Meteo e dissesti: l’Italia è a rischio

Inchiesta su meteo e dissesti di Federico Della Puppa

Troppo spesso bastano pochi giorni di pioggia per trasformare fiumi e torrenti in sistemi incontrollabili. Il territorio, impermeabilizzato, imbrigliato, consumato da un uso eccessivo e senza adeguate misure di mitigazione, restituisce con gli interessi, spesso oltre qualsiasi soglia di accettabilità, quanto l’uomo è stato in grado di produrre. E anche se sappiamo bene che è una risorsa scarsa, ci ricordiamo della sua scarsità e della sua fragilità solo ex post, solo dopo che gli eventi catastrofici sono avvenuti. Abbiamo consumato troppo suolo, abbiamo abbandonato pratiche secolari di prevenzione delle possibili calamità, abbiamo costruito troppo vicino ai fiumi, abbiamo scelto di non intervenire nella pulizia degli alvei, abbiamo irregimentato i torrenti con muri che aumentano la velocità dell’acqua quando si gonfiano per le piogge insistenti, sempre più insistenti perché derivanti da fenomeni di cambiamento climatico con i quali dovremo fare sempre più i conti in futuro. Gli eventi meteorici degli ultimi mesi hanno dimostrato, se mai ce ne fosse il bisogno, quanto sia esposto il nostro paese ad un rischio idrogeologico elevato. I costi ambientali, sociali, economici che questi fenomeni producono sono notevoli.

La bomba d’acqua nel Trevigiano  

Non fare nulla costa di più

I costi del “non intervento” infatti sono particolarmente rilevanti. Secondo uno studio di Legambiente dal 1944 al 2012 i danni del dissesto ammontano complessivamente a 61,5 mld di euro. Tanti sono i costi che lo Stato ha dovuto sopportare ex post. Si tratta di circa 1 mld di euro all’anno nel periodo considerato. Ma agire in emergenza, come ben noto, costa molto di più che in prevenzione. Il caso del Veneto, uno dei tanti, è eclatante: l’alluvione del novembre 2010 ha comportato 1 mld di euro di danni. Quella dell’inizio del 2014 altri 500 milioni. Senza contare la riduzione del PIL dovuta alle mancate produzioni e alle perdite agricole, oltre ai danni reali. Eppure se si fa prevenzione si dimostra che i danni e i relativi costi di intervento sono minori. Proprio in Veneto i pochi interventi messi in atto dopo l’alluvione del 2010 hanno permesso di ridurre la portata della gravità dell’alluvione del 2014, quando è piovuto molto di più che nel 2010. Per mettere in sicurezza il territorio nazionale servirebbero 44 mld di euro, secondo la stima dei PAI, i Piani di Assetto Idrogeologico. Ma negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino, fondi destinati a coprire solo i lavori più urgenti. E non sono pochi. Si tratta di 4.800 interventi considerati di “maggior urgenza” su un totale di 15mila interventi previsti da tutti i PAI. La metà circa di queste risorse è stata stanziata attraverso accordi di Programma siglati tra il Ministero dell’ambiente e le Regioni, proposti a partire dal disastro di Messina del 2009 e siglati tra il 2010 e il 2011. Ma ancora oggi dei 2,1 miliardi messi in campo attraverso il cofinanziamento Ministero-Regioni, solo 178 milioni sono stati effettivamente erogati e solo il 3% degli interventi previsti è stato realizzato o è in corso di realizzazione.

seveso
Esondazione del Seveso, a Milano

Alluvioni senza tregua

Così frane e alluvioni continuano ad aumentare. Da poco più di 100 eventi l’anno tra il 2002 e il 2006 si è giunti ai 351 del 2013 e ai 110 solo nei primi 20 giorni del 2014. Senza prevenzione e politiche efficaci di mitigazione del rischio idrogeologico questi numeri sono destinati inevitabilmente a peggiorare. E ad essere in gioco non è solo la salvaguardia del territorio, ma la vita stessa dei cittadini: negli ultimi 12 anni hanno perso la vita per eventi calamitosi 328 persone, come ricordano i dati di #DissestoItalia, una inchiesta approfondita sul dissesto idrogeologico realizzata da Ance, Architetti, Geologi, Legambiente e realizzata da un gruppo di giornalisti indipendenti. Sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale, nei quali abitano 6 milioni di cittadini che ogni giorno sono esposti al pericolo di frane o alluvioni. In ben 1.109 comuni (l’82% fra i 1.354 analizzati nell’indagine) sono presenti abitazioni in aree a rischio e in 779 amministrazioni (il 58% del campione) in tali zone sorgono impianti industriali. E nonostante le ripetute tragedie, si continua a costruire dove non si può. Nell’ultimo decennio sono state edificate nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni in ben 186 comuni. Nel contempo, soltanto 55 amministrazioni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e in appena 27 comuni si è provveduto a delocalizzare insediamenti industriali.

