assumere gradualmente delle responsabilità. Mio padre mi ha prima messo a capo della finanza, poi ha lasciato che il personale si abituasse a vedermi prendere delle decisioni».
Quando Pierre Saubot ha annunciato ufficialmente il passaggio, ha applicato una regola ferrea: «La sera in cui ho detto ai nostri team che Alexandre era il loro nuovo capo, non ho preso una sola decisione. Non doveva esserci confusione. Questa è la chiave per una transizione di successo».
Questa chiarezza ha permesso all’azienda di continuare il suo sviluppo senza intoppi, mantenendo una linea guida forte e una gestione coerente.
«Ogni manager ha il suo stile. C’è continuità nella nostra visione a lungo termine e nel nostro impegno verso i nostri clienti, ma era importante adattare l’azienda alle nuove realtà del mercato» afferma Alexandre Saubot .
Uno dei maggiori cambiamenti sotto la sua guida è stato il graduale rinnovamento dei team di gestione.
«Molti dei collaboratori più stretti di mio padre sono andati in pensione durante questo periodo. Ciò mi ha permesso di mettere insieme un team allineato con la mia visione e le sfide future», spiega.
«Non si può dire che sia stato facile durante i 20 anni in cui sono stato al timone. Ora è ancora più semplice. E ho una grande ammirazione per il modo in cui, con il vecchio team e con quello nuovo, Alexandre ha padroneggiato le cose. Con la stessa audacia e forse un po’ più di cautela di me. Con l’esperienza che ho acquisito, sono sbalordito da come stanno andando le cose, felicemente sbalordito», dichiara Pierre Saubot.
Pierre Saubot
Haulotte resta fedele alla sua filosofia di indipendenza. Le decisioni non sono dettate dalle fluttuazioni del mercato azionario, ma dal desiderio di garantire una crescita sostenibile. «Un’azienda familiare significa un impegno a lungo termine. Ci consente di innovare, investire e garantire la continuità strategica essenziale in un settore esigente come il nostro», conclude il Ceo.
Meno tasse per tutti? Non proprio: lo scorso anno la pressione fiscale è aumentata in termini nominali del 5,7%, mentre il Pil, sempre in termini nominali, è cresciuto di solo il 2,9%. Risultato: le tasse per imprese e cittadini sono più pesanti e rispetto a tutto quanto l’Italia produce il 42,6% è andato al fisco. Difficile che nel 2025 vada meglio. E dire che diminuire le tasse era al primo posto degli obiettivi del governo. Contrariamente a quanto la pancia suggerisce, però, non bisogna dimenticare che il vero problema non è l’aumento delle tasse. D’accordo, a tutti piace pagarne meno, anzi, non versarne affatto. Ma il punto è un altro: dipende tutto da come si spendono i soldi pubblici. I soldi incassati da Irpef, Ilor, Iva, Imu eccetera sono impiegati in modo razionale? La sanità funziona? I treni sono sufficienti, funzionano e arrivano in orario (chiedere ai pendolari). Le forze dell’ordine, che in Italia sono molto più consistenti rispetto a Francia e Germania, tengono sotto controllo la criminalità? Rispondete voi. Valutare la pressione fiscale senza tener conto di quello che produce, insomma, ha poco senso.
Anche perché lo Stato italiano spende più o meno come gli altri. Secondo Eurostat, l’ente statistico europeo (un organismo tecnico, non politico), la media Ue di spesa pubblica è del 47%. In Italia (dati 2018, ma non è cambiato granché) era del 48,4%, superiore al 44,6% della Germania, ma simile a quella dei cosiddetti Paesi frugali (cioè Svezia, Danimarca, Olanda e Austria). Senza contare che in Francia lo Stato assorbe il 56% del Prodotto interno lordo.
Calcolo delle tasse
E, certo, anche negli altri Paesi i cittadini non fanno salti di gioia nel pagare le tasse. Ma la risposta anche all’estero sta nel risultato, cioè nei servizi che lo Stato, ma anche Regioni e Comuni, forniscono a cittadini e imprese (scuola, sanità, sicurezza, infrastrutture, pensioni). Insomma, il motivo dell’insofferenza italiana è in parte culturale (la scarsa propensione a considerare la cosa pubblica un bene comune), ma anche il fatto che non tutte le tasse si traducono in servizi per imprese e cittadini. Ma perché i servizi pubblici in Italia sono spesso inferiori a quelli degli altri paesi? La colpa è di un mostro vorace: il debito pubblico. Se lo Stato non dovesse pagare dai 40 ai 70 miliardi all’anno di interessi sul debito (la cifra varia secondo i rendimenti pagati sui Btp), l’incidenza del fisco della spesa pubblica sarebbe lievemente inferiore alla media dell’Eurozona e non molto superiore a quella della Germania.
Sempre secondo Eurostat, si escludesse dal calcolo il pagamento degli interessi sul debito pubblico, il tasso di restituzione (cioè quanto torna ai cittadini sotto forma di servizi) sfiorerebbe il 94%, meglio di tutti i Paesi dell’eurozona.
