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Dal valore aggiunto all’aggiunta di valore: come cambiare per avere successo

(..) i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla
faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare”.

 

Così Tony D’Amato (alias Al Pacino) incalzava i suoi giocatori nella straordinaria pellicola di Oliver Stone, “Ogni maledetta domenica”. E da Tony D’Amato parte anche Luciano Ziarelli, coacher e ideatore del programma di formazione “Smile”, a cui hanno partecipato oltre 70.000 tra imprenditori, professionisti e manager di oltre 3.000 aziende, enti e associazioni di categoria.

 

«Un centimetro di lavoro fatto con passione può diventare una distesa infinita di chilometri di successo – afferma Ziarelli . In un mondo globalizzato, infatti, non basta più saper fare bene il proprio lavoro, bisogna saperlo fare bene e con passione. In passato la sfida per il successo era basata sull’affidabilità. Ora, in un mondo in cui devi rispondere agli stessi rischi dei tuoi competitor, il valore aggiunto del prodotto non basta più. Il mercato è talmente ampio che il lavoro si è ormai appiattito su una normalizzazione operativa, e le aziende sentono un disperato bisogno di ricollocare le intelligenze in vista sia dell’ottimizzazione interna che dello sviluppo di nuove idee». Per questo, prosegue Ziarelli, «per tornare a fare la differenza, è necessario puntare su un nuovo umanesimo nelle relazioni commerciali: bisogna passare dal valore aggiunto all’aggiunta di valore, dalla ragione al sentimento della relazione. La ragione compone la competenza e l’esperienza, ma serve anche intelligenza emotiva, coraggio e passione: a contare sarà come fai le cose, e non cosa sai fare».

 

Ma c’è un problema. «Abbiamo ancora la convinzione che tutto si possa misurare in maniera razionale, e ancora oggi i più grandi esperti mondiali non sono riusciti a capire come poter inserire in bilancio e dare il giusto valore a beni intangibili quali l’etica, la trasparenza, il sentimento, la lealtà. Siamo abituati a esercitare le nostre competenze, ma non a trasmettere agli altri il valore della passione. Tuttavia, in un contesto globalizzato in cui i prodotti si assomigliano molto, la scelta d’acquisto sarà sempre più basata sulla passione, la motivazione, la lealtà del personale presente in azienda. È qualcosa che non si può imporre, solo trasmettere e comunicare tutti i giorni».

 

Io non posso obbligarvi a lottare” – diceva infatti D’Amato, ma – (…) in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra,consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei (…) Allora, che cosa volete fare?”…

 

Nella foto: Luciano Ziarelli

Fakro alla conquista del mercato italiano

Nella foto: il direttore della divisione italiana di Fakro, Bruno Pernpruner
Nella foto: il direttore della divisione italiana di Fakro, Bruno Pernpruner

Sono passati due anni da quando Fakro è approdata nel nostro Paese con una filiale tutta italiana. Nonostante la congiuntura di crisi che ha invaso il sistema economico mondiale, la casa madre polacca ha deciso di scommettere sull’Italia, trasformando in realtà un progetto su cui stava meditando già da qualche tempo. «I prodotti Fakro erano presenti in Italia ormai da oltre 12 anni, ma commercializzati da una ditta distributrice esterna – spiega Bruno Pernpruner, direttore della divisione Fakro Italia -. A gennaio 2011, invece, l’azienda polacca ha deciso di aprire una filiale che rispondesse direttamente alla casa madre: è nata così la sede italiana di Fakro. Da allora siamo cresciuti e ci stiamo perfezionando per rispondere in maniera sempre più performante alle esigenze del mercato nazionale. La scelta di sostituire la precedente distribuzione, affidata ad un partner italiano, è arrivata dopo la valutazione positiva del mercato verso i prodotti Fakro. Il gruppo ha quindi scelto di investire direttamente in Italia offrendo una gamma più ampia e in pronta consegna, migliorando il supporto progettuale e l’assistenza tecnica. Gli ordini sono evasi in 24 ore, gli interventi post-vendita effettuati su tutto il territorio nazionale in tempi molto brevi. Il nostro obiettivo a medio termine consiste nel raggiungimento dei livelli di mercato che l’azienda possiede anche nel resto d’Europa e consolidare la nostra presenza nei mercati globali. A tutt’oggi, circa il 70% della produzione è destinata all’esportazione».

 

Per i prossimi anni Fakro ha in serbo diverse novità, mirate soprattutto all’acquisizione di nuovi punti vendita e allo sviluppo di nuove partnership con i professionisti della distribuzione edile, oltre che alla promozione dei suoi prodotti. «Abbiamo sviluppato un’importante azione promozionale rivolta ai rivenditori, legata alle tende ombreggianti esterne AMZ, e per quest’anno abbiamo previsto altre novità di prodotto» anticipa Pernpruner. L’ampiezza di gamma e soluzioni disponibili, la varietà dei materiali utilizzati, nonché la possibilità di produrre fuori standard su specifiche richieste del cliente, rende i prodotti e gli accessori Fakro adatti a rispondere alle esigenze di qualsiasi tipologia costruttiva, anche di soluzioni architettoniche di design, e a soddisfare quanto il mercato dell’edilizia richiede in termini di dimensioni, di sicurezza e di caratteristiche isolanti.

 

«Fakro offre una gamma di finestre con coefficiente termico da 1,3 W/m2K fino a 0,58 W/m2K, valore ottenuto in abbinamento all’apposito raccordo EHV-AT Thermo che rende sotto questo aspetto la finestra FTT U8 attualmente la finestra più performante sul mercato – dichiara Pernpruner -. Nel caso delle finestre super-termoisolanti FTT il doppio o triplo vetrocamera è collocato in un telaio con un’anta di innovativa progettazione con profili in legno di spessore maggiorato per ridurre al minimo i ponti termici ed aumentare l’isolamento della finestra. Il Kit isolante XDP serve poi per il fissaggio veloce e impermeabile della finestra con la costruzione del tetto, componendosi di una guaina impermeabile al vapore acqueo e di materiale isolante in lana di pecora. Il materiale termoisolante di lana di pecora possiede una densità ottimale e grande elasticità, garantendo il riscaldamento ottimale e l’impermeabilità intorno alle finestre». Il doppio o triplo vetrocamera garantisce un elevato coefficiente di trasmittanza del vetro (FTT U vetro = 0,5 W/m²K oppure 0,3 W/m²K) e consente di montare queste finestre nelle abitazioni ad elevato risparmio energetico come, ad esempio, negli edifici passivi. Inoltre, Fakro gestisce tutto il ciclo produttivo, a partire dalla lavorazione del legname, ed includendo anche la tempra e la produzione del vetrocamera. Questo consente di controllare i prodotti in ogni stadio della fase produttiva e verificarne ed attestarne gli standard qualitativi.

