I dati di Confcommercio sono allarmanti: in poco più di un decennio sono stati chiusi 118 mila negozi al dettaglio, con un processo di desertificazione commerciale. Ma per la distribuzione edile il trend è la concentrazione.
Anticamente il Sahara non era un deserto: circa 30 mila anni fa, le sue montagne erano coperte da foreste, con una fauna numerosa, e l’attuale spazio arido era abitato da popoli che si dedicavano alla caccia e all’allevamento. Ora è una distesa di sassi, roccia e dune di sabbia. Un deserto, appunto.
Ed è la stessa evoluzione che sembra minacciare il commercio al dettaglio. Non a caso la rarefazione dei negozi nelle città è definita come desertificazione. Con alcune oasi, però.
Questo contenuto è riservato agli ABBONATI AL SITO
Accesso completo a tutti i contenuti premium di Youtrade Web per un giorno!
Accesso completo a tutti i contenuti premium di Youtrade Web per un mese!
Sei già abbonato? Fai il login qui sotto!
L’analisi di Confcommercio
Il fenomeno è stato denunciato dall’analisi Demografia d’impresa nelle città italiane, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio, in collaborazione con il Centro Studi Tagliacarne.
In sintesi: tra il 2012 e il 2024 in Italia sono stati chiusi quasi 118 mila negozi al dettaglio e 23 mila attività di commercio ambulante.
La rarefazione dei punti vendita riguarda anche la distribuzione di materiali per edilizia? Non esattamente.
Una ricerca condotta da Federcomated cinque anni fa in Italia aveva contato 11.241 aziende del settore, tra grossisti e al dettaglio. Di queste, 4.548 erano imprese di commercio all’ingrosso di materiali da costruzione e 6.693 attive nel dettaglio, comprendendo ceramiche e piastrelle.
Oggi quel numero si è probabilmente un po’ ridotto. Ma non tanto nel numero di punti vendita, quanto di società familiari con singole rivendite.
Il processo di concentrazione in atto, insomma, ha diminuito il numero di insegne indipendenti più che desertificare il settore.
Ambiente urbano
Ma, anche se l’edilizia se la cava meglio quanto a distribuzione, non va dimenticato che il valore di un’attività commerciale è legato anche alla posizione che occupa nell’ambiente circostante.
In particolare, le chiusure interessano di più i centri storici, dove chiudono più negozi rispetto alle periferie, con un fenomeno sia al Centro-Nord sia nel Mezzogiorno.
E, anche se molte rivendite di materiali edili si trovano in zone topograficamente di carattere più industriale, è inevitabile che un impoverimento generale delle attività retail renda molti centri più poveri e desolati.
Le saracinesche abbassate, insomma, non sono una buona pubblicità e non invogliano i clienti, specialmente quelli privati, a frequentare una zona.
Chi cresce
Secondo il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, tra il 2012 e il 2024, in Italia, però, ci sono anche attività in crescita, come quelle legate al turismo. Alloggio e ristorazione contano 18.500 insegne in più.
Nello stesso periodo, nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi, è stata registrata una forte crescita di imprese straniere (+41,4%) mentre quelle a titolarità italiana segnano solo +3,1%. E questo si traduce anche in tanti occupati in più, sempre stranieri: +397 mila negli ultimi 12 anni.
Il 39% di questi si concentra nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione (+155 mila).
Se si analizzano i dati relativi ai settori merceologici emerge anche un dato che interessa il mondo delle rivendite di materiali per edilizia.
Nei centri storici, per esempio, si riducono le attività tradizionali come la vendita di carburanti -42,1%, libri e giocattoli -36,5%, ma anche di mobili e ferramenta -34,8%.Due settori che sono presenti anche nella Gdo e nelle rivendite di materiali.
In controtendenza, cioè con maggiori aperture, sono invece i servizi come farmacie +12,3%, computer e telefonia +10,5%, oltre alle citate attività di alloggio +67,5%, al cui interno si colloca il noto boom degli affitti brevi (+170%), con forte accelerazione nell’ultimo anno. Fenomeno che deprime gli alberghi tradizionali, che sono calati del 9,7%.
Analisi territoriale: le città più colpite
Le regioni del Nord evidenziano le maggiori perdite di negozi al dettaglio, forse per una maggiore concentrazione di punti vendita della grande distribuzione. Nel Centro-Sud c’è, invece, una maggiore tenuta.
In ogni caso, dei 122 comuni presi in esame dall’analisi, ai primi cinque posti si collocano Ancona (-34,7%), Gorizia (-34,2%), Pesaro (-32,4%), Varese (-31,7%) e Alessandria (-31,1%), mentre nelle ultime cinque posizioni i Comuni che registrano la migliore tenuta sono Crotone (-6,9%), Frascati (-8,3%), Olbia (-8,6%), Andria (-10,3%), Palermo (-11,2%).
