Ogni tanto anche chi bada quotidianamente al proprio lavoro o al proprio business farebbe bene ad alzare la testa per guardare l’orizzonte. No, non per una pausa in vista di un selfie con alle spalle un tramonto o un paesaggio pittoresco. L’orizzonte, in senso figurato, è quello che concerne i grandi trend che muovono e a volte sconquassano il mondo. Uno di questi riguarda da vicino il mondo dell’edilizia ed è quello della transizione green. L’Europa è la protagonista nel processo di riduzione delle emissioni, sia per quanto riguarda il settore automotive sia per quello delle costruzioni, con la direttiva Epbd che deve (o dovrebbe) spingere a una radicale riqualificazione degli edifici.
Ma c’è chi, anche in Italia, è contrario al processo di transizione green. Il principale argomento per supportare questa ostilità è che il resto del mondo va per conto suo e non bada troppo, nei fatti, all’aumento globale della temperatura. A partire dagli Usa, il principale alleato storico dei paesi europei e il più importante mercato di sbocco, anche dopo i dazi. Donald Trump ha messo da parte le preoccupazioni per l’ambiente e spinge per trivellazioni e oleodotti anche nelle aree incontaminate. La Casa Bianca, inoltre, ha imposto alla Ue di importare a prezzo maggiorato 250 miliardi di dollari di energia americana all’anno. Con questo balzello l’Ue potrebbe dipendere dagli Stati Uniti per il 70% delle sue importazioni energetiche. Inoltre, si tratta di una enorme quantità di gas liquido da gestire (basti ricordare le proteste in Italia per i due terminal attivi) e che nei fatti nessuno sa come utilizzare.
Nell’altra parte del mondo si trova la Cina, il maggiore emettitore globale di Co2, con il carbone che rappresenta oltre il 50% del suo mix energetico. Inoltre, ha appena stretto un accordo con la Russia per un gasdotto che dovrebbe triplicare l’import. Non solo. La Cina oggi domina tutta la filiera delle rinnovabili: non solo sforna auto elettriche come fossero baguette, ma anche la quasi totalità di pannelli solari e batterie, oltre a essere leader mondiale nella lavorazione delle materie prime necessarie per le tecnologie dell’energia pulita. Per rendere l’idea: la Cina rappresenta oltre l’85% della fornitura globale di materie rare, con il 60% del litio e il 90% della grafite anodica mondiale. Insomma, senza la Cina non avremmo energia solare a prezzi accessibili o veicoli elettrici competitivi. Gli Stati Uniti, però, chiedono di alzare un muro verso Pechino. Insomma, l’Europa si trova stretta tra due fuochi. Senza la Cina i pannelli solari e le componenti per veicoli elettrici potrebbero aumentare i costi dal 30 al 50% e addio transizione green. D’altra parte, non è che Pechino, stretto alleato di Mosca, sia una garanzia per il futuro.
Sembrerebbe uno scenario che scoraggia qualsiasi velleità green. Ma bisogna aggiungere due considerazioni. La prima è che chi si proclama contrario alla transizione dimentica che ora l’Europa è comunque ostaggio dei produttori di petrolio e gas, dai paesi del Golfo fino all’Algeria. Se volessero chiudere i rubinetti sarebbero guai e, in ogni caso, prima o poi i giacimenti si esauriranno (sui tempi i pareri divergono) e bisognerà comunque contare sulle rinnovabili. La seconda considerazione è che proprio perché il fabbisogno energetico è condizionato da fattori esterni è bene diversificare le fonti. Infine, edifici che consumano meno o, meglio ancora sono autosufficienti, è la migliore garanzia per non arrendersi di fronte al diktat trumpiano e alla dipendenza dalla Cina.