 

«Fakro è molto attenta al mercato italiano. Stiamo affrontando l’attuale situazione con determinazione e coraggio commerciale, cercando di tenere in equilibrio il desiderio di crescita economica con le difficoltà presenti attualmente, come la crisi di liquidità che sta toccando ogni anello della filiera – spiega il direttore della filiale italiana -. Con le rivendite abbiamo un rapporto diretto, sono da sempre il nostro target principale. La distribuzione copre tutto il territorio nazionale con 70 agenti, professionisti della vendita, a stretto contatto con la distribuzione e con la nostra struttura tecnico commerciale in Italia e in sede in Polonia. A loro, offriamo corsi di formazione e di aggiornamento costanti per apportare ai clienti valore aggiunto dato dallo sviluppo tecnologico del prodotto finestra da tetto».

Brianza Plastica: puntiamo tutto sull’innovazione

Nella foto: Alberto e Paolo Crippa nello showroom di Brianza Plastica

 

La cultura della copertura e dell’isolamento, questi sono gli elementi che caratterizzano il DNA di Brianza Plastica, azienda attiva da oltre cinquant’anni nella produzione di materiali e prodotti di alta qualità per il tetto e la coibentazione dell’edificio. «Brianza Plastica continua, nonostante la difficile congiuntura economica, ad offrire un’ampia gamma di prodotti, curandone non solo la qualità, ma anche il servizio, sia pre che post venditaafferma il Consigliere delegato, Alberto Crippa -. Per rispondere in maniera ancora più adeguata al nuovo scenario economico,Brianza Plastica ha inoltre voluto ottimizzare la propria filiera logistica, dalla produzione alla consegna. Oggi siamo in grado di fornire qualsiasi quantitativo di materiale con tempi di consegna quasi “just in time”. Siamo infatti convinti che al fornitore spetti l’onere di garantire consegne in cantiere della quantità necessaria e in tempi ridotti».

 

Di fronte a un mercato in continua evoluzione, l’innovazione è l’arma vincente. Con qualche punto fermo: «Da sempre Brianza Plastica ha un rapporto molto stretto con il settore della distribuzione di prodotti per edilizia – continua Alberto Crippa – e intende mantenerlo anche in questo difficile momento. Le criticità affrontate hanno inevitabilmente portato a una razionalizzazione del numero di clienti e a un’evoluzione del tradizionale rapporto cliente fornitore. Sempre più spesso, i nostri clienti diventano per noi dei veri e propri partner, con cui affrontare in sinergia le necessità di progetti complessi e innovativi, dall’analisi economica di fattibilità alla delicata consulenza con approfondimenti tecnico/formativi, fino alla definizione di prodotti con requisiti tecnici appositamente sviluppati».

 

Tra i fiori all’occhiello della produzione di Brianza Plastica c’è Isotec, il sistema termoisolante sottotegola per tetti a falda, che coniuga semplicità applicativa ed elevate capacità termiche. Isotec è disponibile anche nella versione XL con correntino maggiorato, nella versione Parete (consente di realizzare in un’unica soluzione tecnica un cappotto isolante ed una facciata ventilata) e Linea, per coperture e pareti non ventilate. «La nostra linea di prodotti comprende anche l’isolamento in polistirene estruso Elyfoam, i laminati in vetroresina Elyplast e i laminati piani Elycold ed Elyplan, studiati per applicazioni su veicoli ricreativi come camper e motorhome e sul trasporto isotermico in generale», illustra Paolo Crippa, consigliere delegato di Brianza Plastica.

 

Ad una gamma di prodotti tecnologici ad alte prestazioni, l’azienda affianca inoltre un efficace servizio post vendita. «I nostri tecnici qualificati forniscono qualsiasi chiarimento o richiesta di approfondimento in maniera completa e immediata, direttamente in cantiere. In più, alcuni prodotti, come il Sistema Isotec, vengono venduti con garanzia decennale, quindi con la certezza di un supporto post vendita per tutto il periodo successivo all’acquisto», spiega Alberto Crippa.

 

«Ci auguriamo che nel prossimo futuro, l’immobile torni ad essere considerato un investimento certo e sicuro e non un onere, come alcune scelte governative ed economiche hanno spinto a credere. Questo minimo ma importantissimo passaggio porterebbe, probabilmente negli anni successivi, nuovo fervore e interesse al settore, garantendo un ritorno all’ottimismo e alla fiducia, condizione fondamentale per permettere alle aziende di credere ed investire per il futuro – auspica Paolo Crippa. Per il momento Brianza Plastica manterrà aperti i consueti canali di vendita, oltre a incrementare le sue posizioni sui mercati esteri, affrontando con realismo le diverse sfide che il mercato ci presenterà».

L’occhio della telecamera che ridimensiona l’archistar

L’architettura contemporanea è fascinosa, ricca di spunti e talvolta tecnologicamente all’avanguardia ma molto spesso si scorda dell’uomo in quanto suo reale fruitore. Il contemporaneo dimentica di dover preferire l’usabilità alla fascinazione. Per questo l’archistar, o meglio le sue creazioni, sono molto spesso calamita di critiche. A questi quesiti, e forse in difesa degli artisti dell’architettura, risponde il tour Living Architectures Marathon, un progetto itinerante che porterà nei principali musei italiani di arte contemporanea una serie di film dedicati all’argomento. Il progetto creato e sviluppato da Ila Bêka e Louise Lemoine nasce dal desiderio di raccontare le architetture attraverso le persone che la abitano portando alla luce la vitalità, la fragilità e la bellezza degli individui che la mantengono ogni giorno. L’opera architettonica abbandona così la seduzione, risultato di interpretazioni che la vogliono monumento devozionale, e inizia a mostrarsi come il risultato dell’unione di spazi, di ambienti e di persone, ovvero come luoghi di vita quotidiana. Il progetto partito con il film “Koolhaas houselife”, nel quale la protagonista è la domestica della villa realizzata da Rem Koolhaas a Bordeaux, ha sin da subito riscosso un notevole successo invitando gli autori a produrre altri quattro film. Protagonisti della serie alcune opere di Richard Meier, Renzo Piano, Frank Gehry ed Herzog&De Meuron. Un lavoro imponente che, dopo le anteprime al Palais de Tokyo e alla Cité de l’Architecture di Parigi, questa estate sarà protagonista di un’intensa maratona di proiezioni gratuite, iniziata il 27 giugno al MAXXI di Roma e che si concluderà il 20 settembre a Casa Cavazzini di Udine. Nel mezzo, il progetto farà tappa anche alla Triennale di Milano, al Centro Pecci di Prato e al MART di Rovereto.

