La casa ecosostenibile che consuma solo 168 euro all’anno, certificata CasaClima Gold

In tempi di povertà, nel secolo scorso, il sogno cantato da un’intera generazione era di poter avere mille lire al mese, un sogno che avrebbe permesso di fare molte cose ma soprattutto, come recitava il famoso ritornello, «senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità».

Qual è la felicità oggi? In tempi di nuovo shock energetico, cinquant’anni dopo quello del 1973, che tutti abbiamo fissato come il periodo di austerity che, noi che eravamo bambini, avevamo battezzato come il periodo delle domeniche a piedi e delle strade libere dalle auto per pattinare, certamente il sogno di avere molti soldi a disposizione rimane valido.

Casa bene rifugio per il 73% degli italiani

Certo, la ricchezza non dà la felicità, ma certamente aiuta, potremmo aggiungere. Così, la famosa canzone cantata da Gilberto Mazzi nel 1939 citava cosa si sarebbe fatto con quelle famose mille lire al mese, tra le varie cose quella di avere una «casettina in periferia».

Dopo quasi un secolo gli italiani quella casettina ce l’hanno quasi tutti, in pratica oltre sette italiani su dieci, una percentuale tra le più alte d’Europa, in una classifica che vede al primo posto la Romania, seguita da Spagna (78%), Grecia (76%), Portogallo (74%) e Italia 73%), mentre paesi come Germania, Francia, Austria, Danimarca sono intorno al 50%.

Questa classifica è rappresentativa di un fatto ormai assodato, ovvero che in Paesi con condizioni economiche incerte e difficili il bene rifugio casa è al primo posto e dunque, più che le mille lire al mese, è la casa di proprietà il primo sogno degli italiani, un concetto che sta piano piano cambiando nelle nuove generazioni, ma che è ancora fortemente radicato nell’immaginario collettivo, al punto da rappresentare un elemento culturale del nostro profilo nazionale.

Casa mia, quanto mi costi? 

Ma se un tempo si poteva sognare una casa qualunque, anche in periferia, per essere fedeli alla famosa canzone, oggi in tempi di sviluppo sostenibile, economia circolare e nuova austerity, quale può essere e, aggiungiamo deve essere, il sogno degli italiani?

Non una casa tout court, ma una abitazione che consumi poco e che sia bella, confortevole e garantisca benessere, ovvero il massimo comfort al minimo costo. 

Perché oggi la sfida del costo di gestione di un’abitazione è il vero fattore determinante non solo per le singole famiglie, esposte agli innalzamenti dei prezzi delle risorse energetiche, ma anche per le decisioni politiche sulle azioni da mettere in campo per ridurre il deficit energetico e migliorare il livello dei consumi, eccessivi, delle nostre abitazioni.

Case vecchie ed energivore

In prima fila c’è, ovviamente, il binomio forniture-consumo di gas, che la Russia usa come strumento di ritorsione dopo le giuste sanzioni imposte dal mondo per aver avviato la guerra in Ucraina.

In questi mesi il Governo uscente è stato alle prese con il varo di misure contenitive dei costi, e così accade anche in altri Paesi europei. E nelle ultime settimane le decisioni vanno verso una nuova e necessaria, in questa emergenza, politica di austerity. Il problema non è tanto nella riduzione di 1 grado e nella soglia dei 19 gradi, che dovremmo impostare ai nostri impianti di riscaldamento questo inverno, ma nel fatto che queste manovre legislative si rendono necessarie perché il nostro patrimonio abitativo energeticamente è un colabrodo.

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I bonus energetici e il superbonus stanno dando una mano a migliorare la situazione, ma per ora possiamo dire che non abbiamo neppure raggiunto il 2% del nostro obiettivo. Le abitazioni in classe A, infatti, sono ancora molto poche, anche se il superbonus in un anno ha permesso di intervenire sull’1% del patrimonio abitato. Ma manca tutto il resto.

Ecco, dunque, che in tempi critici emerge tutta la debolezza della nostra forza, l’essere proprietari di case vecchie ed energivore. Certo, le nuove certificazioni energetiche degli ultimi anni mostrano un miglioramento della situazione, ma siamo ancora lontani, molto lontani dagli obiettivi che il nostro paese e tutta l’Unione europea si sono dati entro il 2035.

