Dazi e ceramica italiana: concorrenza sleale e sfide globali

Dazi e ceramica italiana

I dazi non sono uguali per tutti. Questo, almeno, è chiaro. Soprattutto per un settore chiave come la ceramica, come è stato rilevato a Coverings, la più importante fiera per la ceramica mondiale tenuta a Orlando (Florida) dal 29 aprile al 2 maggio 2025. Un evento che, tra i 1.100 espositori da 40 Paesi, ha visto le imprese italiane in prima fila, con qualche maldipancia.

Oltre alle preoccupazioni per il futuro dopo i dazi americani (momentaneamente sospesi), le imprese italiane si sono prese anche lo schiaffo deciso dalla amministrazione americana, che ha chiuso senza misure antidumping l’indagine sulle importazioni di piastrelle indiane, prodotte a un costo medio di 5 euro l’una, contro i 20 di quelle italiane.

Ora, riflettono in Confindustria Ceramica, si rischia che l’India, già primo esportatore mondiale per volumi, diventi ancora più aggressiva.

La soluzione? Una vera politica anti-dumping: il Wto, insomma, dovrebbe iniziare a considerare anche aspetti ambientali e sociali che minano la leale concorrenza tra i Paesi.

Perché un paese come l’India produce a basso costo perché sostanzialmente le imprese locali se ne fregano di consumi energetici, inquinamento e rispetto delle norme di sicurezza, senza parlare dei livelli retributivi.

Che fare, quindi? Secondo l’associazione delle imprese del settore, del problema dovrebbe prendersi carico l’Europa, a partire dall’eliminazione o riduzione del balzello green degli Ets.

Anche questa strada, però, non è semplice perché ripudia l’obiettivo di riduzione dei consumi energetici. Resta l’arma dei dazi, anche se è una politica che si sa come inizia, ma non si sa come vada a finire.

Certo, gli Stati Uniti hanno imposto tariffe fra il 195% e il 356% contro la ceramica cinese (oltre ai dazi compensativi del 103%) e il risultato è che hanno fatto sparire il prodotto di Pechino dal mercato Usa. Ma ci sono riusciti anche perché gli Stati Uniti di piastrelle in Cina ne esportano poche.

Altri paesi, come l’Italia, hanno invece persino aperto punti vendita nel paese di mezzo (anni fa, per esempio, ci aveva provato Graniti Fiandre a Shanghai).

La competizione con i dazi, insomma, non è un toccasana: chiude le porte sia in entrata sia in uscita.

di Franco Saro

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