Edilizia in ostaggio a Complicopoli

Il decreto legge Semplificazione, approvato qualche settimana fa, conteneva le norme sblocca appalti («salvo intese», cioè con possibili modifiche prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Il provvedimento è l’ennesimo banco di prova per l’ennesimo tentativo di semplificare la burocrazia dell’ennesimo governo. Ed è passato solo dopo un lungo braccio di ferro all’interno della maggioranza. Chissà che prima o poi si facciano passi in avanti. Riassumiamo.

Freno al Tar?

Il decreto legge che, meglio ricordarlo, dovrà poi essere trasformato il legge definitiva dal Parlamento e, dunque, è soggetto a essere modificato nel cammino tra Camera e Senato, prevede parecchie modifiche allo status quo. Ma, attenzione, sono provvedimenti approvati «in via transitoria» fino al 31 luglio 2021: quindi tra un anno si potrebe ricominciare tutto da capo. Viviamo proprio a Complicopoli. Per ora, comunque, il decreto la riforma uno dei blocchi più resistenti nelle amministrazioni, cioè l’abuso d’ufficio e la responsabilità civile: penalizza meno chi nella pubblica amministrazione decide fa e penalizza (o dovrebbe) chi se la prende comoda. I funzionari pubblici dovranno sottoscrivere il contratto definitivo per l’opera e la relativa apertura del cantiere entro sei mesi dall’avvio della procedura e poi andare avanti con l’aggiudicazione definitiva anche in caso di ricorso al Tar degli esclusi. Qui c’è però una clausola ostativa: salvo che non ci sia una chiara sentenza che impedisce l’aggiudicazione.

Ci sono anche casi limite, come quello di un’impresa farmaceutica che ha aspettato 40 anni per ottenere l’approvazione di una domanda di derivazione d’acqua
Ci sono anche casi limite, come quello di un’impresa farmaceutica che ha aspettato 40 anni per ottenere l’approvazione di una domanda di derivazione d’acqua

I commissari

Uno passaporto per velocizzare le opere dovrebbe essere la possibilità di affidare direttamente le opere fino a 150mila euro: dovrebbe servire per i lavori in ambito locale o di intervento rapido. Prevista invece una procedura negoziata, senza bando di gara, cioè quella si chiamava trattativa privata, per opere fino a 5 milioni di euro. Ancora: il decreto ha previsto poteri eccezionali alle stazioni appaltanti per accelerare gare e iter autorizzativi relativi a opere di sette diversi settori di interesse pubblico: carceri, ferrovie, sanità, opere idriche, scuole, strade, università. È questo uno dei punti che ha registrato le maggiori tensioni: nominare una schiera di commissari con pieni poteri, oppure no? È stata scelta una via di mezzo: i commissari avranno poteri ampi, ma fino a un certo punto. Soprattutto, non potranno agire in deroga a tutto. Queste figure otterranno un budget fino al 7% del costo di un’opera. Ma saranno nominati solo per interventi «caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico-amministrative». Quali? In casi di vera emergenza, tipo ponte Morandi, oppure opere bloccate da anni. Al momento ne sono state individuate una trentina, dal Mose di Venezia al ponte crollato sul fiume Magra.

Impatto ambientale

Un altro provvedimento è visto con sospetto dall’Ance: la velocizzazione delle valutazioni ambientali con una nuova commissione Via creata ad hoc per le opere green del Piano nazionale integrato energia e clima e incerta per le altre opere. Per velocizzare i tempi, il provvedimento ha previsto anche una maggiore certezza di tempi per le conferenze di servizi e il silenzio assenso e accelerazioni per la digitalizzazione della Pa e per gli investimenti in banda larga e 5G. Questi ultimi sono principi che, però, sembrano più un manifesto di buone intenzioni più che una scorciatoia per arrivare ai cantieri. Ancora: sono previste la proroga dei titoli edilizi (apertura e chiusura dei lavori) e l’estensione dell’autocertificazione, una maggiore interoperabilità fra banche dati pubbliche e divieto per le Pa di chiedere ai cittadini e alle imprese dati di cui sono già in possesso.