Lo Schweighofer Prize dice Italia

Il 2013 è l’anno della sostenibilità e molti progetti iscritti all’ormai tradizionale Schweighofer Prize, premio biennale dedicato al legno, ne hanno ribadito l’importanza. E a vincere è stato un italiano. Il Gran Premio 2013 è stato infatti assegnato a Federico Giudiceandrea della Microtec di Bressanone, un premio alla carriera e ai risultati di anni di attività di ricerca sul campo. L’ingegnere italiano ha dedicato una vita allo studio del legno grezzo realizzando oltre 60 brevetti e dedicandosi con passione a formazione, educazione e divulgazione del tema. Il concorso nato nel 2002 su iniziativa della famiglia Schweighofer, da anni impegnata nella lavorazione del legno e nella divulgazione di questa tipologia costruttiva anche attraverso il premio biennale, è stato assegnato come da tradizione all’interno del Municipio di Vienna. Oltre all’Italia altri quattro progetti – tedeschi, scandinavi e austriaci – si sono contraddistinti tra i 71 partecipanti, convincendo la giuria ad assegnare loro l’ambito Premio all’Innovazione. Ad essere premiati sono state le soluzioni come il Kiesteg Bauelemente – un elemento per la costruzione di legno efficace pur permettendo un uso ridotto di materiale con l’unione di legno e di lamiera forata, un’accoppiata resistente e di alto valore estetico; il Legno-Hybrid che somma i benefici del legno unito ad uno strato di cemento armato prefabbricato; e il Nordic Wooden Cities, ovvero una collaborazione tra enti pubblici e privati scandinavi per lo sviluppo di uno standard per le costruzioni in legno sopra i due piani. La cerimonia di premiazione è stata arricchita dall’esperienza offerta da Foresta Futura, un’installazione interattiva rappresentante il ciclo del legno e le interazioni tra natura, clima, economia e tecnologia.

Massello Roma di M.V.B. per il lungolago di Como

Ventidue giorni: è quanto è servito al Comune di Como per restituita alla città la porzione di lungolago tra piazza Cavour e i Giardini di Ponente, dopo anni di abbandono e di degrado. Frutto di un vero materiali e tecnologie che non costituissero alterazioni alla percezione del paesaggio, facili e veloci da posare, come i masselli autobloccanti Roma di M.V.B.

Dotato di una finitura superficiale simile alla pietra, Roma è studiato con distanziali sfalsati, che permettono l’incastro tra loro degli elementi modulari (interlocking system), e che garantiscono al sistema un’elevata stabilità. Proposto nello spessore di 8 cm risponde perfettamente a ogni esigenza di carrabilità, sia leggera che pesante. Da non dimenticare anche la facilità di posa a macchina del prodotto, in grado di velocizzare tutte le operazioni di cantiere.

I masselli Roma sono caratterizzati da un’eccezionale colorazione dall’effetto striato, unica nel suo genere, resa possibile dall’utilizzo di macchine ad alta tecnologia in grado di dosare in modo particolare i pigmenti inorganici di ossido di ferro Bayferrox. Sul lungolago di Como sono state utilizzate in particolare le colorazioni Lava per i viottoli di collegamento e Grigio serizzo per la passeggiata principale. La pavimentazione è inoltre stata dotata di inserti di masselli Quadro di 24 x 24 cm e Quadro Plus che permette il posizionamento di faretti a luce LED tricolore che creano giochi d’acqua di grande effetto scenico.

 

Credits

Committente: Comune di Como – Settore Grandi opere

Progettisti: arch. Gianmarco Martorana, arch Alessandro Neri  con Young Boys by Gianluca Zambrotta

Coordinatore del progetto: Daniele Brunati

 

Tutti insieme “liquidamente”

Le aggregazioni sono una delle strade per impostare politiche di sviluppo e condolidamento delle imprese nel mercato. La crisi impone una revisione dell’approccio, che oggi deve diventare più “liquido” e non più ancorato ai modelli standardizzati del passato

