Finco: non tornare alla Legge Obiettivo

Infuria la polemica sl Codice degli appalti, contestato dalle grandi imprese appaltatrici e difeso, nella sostanza, dalle piccole specializzate. «Questo importante settore dell’economia, avrebbe necessità di un po’ di tranquillità per andare avanti, non di essere costantemente modificato», scende in campo la presidente di Finco, Carla Tomasi. «La motivazione, ma in qualche caso diremmo meglio il pretesto, è sempre lo stesso: snellire le procedure ed avvicinarsi all’Europa. Intenti entrambi lodevoli, bisogna vedere come vengono attuati». 

Secondo alcuni operatori, obietta Finco, meno regole e controlli ci sono, meglio è: ma negli ultimi anni questa posizione non è più così condivisa. Gli operatori istituzionali ed economici, come hanno ad esempio dimostrato i documenti di consultazione diramati dall’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici e Anac, non vanno in questa direzione. 

Le imprese specializzate, infatti, richiedono più regole, anche di indirizzo (soft-low) e più controlli, perché solo così sono tutelate contro le approssimazioni e la delinquenza organizzata che spesso e volentieri si infiltra negli appalti, senza contare l’interesse generale alla qualità dell’opera.

Altri vorrebbero invece tornare ai poteri che garantiva loro, di fatto, la Legge Obiettivo (quella promossa dal primo governo Berlusconi). Questa diversità di posizione, spiega Finco, è per certi versi insanabile: ogni volta che arriva un nuovo ministro delle Infrastrutture viene invariabilmente abbordato dai grandi centri di interesse dei lavori pubblici per cercare di orientarne le strategie verso una deregulation del settore in nome dell’efficienza e della libertà di impresa.

La voce delle imprese specialistiche, protesta la federazione guidata da Carla Tommasi, è spesso ascoltata in seconda istanza, come se rappresentasse una realtà di nicchia non meritevole di incidere sugli orientamenti legislativi. Al contrario, il parere delle imprese specialistiche, da sempre critico verso la Legge Obiettivo, si è rivelato lungimirante. Gli innumerevoli danni provocati al sistema dalla legge Obiettivo hanno peraltro, alla fine, provocato anche la disfatta dei vecchi potentati delle opere pubbliche.

Portare a termine Tav e Tap

Questo il punto cui è pervenuto il cammino della regolamentazione dei lavori pubblici: rispetto alle politiche indiscriminate di grandi lavori che spesso non servono («con ciò per carità finiamo quanto abbiamo già iniziato tipo Tap e Tev») e che altrettanto spesso, in passato, hanno lasciato opere incompiute. Occorre, invece, rendere sempre più smart il territorio nelle sue quattro fondamentali declinazioni: le strade, i fabbricati, le città, la campagna.

«Noi siamo certi che questo Governo non voglia effettuare un cammino verso politiche di forte ritorno alle grandi opere, alla liberalizzazione selvaggia del subappalto eccetera». A quest’ultimo riguardo, il vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ha affermato che occorre, anzi, evitare che le Pmi negli appalti pubblici finiscano per svolgere solo lavori in subappalto. Ma, nota Finco, a ciò non si perviene certo eliminando l’attuale limite del 30% ed altri presidi, come richiesto dalle imprese generali. 

Finco, infine, intende sollecitare il governo, ed in particolare il ministero delle Infrastrutture, a tenere nel massimo conto i reali requisiti qualitativi ed organizzativi delle imprese, in particolare la qualificazione della rilevante gamma di specializzazione, che costituisce il nucleo centrale delle eccellenze tecnologiche ed innovative del lavori pubblici del nostro Paese, dal restauro alle fondazioni, dall’archeologia alle opere prefabbricate, dalle dotazioni per la sicurezza stradale agli impianti tecnologici, dalle facciate continue, ai prodotti industriali per l’efficienza energetica e sismica, dalla costruzione del verde alle bonifiche belliche.

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