A leggere i numeri di Confcommercio sembra che i punti vendita in Italia siano stati vittime, con largo anticipo, del coronavirus. Tra il 2008 e il 2019, recita l’ultima analisi dell’associazione, hanno chiuso 70 mila attività, con una discesa del 12,1%, su un totale di quasi 980 mila negozi. La decimazione (ben prima che il Covid-19 costringesse molti a rimanere con le saracinesche abbassate) è stata causata da molti fattori: grande distribuzione, commercio online, disaffezione dei clienti, crisi dell’economia.
Ma, attenzione: la percentuale citata è solo una media. Per quanto riguarda la vendita di beni, e non di servizi, va molto peggio. Lo testimonia il fatto che il crollo del 12,1% è compensato in realtà dall’aumento del numero di alberghi, bar e ristoranti, lievitati del 16,5%. Insomma, dati sconsolanti per chi gestisce un’attività commerciale.
È giunto il momento di rassegnarsi e tirare giù le saracinesche?
In controtendenza
Per niente. A sorpresa, infatti, il trend indica la resurrezione dei negozi di prossimità. Quei cari, vecchi punti vendita vicino casa o, nel caso delle rivendite di materiali edili, a portata di cantiere. La rivalutazione della distribuzione su spazi più contenuti rispetto ai grandi centri commerciali arriva da un centro di analisi di tutto rispetto: l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico. Con una premessa: la densità delle imprese commerciali in Italia è comunque superiore a quella degli altri Paesi.
In media, nel nostro Paese ci sono 1,4 negozi per chilometro quadro e ogni punto vendita ha tre dipendenti, contro i quattro in Francia, dieci in Germania e 13 in Gran Bretagna. Peggio ancora il confronto con il fatturato: in Italia siamo a 0,6 milioni di euro, mentre in Francia a 0,8, e in Germania a 1,25. Insomma, l’Italia è il Paese della pizza, dell’arte, ma anche dei nani. Commercialmente parlando, s’intende.
L’evoluzione
Una selezione, insomma, non è per forza un dato negativo (se non per chi chiude l’attività). In ogni caso, sempre secondo l’analisi del Politecnico, il negozio del futuro, in un certo senso, c’è già: «Il prossimo decennio per il retail italiano sarà caratterizzato dal ritorno alla prossimità», prevede Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio.
«Nelle grandi città avremo un numero più ampio di punti vendita di superficie ridotta, diversi da quelli attuali per focalizzazione sull’aspetto relazionale e sul supporto alle operatività di e-commerce. E questo processo di trasformazione è già avviato: molti retailer sono impegnati sui fronti della diversificazione dei formati di vendita e dell’avvicinamento al consumatore. Mentre le grandi superfici in zone extra urbane sembrano destinate a ridursi, anche in risposta ai grandi cambiamenti culturali, si riscopre il modello di commercio urbano, calibrato su piccole dimensioni per via dell’ingente costo degli spazi».
Il discorso, naturalmente, non è per forza centrato sulle rivendite di materiali edili ma, più in generale, sul mondo della distribuzione. Però dovrebbe far riflettere.
Do ut des
Il ritorno ai negozi di prossimità, in ogni caso, non è gratis. Cioè non avverrà spontaneamente e senza uno sforzo da parte del commerciante: «Competenza del personale e accesso a un’esperienza personalizzata e di valore sembrano essere gli elementi vincenti di questo nuovo paradigma. Ma resta centrale il ruolo del digitale: permette, infatti, di ridurre lo stock di prodotto, di approfondire la conoscenza dell’offerta e di liberare personale da attività più ripetitive, come la gestione dell’inventario o il monitoraggio delle scorte», aggiunge Pontiggia.
In sostanza, i clienti che sceglieranno il negozio di prossimità non si troveranno nello stesso punto vendita nel quale sono entrati anni fa. E, cattiva notizia, non è detto che i negozi di prossimità siano per forza terreno esclusivo della distribuzione tradizionale. La Gdo, infatti, si è accorta del nuovo trend e provvede ad adeguarsi con retail adeguati. Catene come Pam o Esselunga hanno studiato format su superfici mini da inserire nel tessuto urbano e persino Ikea sta sperimentando negozi più piccoli, come il pop-up store a Roma specializzato sull’ambiente cucina, già aperto con successo.
Anche Leroy Merlin ha aperto uno showroom omnicanale a Roma, dove i punti di forza sono personale dedicato per consigliare il cliente e offrirgli soluzioni su misura, a cui si aggiungono corsi aperti per il fai-da-te.
Ci vuole intelligence
Il ritorno a superfici piccole e più vicine al cliente, insomma, deve essere accompagnato con intelligenza e innovazione. Paradossalmente, l’aspetto per il quale le rivendite di materiali edili si sono sempre vantate, cioè la conoscenza del prodotto e del cliente, saranno rese adeguate solo grazie a investimenti in tecnologie e con l’adozione di soluzioni sperimentate dalla grande distribuzione. La conoscenza personale non basta più. Ma oggi, per fortuna, la tecnologia non è più un costo insormontabile, a patto di sapere che cosa si vuole e come gestire i processi.
Anche il rapporto tra commerciante e cliente, infatti si trasforma. Anzi, si è già trasformato a causa (o per fortuna, secondo i punti di vista) di quell’aggeggio che tutti hanno in tasca: lo smartphone. Forse neppure Steve Jobs, che nei fatti ha inventato il telefono-fa-tutto giusto dieci anni fa, sospettava quanto impatto avrebbero avuto l’iPhone e i suoi fratelli.