Il termine “aggregare” deriva dall’unione delle parole latine ad e gregare, con quest’ultima parola che a sua volta deriva da grex-gregis, gregge o “moltitudine”. In sostanza l’etimologia della parola significa “unire, aggiungere”, ovvero far aumentare un insieme con nuovi elementi. La fisica degli elementi peraltro ci ricorda che sono tre gli stati di aggregazione di una sostanza – solido, liquido e gassoso – e che dipendono dal tipo e dalla forza dei legami presenti tra le particelle elementari che compongono la materia. Come noto lo stato di aggregazione di una sostanza dipende da due caratteristiche fisiche: temperatura e pressione. Lo stato solido evidenzia l’impossibilità di aggregare nuovi elementi senza una adeguata pressione o cambiamenti sostanziali della temperatura, così come lo stato gassoso. Diverso è il discorso per lo stato liquido, l’unica condizione che permette aggregazione tra i componenti senza agenti esterni, in quanto le molecole sono libere di scorrere le une sulle altre e di amalgamarsi, soprattutto grazie alla possibilità di assumere la forma del recipiente nel quale il liquido è contenuto. La crisi delle costruzioni è come una delle forze necessarie a modificare una sostanza: ha una temperatura data dall’intensità della crisi e ha una pressione data dalla spinta a modificare lo stato delle cose. Così imprese che pensavano di essere “solide” si trovano inadatte ad affrontare un mercato che chiede loro di essere più flessibili, che chiede loro di trasformarsi e adattarsi ad un “recipiente” che stenta a contenerle o che non è più in grado di contenerle. Come fare dunque? Le imprese devono cambiare stato, devono diventare “liquide”. Il tema della liquidità non è una novità, ma lo è se applichiamo le tesi e gli studi filosofici e sociologici di Zygmunt Bauman, uno dei più noti ed influenti pensatori attuali, al settore. Bauman è un interprete originale della società contemporanea e ha studiato la modernità e la postmodernità, mettendole in relazione con i concetti di “stato solido” e “stato liquido” della società. Dal suo pensiero possiamo prendere alcuni spunti per riflettere sulle questioni relative alle aggregazioni e alla necessità di adattarsi ad un mercato che, incalzato dalla crisi, cambia. Bauman sostiene che la crisi è una condizione essenziale, una sfida per l’innovazione, ma che la sfida può essere vinta se si ha la capacità di gestire lo spazio e il tempo secondo meccanismi fluidi e non statici (quali sono quelli dei solidi). Bauman ha individuato nella liquidità e nella fluidità le componenti necessarie ad affrontare i cambiamenti che la modernità impone. Laddove i corpi solidi vengono forgiati una volta per tutte, preservare la forma dei liquidi richiede moltissima attenzione, una continua vigilanza e uno sforzo incessante e il successo non è mai scontato. Soprattutto è un lavoro di adattamento. Il lavoro di Bauman è sociologico e filosofico, ma se riflettiamo bene le analogie con l’organizzazione del mercato delle costruzioni e i sistemi di impresa sono notevoli. Il mercato delle costruzioni è organizzato su una filiera cristallizzata da anni in un insieme di rapporti, più o meno consolidati e  definiti, nei quali gli attori intepretano ruoli e utilizzano spazi che, di fronte alla crisi, impongono di essere rivisti. Ma “si è sempre fatto così”. Il refrain della prosecuzione della tradizione e del perpetuare modelli operativi sul mercato ben conosciuti, anche se non più adatti, rimane un ritornello ben noto ma ormai vecchio e superato. La logica dell’adattamento è la logica dell’evoluzione darwiniana. E’ la logica che vuole che un organismo si adatti all’ambiente che cambia, magari instaurando rapporti diversi con gli altri organismi, oltre che con l’ambiente stesso. Ecco che l’aggregazione ha una sua specificità e un suo senso profondo nella possibilità di essere il veicolo attraverso il quale le imprese possono farsi “liquide” nel mercato, fondendo le loro molecole ma mantendendo tutta la loro essenza e capacità. Ma al contempo acquisendo maggiore forza e potenzialità di penetrazione che una impresa “solida” non è da sola in grado di raggiungere. Aggregarsi, in senso “liquido”, vuol dire mescolarsi, non semplicemente avvicinarsi. Significa trovare le sinergie che permettono l’incremento delle dimensioni, la diffusione nel mercato, ma al contempo l’ottimizzazione dei sistemi di gestione, delle risorse finanziarie o delle strategie per finanziare le attività, delle risorse per lo sviluppo e per il marketing. E’ un modello nuovo che non è dato dalla somma semplice dei componenti. E’ un modello dove 1+1 deve fare 3. Dove l’aggiunta di un componente incrementa la conoscenza e l’intelligenza di tutto il sostema. Non una semplice aggiunta. Le aggregazioni possono essere realizzate su base territoriale, su base tipologica, su base produttiva o di mercato. Ma il punto chiave è che una aggregazione, per funzionare, deve considerare la trasformazione dei soggetti in un vero gruppo di vendita orientato al mercato. L’aggregazione funziona se le imprese guardano verso la parte bassa della filiera e non solo verso l’alto. E soprattutto se si definiscono compiti, ruoli e obiettivi. Aggregarsi temporaneamente per “prendere un lavoro” lascia il tempo che trova. Nel mercato attuale c’è la necessità di costruire alleanze strategiche basate su solidi obiettivi di lungo periodo. Il breve periodo non serve, non aiuta a traguardare oltre la crisi. Soprattutto l’orizzonte di breve periodo serve per affrontare la crisi. Ma non il cambiamento. Oggi serve affrontare il cambiamento, governarlo, individuare i driver futuri del mercato e su di essi impostare politiche di efficienza e di efficacia. E’ in primo luogo dentro le imprese che si deve recuperare competitività. E nell’aggregazione tra imprese se ne può recuperare molta. Impostare politiche aggregative coerenti deve essere il frutto di una attenta strategia di posizionamento e di offerta nel mercato. Tutte le imprese insieme, liquidamente, compenetrandosi e adattandosi al nuovo equilibrio che verrà, qualunque esso sia.

 

Belluno programma lo sviluppo futuro pensando alla sismicità

La Belluno di domani nasce dalla sua mappa sismica. L’amministrazione ha recentemente completato l’esame del territorio comunale e individuato le aree più o meno sensibili a un eventuale terremoto. Sulla base di questa mappa nascerà il prossimo piano di assetto territoriale del capoluogo

L’Italia negli ultimi anni si è scoperta molto più vulnerabile ai terremoti di quanto già non lo fosse. In particolare il terremoto del 2012 ha messo in evidenza che intere aree e regioni che un tempo erano toccate solo tangenzialmente dai fenomeni sismici, oggi possono essere soggette a notevoli danni e che, elemento ancora più preoccupante, le strutture edilizie in quelle aree nel passato sono state costruite tenendo conto di prescrizioni antisismiche che oggi non sono più valide e non permettono più di garantire una adeguata sicurezza. L’esperienza recente del comune di Belluno rappresenta pertanto un caso emblematico di come oggi si deve affrontare lo sviluppo futuro di un luogo, sia esso piccolo comune o grande città. Partendo cioè dalle effettive potenzialità di sicurezza del territorio. Belluno negli ultimi mesi, al fine di iniziare il percorso di avvio del nuovo Piano di Assetto del Territorio (il cosiddetto PAT, che da circa nove anni nella legislazione regionale ha sostituito i vecchi PRG) ha realizzato uno studio approfondito sul rischio sismico del territorio comunale e in base alle risultanze ha impostato le prescrizioni e le condizioni di attuazione della futura programmazione. Lo strumento del PAT è, analogamente a quello esistente in altre regioni e che prende altre denominazioni, un documento strategico di indirizzo che deve fissare le linee e gli obiettivi della pianificazione urbanistica e territoriale, valutando la sostenibilità delle scelte e l’iter della loro realizzazione, che è demandata a specifici e singoli Piani di Intervento (denominati PI). La decisione del comune di Belluno, alla luce di quanto accaduto in Italia negli anni recenti e di quanto ancora accade in questi giorni ad esempio in Lunigiana, è pertanto una buona pratica che, se ben costruita, programmata, monitorata e affiancata da un sistema solido di agevolazioni e incentivi per i privati che promuovano gli interventi anche di messa in sicurezza dell’esistente, può dare frutti concreti per abbassare il rischio sismico e impostare politiche di sicurezza adeguate. In questo senso, se la conversione in legge del decreto 63/2013 recepirà, coerentemente, le indicazioni di molti esperti rispetto ad un allargamento degli “eco-bonus” anche alle ristrutturazioni per adeguamenti antisismici, si potrebbe aprire una interessante stagione di investimento sulla sicurezza avviata dai singoli soggetti, ma supportata normativamente sia da piani di sviluppo coerenti, sia da adeguati regolamenti edilizi, sia da incentivi e agevolazioni fiscali. Come si dice in gergo, il combinato disposto tra strumenti della pianificazione e incentivi ai privati può veramente rappresentare un passo decisivo verso una maggiore coscienza rispetto alla sicurezza antisismica. E ciò rappresenta non solo un obiettivo futuro per le nuove costruzioni, ma anche uno stimolo ad intervenire sui tanti edifici, residenziali e non residenziali, che necessitano oggi di adeguamenti antisismici e che, per molti motivi, non vengono realizzati se non in presenza di precisi vincoli normativi. Al fine di perseguire un’efficacia politica e strategica si deve pertanto rovesciare l’approccio, puntando sulla prevenzione fino dalla costruzione dei piani regolatori, come il comune di Belluno sta dimostrando di fare, e spingendo sul sistema di incentivi e agevolazioni che, in questi anni, hanno dato ottimi frutti sulla ristrutturazione edilizia e sull’efficientamento energetico, ma che in futuro dovranno anche riguardare il rischio sismico. Già in passato era possibile detrarre dall’Irpef le spese, pagate con bonifico “parlante”, per le opere relative “all’adozione di misure antisismiche con particolare riguardo all’esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica”. Se veramente la conversione in legge del decreto 63/2013 vedrà aumentare le detrazioni al 65% anche per gli interventi di adeguamento antisismico degli edifici, si potrà impostare una vera politica di interventi diffusi sul territorio, tantoi urgente quanto neecssaria. Speriamo che il buon esempio di Belluno sia di stimolo per l’azione del Governo in questo senso.