Tasse time
Il risultato è che sulle imprese pesa un carico fiscale complessivo pari quasi il 60% dei profitti commerciali, con 238 ore necessarie per gli adempimenti fiscali distribuiti su 14 pagamenti l’anno (dati anche questi al 2018), contro una media europea di 161 ore. Numeri che sono frutto del rapporto Paying Taxes 2020, realizzato dalla Banca Mondiale e da Pwc, e che assegna all’Italia il 128esimo posto sui 190 Paesi in esame, in peggioramento rispetto al già non entusiasmante 116esimo posto della precedente edizione. Ci sono, poi, i costi indiretti: sempre secondo il report, le aziende impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso Iva, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dal fisco, molto più delle 18,2 ore della media mondiale e delle sette ore della media europea. Come stupirsi, quindi, se le tasse risultano così antipatiche?
Il risanamento delle murature umidee degradate è forse il tema più ricorrente nel campo della riqualificazione e conservazione architettonica delle strutture esistenti, soprattutto per quelle storiche.
Per offrire una soluzione alla deumidificazione, al risanamento e al miglioramento energetico delle strutture murarie soggette a umidità di risalita, General Admixtures, azienda di Ponzano Veneto (Treviso) specializzata in prodotti innovativi per i settori del cemento e del calcestruzzo, dei sistemi di ripristino, consolidamento e dell’edilizia leggera, ha messo a punto Termosan Nhl, intonaco macroporoso dai molteplici benefici.
Restauri conservativi con l’intonaco macroporoso
Termosan Nhl rappresenta una evoluzione dei tradizionali intonaci macroporosi, avendo non solo una notevole capacità deumidificante e risanante, ma anche proprietà coibenti utili per migliorare la prestazione energetica dell’involucro (λ 0,115 W/mK).
Un vantaggio non da poco nell’ambito nei restauri conservativi di palazzi storici, in cui spesso non è possibile intervenire con sistemi di protezione termica integrale come i cappotti.
Con Termosan Nhl, in un’unica tecnologia, è invece possibile riqualificare in maniera semplice, completa e duratura tutte le tipologie di edifici in muratura.
Con riferimento alla normativa Uni En 998-1, il prodotto è infatti classificato come malta per intonaco leggero (Lw), specifica per interventi di risanamento e isolamento termico.
La formulazione a base calce idraulica naturale rende questo prodotto estremamente compatibile (meccanicamente, fisicamente e chimicamente) con le strutture murarie esistenti, anche di pregio e rilevanza storica.
Alcune tra le manifestazioni più frequenti direttamente legate al fenomeno dell'umidità di risa...
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Come funziona l’intonaco macroporoso?
La struttura macroporosa di Termosan Nhl, associata alla sua elevata traspirabilità, permette di assolvere in maniera efficace alla funzione di deumidificazione muraria.
La struttura a macrocelle consente poi al prodotto di essere estremamente durevole nei confronti dell’accumulo di sali (anche di natura solfatica) e nei confronti degli sbalzi di temperatura (cicli di gelo/disgelo).
A tutto questo è associato un coefficiente di conducibilità termica certificato di λ 0,115 W/mK.
Con uno spessore applicativo di 3-4 centimetri è possibile così incrementare la resistenza termica delle pareti e ridurre sensibilmente le dispersioni termiche attraverso l’involucro, migliorando il comfort abitativo sia nella stagione fredda che in quella calda.
Applicazione di Termosan NHL
La posa in opera del materiale non presenta difficoltà.
Dopo la completa rimozione degli intonaci esistenti ammalorati e di tutti i materiali non perfettamente adesi, fino a una altezza superiore di circa 1 metro rispetto alla massima altezza di risalita dell’acqua, si procede con un abbondante idrolavaggio e, in caso di presenza rilevante di sali nella muratura, con lo specifico trattamento antisale Anterisana.
L’applicazione dell’intonaco Termosan Nhl risulta semplice e veloce, potendo avvenire anche meccanicamente a spruzzo.
L’accortezza più importante è quella di evitare, in fase di lisciatura, eccessive pressioni che possano occluderne le porosità intrinseche del prodotto.
Fasi applicative dell'intonaco macroporoso ad elevata capacità deumidificante, risanante e coib...
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Risalita capillare: criticità e soluzioni
La risalita capillare è la causa più comune di ingresso di acqua nelle murature. All’interno dell’acqua sono sempre disciolti una serie di sali presenti nel terreno che, trasportati attraverso le porosità dei materiali, si accumulano all’interno delle murature.
Al superamento di una specifica concentrazione di saturazione, questi sali cristallizzano, tornando alla loro forma solida e creando pressioni talmente elevate da rompere le murature, in particolare nelle zone corticali esposte all’ambiente.
Alcune tra le manifestazioni più frequenti direttamente legate al fenomeno dell'umidità di risa...
