I tagli e gli slittamenti di spesa contenuti nella legge di Bilancio pesano sulle imprese di costruzioni.
L’edilizia beve l’amaro calice della legge di Bilancio. È un amaro, però, che non serve a digerire un’abbuffata. Quella c’è stata, ma ormai tre anni fa. Nel frattempo, le imprese hanno avuto tutto il tempo per la digestione. L’amaro a stomaco vuoto, invece, provoca acidità. D’accordo, la tenuta dei conti pubblici conta. Però conta anche generare crescita, che è poi quella che si conteggia con il Pil. E non è inutile ricordare che il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo diminuisce non solo se non aumenta il deficit anno dopo anno, ma soprattutto se la produzione si incrementa.
Ma perché l’edilizia e, più in generale, il mondo delle costruzioni hanno da lamentarsi? Secono i calcoli di Ance, per i prossimi tre anni la legge di Bilancio taglia 1,5 miliardi destinati alle opere pubbliche. Il conteggio, più amaro di una bottiglia di Fernet, comprende anche la spending review a carico di tutti i ministeri: i minori investimenti sono calcolati per 7,2 miliardi, più 900 milioni di decurtazioni nei singoli capitoli di spesa, ma che sono controbilanciati da rifinanziamenti per 6,6 miliardi. Il saldo risulta, appunto, 1,5 miliardi. La stretta è sopratutto in carico a ministero delle Infrastrutture (1,3 miliardi) ed Economia (1 miliardo).

Il risultato è una frenata anche su opere di pubblico interesse, come la metropolitana di Roma (-50 milioni), la M4 di Milano (-15 milioni), il collegamento Afragola-Napoli (-15 milioni), infrastrutture idriche (-15 milioni), programma Strade sicure per ponti e viadotti (-240 milioni e incrociamo le dita).
Una bella botta, che si aggiunge, è bene ricordarlo, ai bonus-zombie, prorogati di un anno, ma già destinati a (quasi) defungere dal gennaio 2027.

Per quanto riguarda gli appalti pubblici, inoltre, c’è la mannaia dei costi. È successo che per molte opere i costi dei materiali siano oggi maggiori del 30-40% rispetto ai prezzi di gara. A soffrire sono le imprese impegnate in opere di lungo corso, con appalti pre-invasione dell’Ucraina e ciclone Trump. E perfino prima del covid che, quindi, non possono beneficiare della revisione prezzi strutturale introdotta dall’ultimo Codice Appalti. Secondo i costruttori, si tratta di circa il 70% dei cantieri, di cui un terzo lavori per il Pnrr.
Per non perdere le commesse le imprese hanno anticipato i soldi necessari, stimati in circa 2,5 miliardi, ma non tutte le aziende possono fare fronte al gap. Senza una soluzione il rischio è quello di un blocco dei cantieri.