Fassi Gru acquista l’azienda francese Marrel insieme a Miltra SAS

Il gruppo Fassi di Albino (BG) acquista una quota rilevante della francese Marrel SAS, storica azienda di Andrézieux-Bouthéon, non lontano da Lione, con 120 dipendenti e con origini che risalgono al 1919. Per il gruppo italiano, leader mondiale nella produzione di gru per autocarri, investire in una azienda che produce allestimenti scarrabili e multibenne, patografi per ribaltabili e cilindri idraulici, significa rimanere nel settore dell’allestimento dei veicoli industriali ampliando il proprio business. Fassi vuole così affiancare alle gru articolate questi nuovi prodotti in ragione delle loro interessanti prospettive di mercato.

Questa operazione di Fassi Gru è stata compiuta con Miltra SAS, importatore e distributore esclusivo per la Francia delle gru di Albino fin dal 1978. Insieme hanno acquistano dal gruppo finanziario Caravelle l’intera proprietà dell’azienda francese.

Marrel è una realtà conosciuta in Europa e negli Stati Uniti, il 55% della sua produzione è destinato all’esportazione. Il fatturato nel 2011 è stato di 32 milioni di Euro.

“La vocazione esportatrice del gruppo che guido stà ripagando degli sforzi compiuti negl’anni passati, quando la globalizzazione dei mercati era uno scenario riservato a pochi protagonisti” dice l’amministratore delegato Giovanni Fassi “Con questo ingresso in Marrel voglio dare una spinta alla crescita dell’export dell’azienda francese”. L’imprenditore italiano e
, il titolare di Miltra Sas, esprimono soddisfazione per la realizzazione di questa operazione “Miltra e Fassi Gru hanno alle spalle una solida collaborazione, la nostra determinazione oltre alla nostra collaudata intesa ci hanno spinti decidere per questo investimento”.

Il Gruppo Mapei raddoppia in Russia

Inaugurato ad Aramil il secondo stabilimento di produzione di Mapei Russia, un impianto che servirà i mercati degli Urali, Siberia e Kazakhstan.

Milano, 31 luglio 2013Mapei SpA – leader mondiale nel business dei prodotti chimici per l’edilizia, con più di 1.400 prodotti e più di 55.000 clienti in tutto il mondo, presente in 31 paesi nei 5 continenti – ha inaugurato in Russia il secondo stabilimento, 63esimo del Gruppo, che consente all’Azienda di aumentare la presenza in un mercato altamente strategico.

L’impianto – situato ad Aramil, nella regione di Sverdlovsk (Sud-est di Ekaterinburg) – servirà, con prodotti realizzati localmente, i mercati della regione degli Urali, Siberia e Kazakhstan.

Lo stabilimento di Aramil si aggiunge al sito di produzione di Stupino – localizzato a sud di Mosca su una superficie di 8.800 m2 con uffici per oltre 900 m2 – che, inaugurato nel 2007, è in grado di garantire una capacità di 100 mila tonnellate di prodotti finiti l’anno.

La sede commerciale, amministrativa e tecnica di ZAO Mapei è situata a Mosca in una zona centrale ma facilmente raggiungibile dalla rete autostradale ed in particolare molto vicina all’autostrada M4, che porta direttamente allo stabilimento e centro di distribuzione principale di Stupino.

La struttura di Mosca è dotata anche di un’ampia zona riservata all’Assistenza Tecnica per seminari e corsi di formazione per progettisti e operatori in edilizia.

Il team di Mapei Russia impiegato nei due stabilimenti, nella sede centrale e localmente nelle diverse regioni della Federazione Russa supera le 130 unità.

“La strategia di crescita di Zao Mapei è quella di interpretare le richieste locali del mercato in un Paese molto vasto, in grande e veloce espansione, con esigenze e caratteristiche diverse da regione a regione” dichiara Luciano Longhetti, Direttore Generale di Zao Mapei, che è affiancato localmente da Valentina Rosi, Vice Direttore Generale, e da Yuri Martirosow, Direttore Commerciale.

Siamo molto orgogliosi di poter raddoppiare la nostra presenza in un mercato fortemente strategico come quello russo – dichiara Veronica Squinzi, Responsabile Internazionalizzazione e Sviluppo del Gruppo Mapei – andando a toccare e servire Paesi dalle straordinarie potenzialità. Mapei ha ormai una consolidata presenza sul territorio russo, mercato che continua la sua crescita ed è estremamente aperto ad accogliere prodotti altamente tecnologici e innovativi, anche in edilizia, che permetteranno un miglioramento delle tecniche costruttive e quindi della qualità della vita.

Il Gruppo Mapei si sta espandendo in modo competitivo ed è pronto ad accogliere nuove sfide anche in regioni difficili come la Siberia e il mercato degli Urali.”

