I dilemmi della transizione green

Possiamo permetterci un’Europa green? Dopo gli anni in cui la sensibilità per l’ambiente ma, badate bene, anche ai consumi di energia, erano al primo posto, sull’onda della spinta delle nuove generazioni sensibili a questo tema e della necessità di affrancarsi dal gas russo, l’entusiasmo sembra essersi spiaggiato come una balena che ha sbagliato rotta. Ovviamente, nessun politico si sogna di dire che se ne impippa di inquinamento e consumi di gas per riscaldare le case. Ma, nei fatti, il «drill baby drill» (perfora, baby, perfora) di Donald Trump, riferito all’estrazione di petrolio, è fonte di ispirazione per molti anche in Europa. A dispetto dei disastri provocati da un clima sempre più estremo.

La sede parlamentare a Bruxelles
La sede parlamentare a Bruxelles

Nei fatti la Commissione di Bruxelles sembra avviata a ridimensionare o cancellare vari pezzi del Green Deal, nome che si riferisce a un insieme di direttive sul clima (tra cui Case green) approvato nella scorsa legislatura. Un esempio del clima politico meno propenso ai temi ambientali è quello che riguarda la direttiva Green Claims, che avrebbe vietato alle aziende politiche di greenwashing, cioè farsi pubblicità vantando compatibilità ambientali che non sono verificate. La direttiva bocciata introduceva la possibilità di controlli. Il governo italiano si è pronunciato contro e l’approvazione è saltata. La Commissione, inoltre, ha rinviato di un anno l’applicazione di una legge contro la deforestazione, di due anni il limite per le aziende automobilistiche di adeguarsi agli obiettivi sulla riduzione delle emissioni inquinanti.

Ma sarebbe ingiusto additare i contrari al Green Deal e i tentennamenti della Commissione solo come una rivincita degli inquinatori. Perché sulla transizione green pende l’interrogativo espresso all’inizio: possiamo permetterci il Green Deal? L’esigenza di abbassare, o ancora meglio cancellare, le emissioni di Co2 e, più in generale, l’inquinamento provocato da vetture e abitazioni è un imperativo categorico soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Ma è inutile girarci introno: le auto elettriche e le riqualificazioni degli edifici costano.

Lavori al parlamento europeo
Lavori al parlamento europeo

Rimangono, per ora, le linee direttrici decise dal precedente Parlamento europeo, su input della Commissione: blocco della produzione di motori termici a partire dal 2035 e riqualificazione energetica di almeno una parte (classe G) degli edifici per il 2033. Traguardi ideali. Gli sforzi economici e l’impegno per decarbonizzare l’Europa, cioè il 6,7% delle terre emerse della Terra, sono un obiettivo velleitario? Il Vecchio Continente si trova di fronte a un bivio: non fare nulla, perché il resto del mondo, che occupa il 93,3% della superficie terrestre non fa nulla, o dare il buon esempio. Nel 2023, l’Unione Europea ha prodotto il 6,4% delle emissioni globali di Co2 ed è al quarto posto tra i maggiori inquinatori dopo Cina, Stati Uniti e India. Migliorare la classe G, che comporta un intervento contestato in partenza da almeno una parte politica e dalla resistenza di chi non ha soldi da investire, è una soluzione? Prendiamo il caso delle auto: un motore elettrico è, sulla carta, meno inquinante di un motore a gasolio. Lo è anche produrre l’elettricità per ricaricare le batterie? E che dire della produzione degli accumulatori, che inevitabilmente renderà la filiera dell’auto ostaggio di produttori di materie prime e terre rare come Congo e Cina, così come lo è stata finora l’Europa con le forniture di gas russo? Gli stessi dilemmi si possono applicare per lo stop applicato alle caldaie a gas condominiali, anche quelle finite nel mirino della politica ambientale europea. Insomma, la ricetta per vivere green è complicata e l’Europa rappresenta solo una piccola parte del problema. Eppure da qualche parte bisogna pur cominciare.

La bandiera europea in versione green
La bandiera europea in versione green

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