Case passive e attive

Che fare, dunque? Come sempre la risposta è semplice. Prendere spunto dalle buone pratiche e utilizzare tutti gli strumenti fiscali e agevolativi, oltre alle conoscenze tecnologiche e progettuali, che consentono di costruire oggi abitazioni non solo a consumo zero (case passive), ma addirittura produttrici di energia oltre al proprio fabbisogno, ovvero case attive.

Si può fare? La risposta è assolutamente positiva e ci sono casi che val la pena di raccontare perché non solo certificano che appunto «si può fare!», ma che si può anche impostare una politica che mette non solo il consumo energetico e il comfort al centro dell’attenzione, ma anche il recupero e il riuso come fattori strategici di una vera politica di economia circolare per le costruzioni.

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Si può fare: la casa passiva Malavasi a Spinea (Venezia)

Come nel caso di una nuova abitazione realizzata nell’hinterland veneziano, per la precisione a Spinea, voluta da un giornalista molto attento ai temi ambientali, Giorgio Malavasi, e da sua moglie Daniela, realizzata grazie a una progettazione attenta, non solo della casa in sé, ma di tutto il processo realizzativo, dall’architetto Denise Tegon, consulente esperto CasaClima.

In questo progetto, numero 39 in Italia tra le certificazioni oro di CasaClima, ha giocato un ruolo strategico la lunga esperienza di Tegon sui temi della sostenibilità in edilizia, maturata da circa vent’anni come progettista di edifici residenziali a basso consumo, poi concretizzatasi nel 2013 con il raggiungimento del titolo di Passivhaus Planer e negli ultimi anni come esperto CasaClima Oro.

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Fronte della casa

L’idea di fondo del progetto, che ha avuto un iter molto veloce in fase di realizzazione, ma che ha inizialmente preso forma nel 2017 in una serie di incontri e riflessioni tra Malavasi e Tegon, era trovare un edificio da ristrutturare e rendere ecologicamente sostenibile in tutte le sue fasi, da quelle di cantiere a quelle costruttive, fino a quelle relative alla gestione dell’immobile.

Il proprietario aveva già realizzato, nelle sue precedenti abitazioni, sistemi di produzione energetica da fonti sostenibili, ma la sua vera sfida era poter costruire e abitare un edificio interamente autosufficiente.

Il punto di partenza è stato individuare l’edificio adatto, cercato e poi trovato in una ampia porzione di vecchie case coloniche a schiera, abitazioni realizzate in economia, tipicamente senza fondamenta e con sistemi costruttivi ormai obsoleti, impianti scarsamente efficienti e strutture portanti sismicamente non adeguate. La storicità dell’edificio, non vincolato, ha tuttavia attivato una serie di riflessioni su come intervenire con il progetto di casa attiva.

La scelta è stata quella di optare per una totale demolizione e ricostruzione, che come noto si configura come ristrutturazione, beneficiando degli incentivi fiscali sia sulla parte strutturale, antisismica, che in quella energetica, ecobonus, consentendo di ridurre drasticamente i costi di intervento grazie alle defiscalizzazioni.

Recupero

Il punto di partenza dell’intervento è avvenuto prima della demolizione, con il recupero di tutti i materiali recuperabili dalla vecchia costruzione. In piena economia, Malavasi ha personalmente recuperato e trattato mediante idropulitrice, circa 6 mila mattoni pieni, 3.800 tavelle e 3.300 coppi, oltre a tutte le travature e i morali in legno.

L’opera di recupero e pulizia ha consentito di riutilizzare quasi tutti i materiali di costruzione con i quali era stata edificata la vecchia casa, in funzione estetica e strutturale. Molti mattoni sono poi stati utilizzati internamente all’abitazione per edificare muri interni e molte parti in legno sono state riutilizzate, dopo adeguato trattamento con spazzolatura e verniciatura, per rivestimenti interni ed esterni.

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Interno della casa, con il grande muro interno realizzato con i mattoni originali recuperati

Struttura costruttiva

La struttura costruttiva è stata eseguita mediante posa di una platea di fondazione in cemento armato completamente isolata dal terreno circostante sulla quale sono poi state posate le pareti portanti in Xlam, realizzando poi sulle facciate esterne un sistema a cappotto con rivestimento di 24 centimetri e, in alcune parti della casa, in particolare nella zona bagni, ampliato a 44 centimetri.