L’evento di Aramil dello scorso 30 luglio ha visto la presenza dei clienti della regione, oltre che delle maestranze locali e della dirigenza del Gruppo Mapei, ed in particolare del Presidente Giorgio Squinzi che ha accolto per l’inaugurazione le autorita locali e nazionali, fra cui il Sindaco di Aramil, ed ha incontrato molti giornalisti della stampa professionale ed economica.

“L’espansione sul mercato russo non è sicuramente finita e prevede già un ampliamento delle capacità produttive sul territorio” ha dichiarato Giorgio Squinzi durante la conferenza stampa, sottolineando il felice connubio fra i due Paesi Italia e Russia.

La costante internazionalizzazione del Gruppo Mapei, iniziata già dal 1978, è direttamente collegata alla crescita del fatturato avvenuta negli ultimi 20 anni: nel 1990 il fatturato aggregato era di 150 miliardi di lire, nel 2012 ha superato i 2 miliardi di euro, di cui il 70% proveniente da mercati internazionali.

Cresce il fatturato e cresce anche il numero delle sedi e degli stabilimenti di produzione Mapei: tra gli ultimi investimenti il nuovo sito produttivo in India, il terzo stabilimento in Francia e il secondo in Polonia, mentre – nei primi mesi del 2013 – il Gruppo Mapei ha finalizzato l’acquisizione della Wallmerk Construction, entrando nel mercato turco, e inaugurato a Barcin un nuovo stabilimento in Polonia.

Le tecnologie e la qualità Mapei sono scelte da un numero sempre crescente di clienti e sono impiegate nella realizzazione di progetti di importanza mondiale, tra i quali: il Nuovo Canale di Panama, la diga GIBE III di Addis Abeba (la più grande diga mai costruita al mondo), le gallerie Arroyo Maldonado di Buenos Aires, il Burj Khalifa di Dubai, l’aeroporto di Heathrow così come gli impianti sportivi indoor, outdoor e le infrastrutture dei Giochi Olimpici degli ultimi decenni (Beijing, Londra e prossimamente Sochi). Tra i progetti italiani le metropolitane di Roma e Milano, la linea ferroviaria Alta Velocità di Torino-Milano-Salerno e City Life.

 

 

 

Le novità per isolare alla perfezione la casa

A fronte delle nuove normative di efficienza energetica imposti dalle direttive europee. la coibentazione è divenuta un intervento ormai imprescindibile nella realizzazione di nuovi edifici e nella riqualificazione di quelli esistenti.

Moltissime le novità per isolare alla perfezione la casa, dal tetto alle fondazioni. Dai VIP ai Phase change materials, YouTrade vi porta alla scoperta delle ultime innovazioni tecnologiche, in grado di garantire performance sempre più elevate con spessori più ridotti. Lo speciale si sofferma inoltre sui principali interventi di coibentazione (tetto, pareti e pavimenti) e sui principali errori da evitare, per un lavoro a regola d’arte.
Da non perdere anche l’intervista realizzata con Oliver Rapf, executive director dell’Istituto Europeo per la Performance degli Edifici (BPIE) di Bruxelles, che presenta la “Guida per il Risparmio Energetico 2013”, e la rassegna prodotti.

 

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Facciamo la rivoluzione (digitale) a scuola

Da una ricerca condotta dall’Università Cattolica di Milano si evince che in Italia solo il 7% può vantare una connessione a internet. Se si pensa che nel Regno Unito questa percentuale è del 100%…

 

C’è ancora chi pensa che la transizione al digitale della scuola italiana si realizzi semplicemente attraverso l’acquisizione di dispositivi tecnologici. Per alcuni osservatori infatti – per non dire di certi decisori politici – la modernizzazione e l’aggiornamento della didattica si compie investendo in computer, tablet, video proiettori e lavagne attive multimediali (LIM). E se invece l’acquisto dei device fosse l’ultimo dei problemi?

Mi rendo conto, la mia può sembrare una provocazione. Eppure, alla luce dei dati emersi da una recente ricerca condotta dall’Università Cattolica di Milano per conto di Scuola Digitale l’urgenza parrebbe un’altra: la banda larga.

Esaminando la suddetta indagine sul campo si evince, infatti, che in Italia: a) solo il 7% delle scuole può vantare una connessione a internet tale da abilitare una didattica tecnologicamente aumentata in ciascuna delle loro classi; b) la percentuale sale al 10,96 se si considerano le scuole in cui ci si connette alla rete esclusivamente in alcune aule o laboratori debitamente attrezzati; c) per quanto concerne gli istituti secondari, quelli interamente connessi raggiungono il 13%.

Sono numeri che dovrebbero far riflettere specie se si tiene conto che, per esempio, nel Regno Unito ormai il 100% delle scuole è in grado di assicurare una connessione sufficiente e affidabile in ogni aula. E soprattutto se si pensa che, secondo le stime indipendentemente realizzate dall’Università Bocconi e dal Politecnico di Milano, un investimento compreso tra i 7 e i 9 miliardi di euro sarebbe sufficiente per fornire banda e dispositivi a tutte scuole pubbliche del paese con livelli di qualità pari a quelli d’Oltremanica. Una cifra considerevole, certo. Ma non per uno paese che intenda investire seriamente sul suo futuro.

Tuttavia, la disattenzione al problema-scuola in Italia non si misura solo attraverso parametri economici. Maggiore rilievo (anche mediatico) meriterebbe, tra l’altro, quel dibattito – troppo spesso riservato a specialisti e addetti ai lavori – dal quale emerge palesemente come lo sviluppo di nuovi modelli di didattica tecnologicamente aumentata possa realisticamente svilupparsi solo a condizione di riprogettare spazi e ruoli all’interno dell’ambiente scolastico.

Dopotutto, la tecnologia – come del resto qualsiasi strumento che media e articola le nostre azioni nel mondo e le nostre relazioni verso gli altri – non non è neutra. Comprenderne le logiche di fondo, oltre che le pratiche di vita e gli abiti concettuali da essa innescate, significa avviare una profonda quanto necessaria riflessione su cosa significhi oggi abitare il mondo. E significa anche intuire come debba cambiare un ambiente per ospitare le nuove strategie didattiche in grado di intercettare gli stili di apprendimento dei cosiddetti nativi digitali.

