Sul mercato rame come oro

Rame come oro. Guerre, tensioni commerciali e una domanda crescente legata alla transizione energetica stanno spingendo il prezzo dei metalli e, tra questi il valore del rame, che dalla fine del 2024 a oggi è passato  passando da circa 8.800 dollari a tonnellata a inizio 2025 fino a sfiorare massimi storici a marzo. Non è arrivato ai  massimi storici, ma le previsioni indicano una tendenza di crescita costante, trainata da dinamiche strutturali difficili da invertire. L’impennata riflette un insieme di fattori: pressioni geopolitiche, rallentamenti nella produzione, impatti della crisi climatica e una domanda in forte crescita legata alla transizione energetica.

La corsa del rame
La corsa del rame

Il rame è uno degli elementi più richiesti per la transizione energetica: è impiegato in motori elettrici, cavi, batterie, sistemi fotovoltaici e turbine eoliche. Le sue alte proprietà conduttive lo rendono insostituibile. Ma trovare un giacimento di rame è sempre più raro. Un recente report S&P Global ha analizzato 239 giacimenti scoperti tra il 1990 e il 2023. Di questi, solo 14 risalgono all’ultimo decennio e rappresentano appena il 3,5% del totale in tonnellate di rame, mentre le scoperte tra il 1990 e il 2000 rappresentano il 70% del volume.

Circuito in rame
Circuito in rame

I tempi

Inoltre, il tempo per trasformare un giacimento appena scoperto in produttivo sta aumentando sempre di più. Se negli anni Novanta per rendere attivo un giacimento sarebbero bastati circa una dozzina di anni oggi il tempo si allunga, arrivando addirittura a 30 anni. Il rallentamento è dovuto soprattutto a normative ambientali più stringenti e alle crescenti resistenze da parte delle comunità locali. Non solo i giacimenti sono più rari: le concentrazioni di rame si abbassano, costringendo a scavare di più per ottenere meno.

In media, per ogni tonnellata di rame estratta vengono generate circa 5 tonnellate di Co₂ equivalenti, da due a quattro volte l’impatto di una tonnellata di acciaio. A questo si aggiunge il consumo idrico: fino a 500 mila litri d’acqua per tonnellata prodotta, con picchi più alti nelle zone aride.

Circuito in rame
Miniera di rame

«Gran parte delle emissioni proviene dalla fase di smelting, ovvero la fusione del minerale, un processo altamente energivoro ma basato su elettricità», spiega Saverio Lapini, Ceo e Co-fondatore di Ollum, società di consulenza specializzata in sostenibilità d’impresa. «È proprio qui che si gioca una delle maggiori leve di decarbonizzazione: se gli impianti di smelting utilizzassero energia rinnovabile, si potrebbe ridurre l’impatto del rame di circa il 30%».

Crisi climatica

Ma la bassa resa e la difficoltà nell’estrazione non sono le sole cause degli aumenti di prezzo. Gli effetti della crisi climatica stanno compromettendo la produttività stessa del settore estrattivo. I principali giacimenti di rame si concentrano in aree geografiche già oggi soggette a stress idrico estremo, come il Cile, il Perù e l’Argentina. In questi territori, la siccità cronica sta rendendo sempre più difficile l’accesso alle risorse idriche necessarie per l’attività estrattiva e metallurgica. L’acqua necessaria alla produzione è un fabbisogno che in aree desertiche può essere soddisfatto solo attraverso costose tecnologie di desalinizzazione, con ulteriori impatti economici e ambientali.

E la crisi climatica non si ferma all’acqua. Eventi meteorologici estremi, instabilità idrogeologica, frane e alluvioni stanno aumentando i rischi operativi nelle miniere. A questo si aggiungono le carenze infrastrutturali, che rendono difficile adattarsi rapidamente alle nuove condizioni. Il risultato è un settore esposto a ritardi, interruzioni della catena di approvvigionamento e aumento dei costi, con inevitabili ripercussioni sui prezzi globali del rame.

Tralicci per l'energia elettrica
Tralicci per l’energia elettrica

Soluzione ancora lontana

Il riciclo del rame è già oggi una leva fondamentale: la produzione da rottami copre circa il 30% della domanda globale. Tuttavia, non è sufficiente. Nonostante gli alti tassi di recupero, la domanda trainata dalla transizione energetica (veicoli elettrici, impianti rinnovabili, reti intelligenti) cresce più rapidamente della capacità di riciclo. «Il vero limite non è la volontà di riciclare, ma la tecnologia», continua Lapini. «Pensiamo all’ottone, che contiene fino al 60% di rame: oggi non esiste un sistema industriale efficace per separarlo da altri metalli come il piombo e recuperarlo in modo selettivo. Il rame rimane intrappolato e inutilizzabile.

Se vogliamo ridurre davvero la dipendenza dall’estrazione primaria, serve investire in ricerca applicata per sviluppare nuove soluzioni di recupero, più mirate, accessibili e scalabili. Solo così potremo costruire un’economia davvero circolare per i metalli».

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome qui