Che cosa comporta questo drastico calo, o desertificazione? Secondo Paolo Testa, responsabile Urbanistica e Rigenerazione Urbana di Confcommercio, «è un elemento di depauperamento economico e sociale dei centri urbani che, tenendo conto anche della contestuale riduzione del numero di sportelli bancari, rischia di trasformarsi in un declino delle città.
È un fenomeno che va contrastato con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività e in questa direzione va il progetto Cities di Confcommercio che ha elaborato le prime proposte per la rigenerazione delle città».
Progetto Cities di Confcommercio
Per questo, la principale associazione del commercio con Cities ha messo a punto una strategia che si può sintetizzare in tre punti.
Al primo posto c’è la rigenerazione dello spazio pubblico e dei quartieri. Una città migliore attrae anche le economie di prossimità.
Per questo è necessario iniziare a occuparsi delle aree pubbliche degradate attraverso interventi di trasformazione delle infrastrutture, senza dimenticare il loro impatto sul cambiamento climatico.
Un piano urbanistico ad hoc dovrebbe ripensare il territorio, con un intervento di placemaking, cioè trasformare lo spazio da entità percettiva a luogo esperienziale. Insomma, una città che sia piacevole da vivere e con identità di quartiere più forte.
Secondo punto elaborato da Confcommercio: mobilità e logistica sostenibili per avere tutto a portata di mano. Per questo obiettivo la proposta è quella di elaborare Piani urbani della mobilità e della logistica che integrino trasporti, urbanistica ed economia locale.
Questi piani devono includere piattaforme di smistamento merci con magazzini di prossimità urbana per ridurre il traffico e la congestione, oltre a una logistica a basso impatto ambientale, come mezzi a zero emissioni e cargo bike per ridurre l’inquinamento.
Infine, il terzo punto è quello più dolente: le saracinesche abbassate. Sono migliaia i locali chiusi e ci sono strade che assomigliano a cimiteri del commercio.
La proposta dell’associazione è sfumata e prevede accordi tra Comuni, associazioni e proprietari per agevolare la definizione formale di canoni di locazione calmierati, in particolare nei quartieri e nei quadranti più fragili e rendere accessibili gli immobili anche alle imprese nascenti o in difficoltà.
Una strategia che dipende da diversi soggetti, insomma, non semplice da gestire.
Gli accordi, aggiunge Confcommercio, possono anche contribuire alla riqualificazione dei luoghi, promuovono un uso più efficiente del patrimonio immobiliare esistente e riducono i rischi per tutti gli attori in campo. Insomma, più che soluzione è una buona intenzione.
Il ruolo dei Comuni
«Si tratta di proposte e buone pratiche sviluppate dalle associazioni territoriali di Confcommercio volte a contrastare la desertificazione commerciale», è il commento del segretario generale di Anci (l’associazione dei Comuni), Veronica Nicotra.
«Anci le guarda con grande attenzione, in considerazione anche del ruolo cruciale che il commercio svolge non solo per l’economia, ma anche per la vivibilità e la sicurezza delle nostre aree urbane».
L’associazione sottolinea anche che occorre promuovere la città come bene comune, a partire dallo spazio urbano, dai servizi pubblici e dalle risorse della città, che devono essere accessibili a tutti.
Insomma, una cura urbanistica ricostituente, che valorizzi il tessuto urbano e rafforzi la coesione sociale. Non manca un accenno all’utilizzo della tecnologia, con un utilizzo dei big data e dell’urban analytics per definire le politiche più efficaci per il commercio locale.
A questo proposito il progetto Cities ha sviluppato e sperimentato un software di monitoraggio che consiste in una web-dashboard basata su dati di telefonia mobile per analizzare i flussi pedonali e le dinamiche commerciali nei centri urbani.
I dati dovrebbero servire a capire le dinamiche di passaggio e a guidare, quindi, le azioni di recupero del territorio in modo da ottimizzare gli interventi di arredo urbano.
I tentativi
Le proposte di Cities avranno un seguito concreto? Per ora si possono registrare esperimenti in ordine sparso: tentativi che, forse, possono costituire una traccia più generale.
Per esempio, nel centro storico di Palermo molte proprietà di pregio sono state abbandonate: per recuperarle l’idea è quella di trasformarle in strutture turistiche alberghiere coinvolgendo le proprietà, ma anche con l’introduzione di incentivi fiscali e amministrativi per attrarre investitori. Insomma, turisti al posto dei negozi: sempre meglio che un’insegna in disarmo, ma non è una ripartenza del commercio.
A Firenze, invece, il morto da resuscitare sono le edicole: qui l’obiettivo (un po’ fantasioso) è quello di trasformarle in centri di welfare e cultura anche digitale.
E Padova punta all’aumento delle aree pedonali, con la creazione di un brand distintivo e soluzioni per riattivare gli spazi sfitti per stimolare l’arrivo di nuovi operatori coinvolgendo tutti gli stakeholder. Chissà se i negozi chiusi riapriranno.
di Giuseppe Rossi