Un mattone

La musica è finita, gli amici se ne vanno, che stupida giornata quella che si è consumata in Parlamento. Stupida perché se ne poteva fare a meno: il governo, se non fosse stato sfiduciato (a parole) mentre a New York Enrico Letta spiegava agli investitori che ora l’Italia vuole cambiare davvero, avrebbe lavorato una settimana in più. E Dio sa quanto ce n’è bisogno.

C’è però anche un lato positivo: forse (molto forse) la retromarcia in Senato e la conseguente fiducia al governo consentiranno a Letta di far passare un po’ di quelle iniziative annunciate. E che sono state seppellite dalle polemiche innescate dalla richiesta, fallita, di dimissioni dei ministri del Pdl. Se solo Letta riuscirà a condurre in porto la metà di quanto ha annunciato, l’Italia tra un paio d’anni sarà un posto migliore per fare imprese.

Qualche esempio: stabilità politica per far abbassare il tasso di interesse, che oggi è al 4,5%. Per il 2014 l’obiettivo è portarlo al 2%. Una specie di manna per le imprese. L’istituzione di Commissario per la spending review. «Toccherà tutti i campi tranne la cultura che è il nostro petrolio», ha detto Letta. E poi strada spianata agli investimenti stranieri. Il piano Destinazione Italia dovrebbe abbattere quelle barriere (una su tutte la ragnatela giurisdizionale) che frenano l’apertura di fabbriche e branch delle multinazionali. Infine, il reperimento delle risorse per (oltre 11 miliardi di euro in tre anni) per realizzare cinque priorità funzionali, tra cui rientrano tra l’altro interventi per le reti stradali e ferroviarie, Tav, Mose, completamento Salerno-Reggio Calabria.

Non si tratta di inventare la luna, sono obiettivi raggiungibili. Ora c’è solo bisogno di un decreto Valium per placare gli animi di chi vuole far ribaltare il tavolo. Forse è l’opera più difficile.

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