La tendenza a imparare ricercando ed esplorando, la consuetudine a una comunicazione multicodicale (testo, video, audio, ecc.), la accentuata indole cooperativa e molte altre caratteristiche individuate come prerogative distintive di questa nuova generazione non possono più convivere con una istruzione erogata in classi tradizionali, tramite lezioni frontali incentrate sull’autorità del testo e su nozioni da assimilare individualmente per “assorbimento”.

La “rivoluzione in aula” può dunque cominciare solo se l’introduzione della tecnologia è accompagnata da un progetto globale che, dalla banda larga alla disposizione dei banchi, sappia “spazializzare” le dinamiche e le caratteristiche pratiche e concettuali delle nuove forme di interazione, collaborazione e apprendimento.

Realizzare queste idee implica pertanto la progressiva evoluzione delle aule “storiche” in spazi (reali e virtuali) simili a laboratori, in grado di stimolare gli alunni a trasformarsi in “piccoli ricercatori”. Esistono diversi modelli per tradurre in atto tale epocale transizione, ma tutti condividono la necessità di incentivare una didattica (inter)attiva e partecipata funzionale anche a sviluppare capacità critiche e competenze trasversali, sempre più richieste dal “mondo de lavoro”. Suscitare interesse e attenzione sulla complessità e l’urgenza dei temi qui solo accennati credo sia il dovere di quanti ritengono che il futuro di un paese inizi a prendere forma proprio nelle aule delle proprie scuole.

Una ripresina è meglio di niente

Abbiamo davvero toccato il fondo? Possiamo guardare con più fiducia al futuro? Riusciremo a tornare a galla nonostante le intemperanze della politica? Tante volte, negli ultimi cinque anni, è sembrato di vedere la «luce in fondo al tunnel» (copyright Mario Monti). Invece, la ripresa è stata puntualmente rimandata a data da destinarsi. Una volta per colpa delle tensioni sui titoli di Stato, un’altra per il riacutizzarsi del virus greco, un’altra ancora a causa della crisi di governo: ogni previsione positiva si è scontrata contro muri invalicabili. Ora, però, si fa strada un cauto, lento, sorprendente ottimismo. Non euforia, beninteso. Ma quando più voci sostengono che siamo ormai seduti sul pavimento della crisi, e quindi non si può che risalire, si è tentati di cominciare a credervi.

Attenzione: le previsioni sono positive fino a un certo punto, perché, per esempio, sono state riviste al ribasso rispetto ai target più rosei fissati all’inizio dell’anno. Ma un segno di crescita è pur sempre un buon risultato. Prendiamo il Centro Studi di Confindustria, per esempio: in primavera aveva indicato una flessione del Pil per i 2013 dell’1,1%, con una ripresa intorno allo 0,6% l’anno prossimo. Visto come vanno le cose, ha rettificato: le previsioni indicano una flessione dell’attività produttiva più tosta, dell’1,9% per il 2013, e una risalita modesta (+0,5%) del Pil nel 2014. Insomma, quest’anno andrà peggio, ma l’anno prossimo meglio. Un aumento di mezzo punto non può certo provocare salti di gioia, ma si tratta pur sempre di una differenza di quasi il 2,5% se confrontata con l’abisso attuale. Per paradosso, una conferma è arrivata anche da Standard & Poor’s in occasione del recente declassamento dell’Italia. La società di rating ha perfino migliorato leggermente le previsioni per il 2014, con la stima del Pil innalzata dal +0,4% al +0,5%. Anche dalle imprese arrivano conferme: «Cominciamo a intravedere i presupposti di una lenta risalita, al punto da ritenere che riprenderemo a crescere dalla fine dell’anno», ha commentato Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel. Certo, se non si inverte la marcia, la ripresa sarà breve: dall’ultimo trimestre del 2007 al primo del 2013 le persone che hanno perso l’impiego sono 700mila, di cui quasi la metà tra il 2012 e il 2013.

Il vero nodo, insomma, è fare in modo che quando la palla rimbalzerà non cada di nuovo giù. Magari a causa di un governo poco capace.

Edilizia: Federcostruzioni chiede un incontro urgente al Governo

Allarme credito e un piano straordinario di opere utili ai cittadini

 

Un collasso annunciato. E’ quello della filiera delle costruzioni. Lo certifica oggi Federcostruzioni in occasione  dell’assemblea a cui  hanno partecipato tutte le maggiori associazioni del sistema industriale del settore.“Si è inceppato il funzionamento interno alla filiera delle costruzioni, denuncia il Presidente Paolo Buzzetti. “L’acuirsi della stretta creditizia, come emerge anche oggi dagli ultimi dati di Bankitalia, nei confronti dell’edilizia sta determinando un vero e proprio blocco delle forniture di materiali e prodotti verso le imprese di costruzioni.  Senza credito i cantieri si fermano. Diventa essenziale intervenire per restituire affidabilità e credibilità alle imprese, riattivando i flussi finanziari ordinari e rispettando i termini di legge previsti per i pagamenti delle committenze pubbliche”.

Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, intervenendo all’Assemblea, ha affermato che “solo la ripartenza dell’edilizia può far ripartire il paese. Se vogliamo che il settore torni a crescere in tempi rapidi, fungendo così da traino anche per gli altri comparti produttivi, abbiamo immediato bisogno di interventi specifici che rilancino gli investimenti in infrastrutture, in opere pubbliche, attraverso la riqualificazione del patrimonio abitativo esistente, con un’attenzione all’efficienza energetica e un occhio al dissesto idrogeologico. Il momento è delicato. Dobbiamo lavorare seriamente, con impegno e responsabilità da parte di tutti, e sostenere il Governo a compiere scelte politiche veloci, concrete e lungimiranti”.

Federcostruzioni chiede un incontro urgente al Governo e lancia un ultimatum  perché si affermi la consapevolezza che se si vuole realmente invertire il ciclo recessivo va allentata la stretta creditizia, puntare su un grande piano di investimento di opere pubbliche e non perdere l’opportunità di riqualificare il patrimonio edilizio e le città

Va garantito il lavoro, quello delle imprese e quello dei loro dipendenti e collaboratori. Ogni giorno  – ricorda il presidente di Federcostruzioni – scompaiono decine di imprese e si perdono posti di lavoro. Ormai per quanto riguarda la filiera delle costruzioni ci si sta avvicinando ad un numero sconvolgente: settecentomila persone entro l’anno, dall’inizio della crisi, non lavorano più. Serve un Piano straordinario da destinare a opere essenziali per i cittadini riallineando il nostro Paese agli standard europei, dai quali ci siamo allontanati progressivamente proprio a causa dell’abbandono degli investimenti, soprattutto in manutenzione”.