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A questa azione i sali ne aggiungono un’altra legata alla loro capacità di assorbire umidità dall’aria: assorbendo vapore acqueo dall’aria circostante contribuiscono a mantenere umide le pareti, anche in assenza di ulteriore acqua di risalita.
In conseguenza del fenomeno della risalita capillare, diverse sono le criticità che si manifestano:
degrado delle strutture, dovuto alla cristallizzazione dei sali (rottura e distacco di intonaci e rottura superficiale di malte e mattoni);
ambienti abitativi umidi e poco salubri;
sviluppo di organismi (muffe e spore);
riduzione delle capacità isolanti delle pareti (una muratura umida è meno coibente rispetto alla stessa muratura in condizioni asciutte);
forte penalizzazione dell’aspetto estetico delle costruzioni.
L’impiego di intonaci macroporosi applicati sulla superficie della muratura favoriscono l’evaporazione dell’acqua di risalita (effetto deumidificante) e introducono un rilevante volume di pori nei quali i sali possono cristallizzare liberamente senza provocare elevate tensioni nel materiale con cui sono realizzate le murature (effetto risanante).
Perché le tasse sono aumentate
Meno tasse per tutti? Non proprio: lo scorso anno la pressione fiscale è aumentata in termini nominali del 5,7%, mentre il Pil, sempre in termini nominali, è cresciuto di solo il 2,9%. Risultato: le tasse per imprese e cittadini sono più pesanti e rispetto a tutto quanto l’Italia produce il 42,6% è andato al fisco. Difficile che nel 2025 vada meglio. E dire che diminuire le tasse era al primo posto degli obiettivi del governo. Contrariamente a quanto la pancia suggerisce, però, non bisogna dimenticare che il vero problema non è l’aumento delle tasse. D’accordo, a tutti piace pagarne meno, anzi, non versarne affatto. Ma il punto è un altro: dipende tutto da come si spendono i soldi pubblici. I soldi incassati da Irpef, Ilor, Iva, Imu eccetera sono impiegati in modo razionale? La sanità funziona? I treni sono sufficienti, funzionano e arrivano in orario (chiedere ai pendolari). Le forze dell’ordine, che in Italia sono molto più consistenti rispetto a Francia e Germania, tengono sotto controllo la criminalità? Rispondete voi. Valutare la pressione fiscale senza tener conto di quello che produce, insomma, ha poco senso.
Anche perché lo Stato italiano spende più o meno come gli altri. Secondo Eurostat, l’ente statistico europeo (un organismo tecnico, non politico), la media Ue di spesa pubblica è del 47%. In Italia (dati 2018, ma non è cambiato granché) era del 48,4%, superiore al 44,6% della Germania, ma simile a quella dei cosiddetti Paesi frugali (cioè Svezia, Danimarca, Olanda e Austria). Senza contare che in Francia lo Stato assorbe il 56% del Prodotto interno lordo.
E, certo, anche negli altri Paesi i cittadini non fanno salti di gioia nel pagare le tasse. Ma la risposta anche all’estero sta nel risultato, cioè nei servizi che lo Stato, ma anche Regioni e Comuni, forniscono a cittadini e imprese (scuola, sanità, sicurezza, infrastrutture, pensioni). Insomma, il motivo dell’insofferenza italiana è in parte culturale (la scarsa propensione a considerare la cosa pubblica un bene comune), ma anche il fatto che non tutte le tasse si traducono in servizi per imprese e cittadini. Ma perché i servizi pubblici in Italia sono spesso inferiori a quelli degli altri paesi? La colpa è di un mostro vorace: il debito pubblico. Se lo Stato non dovesse pagare dai 40 ai 70 miliardi all’anno di interessi sul debito (la cifra varia secondo i rendimenti pagati sui Btp), l’incidenza del fisco della spesa pubblica sarebbe lievemente inferiore alla media dell’Eurozona e non molto superiore a quella della Germania.
Sempre secondo Eurostat, si escludesse dal calcolo il pagamento degli interessi sul debito pubblico, il tasso di restituzione (cioè quanto torna ai cittadini sotto forma di servizi) sfiorerebbe il 94%, meglio di tutti i Paesi dell’eurozona.
Il risultato è che sulle imprese pesa un carico fiscale complessivo pari quasi il 60% dei profitti commerciali, con 238 ore necessarie per gli adempimenti fiscali distribuiti su 14 pagamenti l’anno (dati anche questi al 2018), contro una media europea di 161 ore. Numeri che sono frutto del rapporto Paying Taxes 2020, realizzato dalla Banca Mondiale e da Pwc, e che assegna all’Italia il 128esimo posto sui 190 Paesi in esame, in peggioramento rispetto al già non entusiasmante 116esimo posto della precedente edizione. Ci sono, poi, i costi indiretti: sempre secondo il report, le aziende impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso Iva, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dal fisco, molto più delle 18,2 ore della media mondiale e delle sette ore della media europea. Come stupirsi, quindi, se le tasse risultano così antipatiche?