Ma, nei fatti, internet e questo dispositivo sempre a portata di mano, hanno rivoluzionato non solo il modo di distribuire i prodotti, ma anche la stessa percezione di acquisto. La omnicanalità, cioè la necessità per il distributore di mettere a disposizione piattaforme diverse, digitali e tradizionali, che offrano allo stesso tempo la stessa facilità di acquisto, è una strada dalla quale nessuno può più tornare indietro.
Chi non dà un’occhiata sullo smartphone prima di entrare a fare acquisti in un negozio?
A meno che, ovviamente, non si stia cercando qualcosa che conosce già e con scarso valore aggiunto. Per questo genere di prodotti, però, il margine di valore aggiunto è molto basso. Bisogna pensare, invece, a quello che rende di più, ad alzare i margini.
E qui entra in gioco quella che Emilio Bellini, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Polimi, chiama omni-experience. «Il mondo del retail è definitivamente condizionato da una serie di modelli socio-culturali profondamente legati alla trasformazione digitale», chiarisce Bellini. «In particolare, i mutamenti sono stati ricondotti alla cosiddetta post-verità, ovvero alla tendenza dei cittadini a far prevalere l’emotività e le convinzioni personali e ritenere la verità un criterio decisionale secondario».
Insomma, non importa tanto il prezzo e (ahinoi) la competenza, quanto la capacità di presentarsi bene e fare colpo sul cliente. I tempi sono questi, lamentarsi non serve. «Il visitatore dello store non usa lo smartphone come un medium, ma lo sente come una naturale estensione del proprio corpo e del proprio modo di stare al mondo.
Di conseguenza, il valore della visita in negozio è sempre più legato al ritmo con il quale emozioni e sensazioni si succedono rapide, innescate dall’accostamento di input diversi e da collegamenti immediati, e dalla possibilità di sovrapporre più stimoli sensoriali, cognitivi e ludici», aggiunge Bellini. Si tratta, probabilmente, di un processo che coinvolge di sicuro punti vendita di prodotti come abbigliamento o elettronica.
Ma siamo sicuri che non sia anche quello che il cliente (sia privato o architetto) si attende quando deve scegliere i rubinetti della cucina, le maniglie della porta, le piastrelle, le ceramiche del bagno?
“Instanegozi”
Secondo Bellini, per esempio, emerge il fenomeno del negozio Instagrammable, parola che si riferisce al social basato sulla pubblicazione di immagini stimolanti. In questi negozi «ogni prodotto è presente come pure e semplice pretesto e allestimento di una scena che ospita dinamiche tipiche dei contesti di vita reali.
Tutto è disposto intorno a un cliente che può muoversi fluidamente, trascinando con sé canali di connessione e generando un’esperienza che punta sull’intensità e alla negazione di qualsiasi intoppo, discontinuità. distrazione dal momento vissuto». Non solo. L’analisi dell’Osservatorio lo spiega bene: l’esperienza che cerca il cliente non è più solo seduttiva, emozionante e coinvolgente, ma anche educativa.
Le mosse della Gdo
Ok, ma se il punto vendita vuole essere al centro, piccolo o grande che sia, non può quindi tralasciare una imponente iniezione di tecnologia. Tornare al centro del villaggio, insomma, non significa un cammino a ritroso nel tempo e riesumare un’archeologia commerciale che i clienti non vogliono più. Anche perché la concorrenza della Gdo non sta a guardare.
È vero che il negozio di prossimità è un modello che funziona, ma rischia di essere marginalizzato se non rispetta l’aggiornamento hi-tech obbligatorio. Un esempio? Quello di Leroy Merlin, che sulla tecnologia spinge l’acceleratore: «Un driver aziendale riguarda l’utilizzo di algoritmi predittivi», spiega Leo Tiso, marketing manager per i pagamenti digitali del gruppo francese.
«Lavoriamo su un mix di analisi dei dati acquisiti sul web e in negozio, per individuare quali sono i clienti che acquisteranno i prodotti e quali. Inoltre, abbiamo introdotto servizi come click and collect, l’acquisto online e il ritiro in negozio, l’eventuale reso di quello che si è acquistato online sempre sul punto vendita. Prossimo passo: usare la tecnologia per aiutare i clienti a trovare quello che stanno cercando in store. È questa, infatti, la richiesta più frequente ai nostri addetti».
Tecnoesperienze
Peraltro, anche una organizzazione tradizionale, come Confesercenti, si prepara a offrire ai suoi iscritti una app per digitalizzare anche i negozi più piccoli: «La bottega deve essere digitale, un punto dove si offrono anche servizi acquistati sul web come il click and collect», spiega il segretario dell’organizzazione, Mauro Bussoni, che si appresta a fornire una apposita app ai suoi iscritti.
Aggiunge Marco Geraci, project manager di Cds, azienda che in Sicilia distribuisce prodotti anche per Carrefour: «La omnicanalità deve essere parte integrante nel punto vendita, ma va utilizzata anche per creare campagne di marketing ad hoc, studiate grazie all’utilizzo della business intelligence».
E questo apre a un altro problema: è vero che il negozio di prossimità ha futuro, ma deve avere anche le spalle abbastanza larghe per poter investire nelle nuove tecnologie che, non bisogna dimenticarlo, sono in continua evoluzione. Di strada da fare, insomma, ce n’è ancora parecchia.