Una scomoda verità sulle tasse

La pressione fiscale è aumentata, nonostante le promesse. Ma i dati indicano che i conti non tornano.

Una scomoda verità. È il titolo di un libro e di un film che, nel 2006, hanno contribuito a una presa di coscienza sul problema della sostenibilità ambientale. Ma lo stesso titolo potrebbe essere adottato per parlare di un aspetto ancora più scomodo: le tasse. Una parola che in automatico provoca l’orticaria e che, non a caso, tutti i partiti si affrettano a inserire nel loro programma elettorale, che di solito dura quattro anni. Per promettere di abbassarle, naturalmente.

I dati pubblicati dall’Ocse qualche giorno fa indicano che la pressione fiscale in Italia è intorno al 42,8% del Pil (al 2024). L’Italia è quindi al quarto posto tra i paesi avanzati, dopo Danimarca, Francia e Austria. E invece di diminuire come promesso, in Italia la pressione fiscale ha registrato un aumento di 1,1 punti rispetto al 41,7% del 2010. Numeri che sarebbe bene i cittadini tenessero a mente quando leggono i proclami di chi si propone di abbassare le tasse o addirittura giura di averlo già fatto.

Avanzo di gestione
Euro

Ma la parte più scomoda dell’argomento è un’altra, come ha fatto notare un esperto come Alberto Brambilla, sui dati dell’Osservatorio sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef, realizzato dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali su dati Mef e Agenzia delle Entrate. In Italia vive una popolazione di quasi 59 milioni di residenti. Di questi, solo 42,5 milioni hanno presentato una dichiarazione dei redditi. Ne consegue che per ogni modello Unico o equivalente presentato, corrispondono 1,386 abitanti. Ma non è questo il punto. Sui quelli che hanno presentato la dichiarazione al fisco, 1,2 milioni hanno denunciato un reddito nullo o negativo. Per questo non pagano né tasse né contributi. A proposito, ci sono illustri economisti che sostengono che non c’è nessuna emergenza povertà e che il reddito disponibile è aumentato: lo dicano ai 170 mila in più (rispetto al 2023) che dichiarano un reddito nullo. Altri numeri: quelli che hanno versato almeno 1 euro di Irpef sono 33,5 milioni, cioè poco più della metà degli italiani. Ma come è possibile, visto l’occupazione è aumentata? Più lavoro sì, ma a retribuzione bassa.

Altri numeri dell’Osservatorio: il 43,15% degli italiani non ha (o non denuncia) redditi e non paga tasse. Gli stessi, però, godono del diritto di mandare i figli a scuola gratis o quasi, all’assistenza sanitaria (con tanti problemi, ma pur sempre presente e gratuita), ai servizi comunali, alla protezione delle forze dell’ordine, eccetera. Servizi che pagano gli altri. L’analisi, però, è ancora più scomoda, perché indica che il 72,59% di chi dichiara redditi fino a 29 mila euro e paga solo il 23,13% di tutta l’Irpef. E se si considera l’intero ceto meno abbiente, cioè i primi quattro scaglioni Irpef, si scopre che nel primo rientrano i citati redditi negativi (1,2 milioni), e il secondo scaglione è formato dai 7,3 milioni che dichiarano da 0 a 7.500 euro lordi all’anno, che corrisponde al 17,12% del totale. Le tasse pagate, in questo caso, sono limitate in media a 26 euro l’anno. I 7,7 milioni che guadagnano tra i 7.500 e i 15 mila euro lordi l’anno (terzo scaglione Irpef) paga in media 296 euro, mentre chi vive con un reddito tra 15 mila e 20 mila euro (5 milioni) versa un’imposta media annua di 1.817 euro. Le prime quattro fasce sono composte, quindi, da 21,2 milioni di dichiaranti, che versa il 6,45% del totale Irpef (11,69 miliardi). L’Osservatorio ha calcolato che per queste fasce più deboli della popolazione la spesa pubblica è di 2.222 euro pro capite, in tutto 53,7 miliardi.

L’analisi prosegue con i dati che riguardano le altre fasce, più ricche, della popolazione. Ma la domanda è: davvero metà degli italiani (le prime quattro fasce) è così povera? È possibile che solo poco meno di un sesto della popolazione dichiari redditi oltre 35 mila euro? E che 11,7 milioni di italiani vivano con redditi da zero a 7.500 euro, in media di circa 312 euro lordi al mese? Forse l’evasione è molto più diffusa e poco perseguita di quanto dovrebbe. Per abbassare le tasse, insomma, bisognerebbe prima farle pagare a tutti.

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