Di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno, secondo un vecchio detto. Ed è il caso del Sue, lo Sportello Unico per l’Edilizia. Si tratta di un servizio fornito dai Comuni italiani ai sensi del Testo Unico per l’Edilizia.
L’obiettivo dello sportello unico per l’edilizia è fare da intermediario tra la pubblica amministrazione e il privato che ha il bisogno di porre in essere un intervento edilizio: lo sportello comunale deve dialogare con le altre amministrazioni per acquisire pareri, atti di assenso e documenti. Per esempio, comunicazioni con i vigili del fuoco, Asl, Soprintendenze, Genio civile per ottenere permessi e certificati.
L’idea, insomma, è buona. Peccato che si sia trasformata in un caos. Il motivo? Ogni Comune ha deciso di fare a modo suo, o quasi.
Per esempio, 1.700 Comuni italiani utilizzano la posta elettronica certificata per scambiare le comunicazioni relative alle pratiche. Ma una città su tre utilizza una propria piattaforma, in molti casi acquistata da una società di software esterna, quindi incompatibile con le altre.
In un paio di casi c’è un miglioramento: in Calabria e Sardegna le piattaforme sono regionali e, perlomeno, possono dialogare tra loro su una porzione di territorio più vasta. Ma in tutti gli altri casi inviare dati, chiedere autorizzazioni e ricevere pareri da un’amministrazione all’altra diventa un incubo.
La soluzione adombrata, ma i tempi stretti sembrano un ostacolo insormontabile, è dotare tutti di una piattaforma informatica comune attingendo dai fondi del Pnrr. Visti i ritardi del Piano, con progetti che ormai sembrano irrealizzabili, questa aspirazione sembra un sogno. Eppure, bisogna arrivarci.
Secondo i dati resi noti dal governo, dei 7.904 Comuni censiti oltre 1.700 non hanno ancora una piattaforma, ma una semplice Pec per gestire le pratiche edilizie. Il 31,1% ha una piattaforma autonoma, acquistata da una software house o fatta realizzare in casa, il 29,2% dei Comuni utilizza Impresainungiorno, piattaforma di Unioncamere, a cui si aggiunge il 17,9% dei citati casi di Sardegna e Calabria.
Se si arrivasse alla creazione di uno standard unico, le piattaforme diventerebbero interoperabili tra loro e con il resto della Pa. In questo modo consentirebbero anche di censire le pratiche a livello centrale.
di Franco Saro