Il tetto, ventilato, è stato realizzato mediante recupero totale dei coppi preesistenti, con sistema alla piemontese, e sul tetto, integrato a livello dei coppi, è stato realizzato un impianto fotovoltaico di 10,2 Kwh di potenza.

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Il retro della casa dove si può osservare il sistema del tetto ventilato in legno
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Dettaglio del tetto e dell’impianto fotovoltaico da 10 Kwh

Impianti

L’impianto, collegato a pompa di calore e con sistemi di ventilazione meccanica controllata, alimenta energeticamente la casa sia dal punto di vista del riscaldamento e raffrescamento, sia per l’energia di consumo per il funzionamento degli impianti luce, di alimentazione degli elettrodomestici e del piano cottura.

Inoltre, l’impianto è collegato a un sistema di batteria di accumulo di potenza pari a 16 Kwh, il che permette di alimentare anche la ricarica dei veicoli elettrici, in particolare un’auto ibrida.

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La casa illuminata di sera grazie alle batterie ad accumulo caricate dai pannelli fotovoltaici

In sostanza, l’abitazione risulta dipendente solo dal collegamento alla rete elettrica e non a quella del gas, dunque abbattendo una delle fonti energetiche non rinnovabili utilizzate normalmente per la gestione energetica delle nostre abitazioni.

Inoltre, un altro passo importante, in termini di circolarità riguarda la realizzazione di un sistema di decantazione delle acque bianche e nere, con vasche strutturate in modo da alimentare una vasca finale di fitodepurazione, di circa 25 metri quadrati, profonda un metro, nella quale la piantumazione di canne e iris consente di non collegarsi alla rete fognaria, peraltro non presente in zona, con ulteriore risparmio sui costi di gestione.

Complessivamente, l’intervento ha avuto un costo medio di 2.500 euro al metro quadrato, con un tempo di rientro dell’investimento, calcolato in termini di benefici fiscali e risparmio in bolletta, di sette anni.

Conclusioni

Che cosa imparare da questo caso, uno dei tanti che stanno iniziando a superare la soglia della buona pratica e piano piano si stanno affermando come le punte di diamante di un nuovo modo di pensare e progettare sostenibile?

Il primo elemento di riflessione è il pensare, prima ancora di progettare. L’esempio di casa Malavasi evidenzia una riflessione profonda di un cittadino rispetto al vivere sostenibile, non solo in termini economici, ma soprattutto ecologici, un cliente che ha poi trovato nel progettista, in questo caso Denise Tegon, ormai molto affermata in questo settore, un interlocutore in grado di comprendere le aspettative del cliente, trovare le soluzioni e soprattutto metterle in opera, attraverso una progettazione che ha coinvolto nelle fasi realizzative una filiera articolata di imprese di produzione di materiali e di artigiani in grado di condividere il progetto, lavorando in qualità.

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Dettaglio del sistemi di infissi ad alte prestazioni

Prova ne è il tempo di realizzazione dell’intervento, che dal momento della demolizione a quello dell’ingresso nella nuova abitazione, con conseguente inaugurazione alla quale hanno partecipato tutte le maestranze coinvolte, ha impiegato complessivamente solo cinque mesi.

Oggi, dopo 14 mesi di vita all’interno della nuova casa, dopo un inverno e una estate, il bilancio economico di Malavasi racconta di una casa che ha risparmiato oltre 5,6 tonnellate di Co2, equivalenti ad aver piantato 167 alberi, e che energeticamente cosa circa 50 centesimi al giorno. Altro che austerity: questa è la nuova politica della prosperity!

I 50 centesimi al giorno equivalgono a 3,5 euro a settimana, 14 euro al mese e circa 168 euro all’anno, costi dovuti al differenziale tra energia prodotta, consumata direttamente, immessa in rete o consumata mediante allaccio alla rete nazionale.

Ma, a ben vedere, il maggior consumo di energia lo assorbe il caricamento della macchina ibrida, che porta a dire a Malavasi che se dovesse rifare il progetto l’unica cosa che migliorerebbe sarebbe l’impianto fotovoltaico, che realizzerebbe doppio rispetto a quello attuale, ovvero 20 Kwh invece di 10, raggiungendo così la totale e piena autosufficienza energetica. 

In tempi di austerity un modello sul quale non solo riflettere, ma da copiare e promuovere per un nuovo e più solido modello di prosperity energetica ed ecosostenibile a livello nzaionale.

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