Case a Milano
Case a Milano

Demolizione e ricostruzione

Un capitolo a parte lo merita, invece, l’idea di spingere sulla rigenerazione urbana con l’eliminazione dei vincoli più pesanti alla demolizione e ricostruzione. Il provvedimento, infatti, consentirà l’eliminazione di gran parte dei vincoli esistenti per gli interventi di demolizione e ricostruzione su sedime, volumetrie e sagoma che dovrebbero essere liberalizzate. Resta, invece, l’obbligo di osservare le distanze legittimamente preesistenti. Infine, sono previste la riduzione automatica del contributo di costruzione del 35% per questo genere di interventi e una conferenza di servizi semplificata per l’edilizia privata complessa e per gli interventi contenuti nei piani di rigenerazione urbana.

Scetticismo

Serviranno questi provvedimenti a velocizzare i cantieri? Il presidente di Ance, Gabriele Buia, è scettico: «Non sono le gare che allungano i tempi di realizzazione delle opere: lo dice anche il Consiglio di Stato che il livello di contenzioso a questo livello non supera il 2%», ha commentato. «È troppo forte la burocrazia che sta a monte delle gare, a cominciare dagli apparati ministeriali: per una valutazione di impatto ambientale può passare anche un anno». Del tutto contraria, invece, l’opinione di Francesco Merloni, presidente dell’Anac, l’Authority anticorruzione. Secondo quanto ha spiegato in una relazione alla Camera, «nel 2019 il valore complessivo degli appalti pubblici si è attestato a 170 miliardi di euro, oltre 30 miliardi in più del 2018 (+23%): una cifra record, mai toccata in precedenza. Dal 2016 la crescita è stata del 69%. La crescita è stata anche quantitativa: gli appalti banditi nel 2019 sono stati infatti quasi 154 mila, circa 12 mila in più del 2018 (+8%)». Insomma, non è vero, secondo Merloni, che il nuovo codice degli appalti avrebbe bloccato il mercato. Palla al centro.

Quanto costa il labirinto

Semplificare? Giusto. Ma è complicato. Si può riassumere con questa battuta la battaglia di intere generazioni di politici, di tutte le sponde (ma proprio tutte), di amministratori e di consulenti alle prese con il labirinto di permessi, fogli, bolli, richieste, esami, attese, eccetera. Intendiamoci: la nostra vita è di per sé complicata, il business peggio, ed è inutile illudersi che sia tutto semplice. Ed è altrettanto inutile illudersi di eliminare del tutto la burocrazia: dopotutto viviamo a Complicopoli e un passaggio amministrativo deve per forza esserci. Ma a tutto c’è un limite. Soprattutto, ci sono Paesi che potrebbero essere presi a modello.

Il peso

Secondo una ricerca dell’Istituto Ambrosetti, in Italia gli adempimenti burocratici sottraggono alle imprese 57 miliardi di euro in costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali e oneri per il contenzioso. Perché, allora, tutte le riforme se non solo fallite hanno dimostrato, nel tempo, di essere poco efficaci? Le risposte sono due. La prima riguarda la proporzione tra numero di controlli e numero di reati amministrativi. In tutti i Paesi, maggiore è la tendenza a commettere abusi (per esempio edilizi, appalti fraudolenti, evasione fiscale, riscossione di pensioni di invalidità non dovuta, eccetera) e più pesante è la tendenza a porre controlli. A questo si aggiunge la predilezione tutta italiana ai contenziosi: da quelli in condominio (400 mila le cause pendenti) ai ricorsi al Tar da parte di chi perde la gara d’appalto. La seconda riguarda lo spirito di sopravvivenza della burocrazia stessa. Se ci pensate bene, sono posti di lavoro anche quelli occupati dai burocrati (impiegati comunali, sovrintendenze, Tar, commissioni, eccetera) e, prima di licenziare un impiegato della Regione, un ragioniere del Comune o un geometra della Provincia, bisogna trovargli un altro posto. Anche la burocrazia, in fondo, contribuisce al Pil, seppure in modo distorto. Questo non toglie, ovviamente, che l’amministrazione nostrana in stile mediorientale sia da rivedere e, se possibile, sottoporre a dieta dimagrante. Certo, chiedere di semplificare non basta: bisogna anche dire come.