Bomba d'acqua su Pisa
Bomba d’acqua su Pisa

Meteo pazzo

Il quadro è preoccupante se messo in relazione con i fenomeni metereologici intensi che hanno ormai perso la dimensione di “eccezionalità”, doventando sempre più frequenti. ad esempio secondo analisi Ispra, negli eventi alluvionali della Toscana del 2010 e 2011, in una sola giornata, la quantità di pioggia caduta sul suolo è stata pari a circa il 40% delle precipitazioni medie annue della regione. In Liguria la quantità di pioggia caduta nelle due giornate più critiche del 2011, tra fine ottobre e inizio novembre. ha superato il 65% della piovosità media annua della regione. E se frane e alluvioni non sono purtroppo una novità nel nostro Paese, i dati disponibili dal 1948 al 2011 mostrano come le regioni colpite siano raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da quattro a otto. insomma, è un quadro preoccupante, rafforzato dalle indagini contenute in Ecosistema Rischio 2013, il dossier annuale di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile, che monitora le attività per la mitigazione del rischio idrogeologico di oltre 1.500 amministrazioni comunali italiane tra quelle in cui sono presenti zone esposte a maggiore pericolo.

toscana alluvione
Alluvione in Toscana

Non consumare suolo

A livello politico, sia a scala locale che nazionale, la riduzione del consumo di suolo e la necessità di intervenire per modificare i fattori che lo favoriscono sono temi ormai entrati non solo nel dibattito, ma affrontati con proposte legislative, orientate a salvaguardare le funzioni produttive del terreno, limitare l’alterazione del paesaggio, garantire ottimali assetti idraulici e idrogeologici e mettere uno stop alla riduzione delle superfici agricole e all’impermeabilizzazione. Quest’ultima infatti, riducendo l’assorbimento delle acque meteoriche, è una delle principali cause dell’aumento dei dissesti. Inoltre osservando i dati dei principali osservatori e delle banche dati oggi a disposizione, emerge come il suolo consumato è molto elevato soprattutto nelle aree e nelle province in cui l’indice delle coperture urbanizzate è basso, dimostrando una tendenza importante: la velocità del consumo di suolo è inversamente proporzionale al livello di urbanizzazione. Per questo motivo le province con ancora elevate quantità di suoli liberi potenzialmente disponibili all’urbanizzazione, siano essi terreni agricoli o naturali, sono quelle che più velocemente stanno erodendo tali risorse, anche a causa di previsioni di piani urbanistici che non tengono conto delle cambiate e modificate condizioni socioeconomiche.

Alluvione a Vernazza 

Fondi e risorse

Per invertire questa rotta servono, tuttavia, non solo piani (PAI), fondi e risorse ordinarie (e non straordinarie), ma anche un sistema tecnologico e capacità di intervento da parte delle imprese, che consentano di sfruttare le tecnologie più avanzate per realizzare efficienti ed efficaci sistemi di drenaggio e di regimazione delle acque. La misura del dissesto è l’insufficienza del sistema di drenaggio che, con opportuni investimenti e azioni, potrebbe mitigare e ridurre gli impatti delle piogge che durante le diverse stagioni stanno diventando sempre meno fenomeni eccezionali e sempre più eventi che vanno affrontati dal punto di vista di una gestione ordinaria e non straordinaria del territorio. La prevenzione, attraverso un sistema di interventi in grado di riequilibrare lo smaltimento dell’acqua in eccesso, è uno degli obiettivi verso i quali promuovere non solo grandi piani nazionali, ma soprattutto piccole e diffuse opere locali in grado di smaltire l’acqua. Il sistema idraulico nazionale è, come ben noto, basato su opere realizzate nel passato, a volte anche secoli fa, e soprattutto tarato sulla dimensione delle piogge del passato. Oggi, con il clima che è cambiato e che vede da un lato una progressiva desetificazione, con conseguente inaridimento della terra, e precipitazioni più intense del passato, che diventano per tale motivo più gravi, è necessario rivedere il sistema complessivo di drenaggio. Le tecnologie e i prodotti oggi disponibili, associati ad un sistema di imprese che in questo settore di opere hanno da sempre saputo dimostrare capacità ed efficacia, permettono di guardare al futuro con speranza. Tuttavia deve essere chiaro che è dalla sinergia tra tutti i soggetti competenti e dalle proposte innovative legate a sistemi ingegneristici, prodotti innovativi e specializzazione delle imprese che si può invertire una rotta negativa e ridare al nostro paese quella stabilità, anche idrogeologica, necessaria a promuovere lo sviluppo socioeoconomico e l’equilibrio ambientale. Le risorse per farlo vanno trovate, perché mai come in questo caso un euro investito sono almeno due euro (quando non quattro o cinque) risparmati nel futuro. E di questi tempi investire nel nostro paese è una delle missioni che dobbiamo darci, per migliorare complessivamente il nostro sistema e dare prospettive di sviluppo e sicurezza, sotto tutti i punti di vista, alle future generazioni.

inchiesta di Federico Della Puppa

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