Che cosa sta succedendo a Milano? Se lo chiedono non solo i magistrati, che si sono già dati una risposta, ma anche cittadini e imprese. La città ha conosciuto uno sviluppo immobiliare impetuoso negli ultimi dieci anni, spinta dal successo dell’Expo nel 2015: circa 35 miliardi di euro di investimenti immobiliari. Sono sorti grattacieli e nuovi edifici in classe A, sono state demolite vecchie case rimpiazzate da palazzi più alti ed efficienti. Il nuovo volto di Milano, alimentato da un’effervescente numero di week (design, moda, arte, green, cultura) ha attirato anche un turismo fino qualche anno fa inimmaginabile, con beneficio per tutto l’indotto. E tanti nuovi cittadini dall’estero, in grazie anche all’agevolazione fiscale italiana per i super ricchi
Tutti motivi che hanno aumentato anche la fame di case. Certo, il boom della capitale economica d’Italia ha anche i suoi lati negativi. Il prezzo degli immobili è salito alle stelle e se questo beneficia chi vende un appartamento, rende inavvicinabile l’acquisto per chi ha uno stipendio nella media. Inoltre, quartieri un tempo popolari ora sono popolari soprattutto per i frequentatori della movida, mentre un gran numero di alloggi è trasformato in locali per affitti brevi.
Ma non è di questo che si è occupata la magistratura con le sue due iniziative. La prima, di un paio di anni fa, ha riguardato l’interpretazione dei permessi per costruire o, meglio, ricostruire. La Procura ritiene che l’intervento e le procedure di approvazione del titolo abilitativo (Scia) per diversi edifici abbiano diversi profili di illegittimità e che l’intervento di ricostruzione sarebbe dovuto essere subordinato a un Piano Particolareggiato, (strumento urbanistico di maggior dettaglio rispetto al Pgt), che avrebbe comportato maggiori obblighi economici del costruttore nei confronti del Comune. Insomma, il Comune avrebbe agevolato la costruzione a un prezzo più basso del dovuto. Palazzo Marino ha risposto che la legge urbanistica dello Stato a cui si riferisce l’indagine è del 1942 e ha avuto nel tempo numerose e sostanziali modifiche e integrazioni. L’ultima legge urbanistica regionale del 2005 è composta di 104 articoli e ha subito circa 60 varianti. Le leggi regionali dovrebbero sviluppare e integrare quelle nazionali. In realtà le incoerenze sono rilevanti. La Lombardia con l’articolo 103 della sua legge urbanistica ha addirittura stabilito che nel territorio lombardo alcune norme statali non si applicano. Il Governo non ha eccepito alcunché. Insomma, il rito ambrosiano rivendicato dal Comune nel concedere i permessi sarebbe organico alle regole stabilite dalla Regione. E così è stato per anni senza che nessuno avesse nulla da eccepire.
Per ovviare all’interpretazione della magistratura, che ha visto nella prassi milanese un via libera incondizionato alle imprese di costruzione, il Comune ha rivisto i criteri e i costi di urbanizzazione, e contemporaneamente è scesa in campo la politica con il decreto cosiddetto Salvamilano, approvato alla Camera, ma bloccato dal Senato. Anche perché qualche mese fa i sostituti procuratori (sono in tre) che conducono le indagini hanno fatto lievitare nell’aria un profumo di mazzette a carico di un funzionario di Palazzo Marino. Un inciampo che ha convinto un’ampia base di parlamentari a bloccare il Salvamilano. Risultato: cantieri sotto sequestro da due anni, cittadini che hanno già acquistato gli appartamenti in costruzione che hanno visto congelare i loro risparmi, e non si tratta di pochi euro.
L’altro caso, sempre per iniziativa degli stessi magistrati, è quello di cui riportano in questi giorni le cronache. In sostanza, da quanto si capisce, alcuni membri della Commissione paesaggio del Comune di Milano, organismo tecnico e non politico (ormai disciolto) che doveva dare un parere sulla fattibilità delle opere, e l’assessore competente avrebbero percepito anche incarichi dalle imprese che hanno presentato i progetti. Imprese di cui sono indagati con l’accusa di corruzione manager eccellenti e soci. Se l’accusa sarà confermata, si tratta di un evidente conflitto di interessi. Che il sindaco fosse a conoscenza e partecipe di questo conflitto, però, al momento non risulta.
Difficile capire se nel giudizio finale saranno individuate responsabilità perseguibili a norma di legge oppure si risolverà tutto, tra dieci anni visti i tempi della giustizia, in una bolla di sapone. Ma di sicuro qualche sentenza è già stata emessa: quella dello stigma mediatico, innanzitutto. Ma anche una condanna all’immobilità di un’intera metropoli, che ha investito sulla riqualificazione di intere aree della città. Se un permesso di costruire agevolato da amicizie e consulenze ben pagate non è certo una pratica commendevole, realizzare edifici residenziali in una città che vive una evidente emergenza abitativa è, al contrario, quasi un dovere. Certo, a costruire i costruttori ci guadagnano. E dovrebbero forse rimetterci?
La maxi inchiesta milanese, al di là delle responsabilità che possono essere accertate, rappresenta già diverse condanne, prima ancora che sia istituito un processo. Una condanna per le imprese, che ora sono bloccate e licenzieranno presumibilmente le maestranze impegnate nelle opere. Una condanna per le aziende come quelle di vendita di materiali, che hanno puntato sullo sviluppo di Milano. Una condanna per i progettisti, gli studi di architettura, gli ingegneri, per le agenzie immobiliari, per i venditori di arredi. Tutte condanne già eseguite, prima ancora della sentenza della giustizia.