Norme cercansi

C’è, poi, un altro problema: le leggi, dopo che sono approvate, devono anche essere attuate. E qui casca l’asino, perché i provvedimenti attuativi sono costantemente in ritardo. Alla prima metà di luglio, per esempio, il governo aveva approvato meno del 20% dei provvedimenti necessari per dare attuazione ai decreti emanati a marzo per fronteggiare l’emergenza. Non solo: non erano ancora stati pubblicati 251 dei 257 atti necessari per dare attuazione alle leggi varate dall’attuale governo (il 98% del totale). La vicenda dei vari bonus e superbonus casa è un esempio di quanto sia complicato tradurre le buone intenzioni in norme che possano essere applicate efficacemente.

Il bello è che esiste una legge che prevede l’analisi degli effetti delle regole pubbliche e la misurazione dei costi sopportati da cittadini e imprese nel rapporto con la pubblica amministrazione. Approvata dieci anni fa, la legge è stata parcheggiata nel dimenticatoio, assieme a tante altri provvedimenti anti burocrazia. Comuni, Province e Regioni, infatti, ogni volta che decidono qualcosa dovrebbero calcolare il costo burocratico delle norme che emanano. Ve ne siete mai accorti? Eppure le rilevazioni statistiche e le prime applicazioni hanno rivelato che un corretto utilizzo delle norme consentirebbe di eliminare oneri e costi di transazione sino a 30 miliardi. Sarebbe già qualcosa, no?

La soluzione

Secondo le stime del Politecnico di Milano, per esempio, basterebbe la trasformazione digitale nella pubblica amministrazione per ottenere un beneficio di 35 miliardi di euro per la stessa Pa e di 25 miliardi per le imprese. Per esempio, l’accavallarsi di permessi e certificati tra amministrazioni diverse, una delle dannazioni delle imprese di costruzioni, sarebbe meno labirintico con il coordinamento tra enti statali, regionali e locali. Ora, invece, uno dei problemi sono proprio le sovrapposizioni e la duplicazioni di competenze che rallentano l’azione amministrativa, favoriscono la proliferazione di adempimenti e inquinano le responsabilità. Come fare, dunque?

Il provvedimento più efficace sarebbe quello di cambiare la mentalità di burocrati, ma anche dei comuni cittadini. Secondo il citato studio Ambrosetti, non ci sarebbe neppure bisogno di decreti Semplificazione o di altri interventi: basterebbe la normale applicazione delle norme vigenti per rendere le procedure amministrative più rapide. Se le regole esistenti venissero correttamente applicate, ha calcolato il report, i procedimenti amministrativi si concluderebbero entro 30 giorni e quelli più complessi entro 180 giorni. Non solo: non servirebbero perizie inutili o documenti già in possesso di amministrazioni pubbliche e gli atti illegittimi sarebbero annullati spontaneamente. In questo libro dei sogni, inoltre, le procedure lunghe e complesse sarebbero sostituite da accordi con i privati o tra amministrazioni, quelle che richiedono l’acquisizione di atti di diverse amministrazioni si potrebbero concludere in conferenza di servizi entro un massimo di 90 giorni, tanti adempimenti sarebbero sostituiti da autocertificazioni, comunicazioni, dichiarazioni e segnalazioni, il silenzio assenso e il sistema degli sportelli unici renderebbero certi i tempi e ridurrebbero i passaggi burocratici, le imprese verrebbero pagate entro termini ragionevoli. Insomma, il paradiso per le imprese dell’edilizia.

Le misure

Come arrivarci? Anche qui la strada è, in teoria, nota: misurazione degli oneri amministrativi ed eliminazione di quelli non necessari, controlli sul rispetto dei termini dei procedimenti, sfoltimento di enti e strutture pubbliche, partendo dai casi in cui più evidente è la duplicazione delle competenze e la sostanziale mancanza di un interesse pubblico attuale alla loro sopravvivenza, informatizzazione dei procedimenti, condivisione delle basi informative.

Infine, ci sarebbe un’altra strada, poco popolare, ma efficace se applicata con intelligenza: premiare i burocrati. Non stupitevi: solo quelli bravi. E non è un paradosso: la retribuzione di risultato è già prevista nell’amministrazione pubblica, ma è applicata in modo generalizzato. Tutti premiati. In alcune circostanze, pare, sono stati gratificati con l’incentivo anche dirigenti e dipendenti condannati per gravi episodi di spreco di risorse pubbliche. Al contrario, un premio di risultato ancorato ai risultati raggiunti, come nelle imprese private, potrebbe incentivare l’efficienza di chi, nella pubblica amministrazione, lavora bene. Secondo voi sarà mai così?

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