Tra i temi al centro del dibattito la contrarietà del sistema alle nuove norme sul concordato preventivo e l’invito a prestare la massima attenzione alle questioni etiche e della legalità

Nuovi sistemi costruttivi: ecco le novità dell’ultimo anno

Seppur lentamente, i nuovi sistemi costruttivi si stanno diffondendo sul mercato, anche grazie alle nuove normative che incentivano la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche sempre più integrate, prestazionali e attente all’ambiente. Legno, calcestruzzo extrafluido o fibrorinforzato, laterizi rettificati, il futuro delle costruzioni si gioca su materiali con ottime perfomance isolanti, che possono garantire risultati eccellenti anche con spessori ridotti.

Anche il mondo della progettazione è investito da questo processo d’innovazione, con una sempre maggiore integrazione fra struttura, involucro e impiantistica dell’edificio, e una visione a 360 gradi su tutte le fasi di costruzione attraverso la diffusione delle tecnologie Bim (Building Information Modeling), che consentono di tenere traccia e intervenenire contemporaneamente su ciascun elemento progettuale.
YouTrade propone una lettura critica di ciò che è successo negli ultimi anni, corredata da una rassegna delle principali novità di prodotto presenti oggi sul mercato.

 

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Il futuro è nelle supercittà (tra cui resta Milano)

Uno studio di McKinsey prevede che tra 13 anni l’economia del mondo sarà concentrata in 225 megalopoli, in gran parte in Asia

 

Anche l’economia ha i suoi Branko, specialisti nel predire il futuro. Non consultano, però, i quadri astrali, pianeti dominanti o congiunzioni di segni. Al posto di Bilancia e Leone, Sagittario e Capricorno, gli esperti di megatrend utilizzano numeri, statistiche, andamenti demografici. È la strada che ha seguito mesi fa anche McKinsey, il gruppo principe della consulenza. Il risultato ci riguarda da vicino: gli esperti, infatti, hanno studiato l’andamento (presumibile) degli aggregati urbani. E sono arrivati a una conclusione: il mondo si sta coagulando attorno a grandi città, che saranno il fulcro dello sviluppo e della ricchezza. Non solo: tra le 25 città in più rapida crescita a livello mondiale, 13 saranno cinesi. Non solo: nel 2025 saranno le 225 città più grandi a realizzare il 30% della crescita economica globale. Insomma, il pianeta si sta sempre più concentrando attorno a megalopoli, che diventeranno hub economici: più del 65% dell’economia mondiale dei prossimi anni si muoverà in queste 600 città in maniera significativa. Una tendenza che interessa anche le nostre imprese di costruzioni: per esempio, Mumbai (India) vedrà la realizzazione di infrastrutture idriche e di viabilità ed è quindi presumibile che lì saranno necessarie imprese per realizzare le infrastrutture.

Tra le big del pianeta, sembra quasi un miracolo, al momento c’è anche una città italiana: Milano. Nonostante tutti i suoi problemi, gli analisti di McKinsey, che ha condotto la ricerca a livello globale su 2.600 città, considerano il capoluogo lombardo come la tredicesima metropoli per Prodotto interno lordo (circa 382 miliardi di dollari). Milano sta fuori dai primi 25, invece, quanto popolazione e numero di giovani, mentre è quattordicesima se si conta la ricchezza delle famiglie. Insomma, anche se la crisi ha ridotto il peso della città lombarda, la definizione di capitale dell’economia italiana è ancora meritato. Il futuro, secondo McKinsey, è segnato in quanto a Pil (l’ingresso delle città cinesi farà recedere le metropoli europee), ma nel 2025 Milano resterà però nella classifica delle famiglie ad alto reddito. E in Europa, Milano resta quinta per Pil e quarta per reddito famigliare tra le città sopra i 70 mila dollari annui (dietro a Londra, Parigi e Mosca) e, sempre in Italia, Roma è tredicesima per tutti e due gli aspetti. Qualcosa cambierà nei prossimi 12 anni: sia Milano che Roma avranno perso posizioni nella classifica generale, ma resteranno comunque all’interno il ranking delle 25 migliori europee. In particolare, Milano sarà decima.

Il trend dei prossimi 15 anni, insomma, indica che c’è spazio e necessità di dotare Milano e dintorni delle adeguate infrastrutture urbanistiche e che il patrimonio edilizio dovrà essere all’altezza. Anche se nel frattempo il grande sviluppo si sarà spostato a Est, in Asia, la città italiana con maggiore sviluppo economico resterà centrale. Lo dimostra, anche se McKinsey non lo indica, il fatto che Milano e dintorni è l’area con il reddito medio più elevato (sotto la Madonnina siamo a oltre 35mila euro a testa, prima di molte città europee). E se allarghiamo l’orizzonte, al secondo posto per reddito pro capite troviamo città che ormai sono quasi hinterland del capoluogo: Bergamo e Monza, con 31mila euro. Insomma, il grande bacino che sta a nord della città si traduce in un maxi aggregato urbano dal reddito elevato. Nelle città del futuro, però, sarà fondamentale l’implementazione delle tecnologia. E qui Milano non primeggia, ma per poco: secondo la classifica appena stilata da Between che misura l’utilizzo dell’hi-tech per migliorare qualità della vita e ridurre la spesa, cioè quell’insieme di azioni che trasformano una città in una smart city. In questo caso Milano è seconda, preceduta di poco da Bologna. Un piccolo gap da superare per rimanere nel megatrend della grandi metropoli dei prossimi anni.

 

I numeri

In base ai dati (che sono però del 2010) raccolti da McKinsey, Milano è di gran lunga la città più ricca d’Italia, con 358,2 miliardi di dollari. Seguono a grande distanza Roma (182), Venezia (106,3), Napoli (86,1), Torino (84,8) e Firenze (61,5). Un primato negativo, invece, l’Italia lo conquista per concentrazione cittadina di pensionati. Nella classifica europea delle città con maggiore percentuale di persone a riposo spiccano Trieste, al primo posto assoluto, seguita da Genova. Terza è curiosamente la tedesca Chemnitz, ma al quarto posto ecco di nuovo un’italiana: Livorno, mentre al sesto c’è Ravenna. A livello mondiale, invece, la megalopoli con maggiore Pil è e resterà Tokio, seguita da New York. L’ascesa dell’economia del colosso cinese è invece simboleggiata dall’ascesa di Shanghai: tra una decina d’anni sarà al terzo posto mondiale per Prodotto interno lordo, mentre Pechino salirà in quinta posizione.