Living Building Challenge: oltre le barriere, l’edificio inclusivo

Uno dei capisaldi della progettazione olistica prefigurata dal protocollo Living Building Challenge è l’equità sociale, che passa attraverso la completa inclusività degli esseri umani all’interno degli edifici.

Questa è anche la missione dell’International Living Future Institute così come della sua affiliata europea Living Future Europe, che mirano a trasformare l’ambiente costruito così da creare comunità che siano «socialmente giuste, culturalmente ricche ed ecologicamente rigenerative».

Come si vede, l’equità sociale è il primo obiettivo, non vi è davvero piena sostenibilità (rigenerativa) senza giustizia sociale. L’intento del Petalo Equità (Equity), nella suddivisione proposta da Living Building Challenge in sette petali, secondo la metafora dell’edificio come un fiore, è elevare il concetto di equità per farlo diventare un obiettivo del progetto e trasformare gli interventi immobiliari in modo che siano in grado di promuovere comunità giuste e inclusive, che diano la possibilità alle persone di partecipare attivamente, prosperare e raggiungere il proprio pieno potenziale. 

Il principio fondante di questa visione è che una società che racchiuda e coinvolga tutti i settori della vita sociale e consenta a tutti la dignità di un accesso equo e di un trattamento corretto delle persone (all’interno dell’ambiente costruito), si trovi nella migliore posizione per prendere decisioni per proteggere e ripristinare l’ambiente naturale che poi possa sostenerci.

Il protocollo Lbc include il prerequisito di una progettazione e costruzione senza barriere architettoniche, il riferimento è alle normative Americans with Disabilities Act (Ada) e Architectural Barriers Act (Aba) Accessibility Guidelines, o altre internazionali equivalenti se non migliorative.

Ma l’imperativo 17 Accesso universale di Lbc va molto oltre, richiedendo l’applicazione dei principi della progettazione universale (Universal Design). C’è una differenza rilevante tra progettare rispettando i minimi di legge richiesti per evitare le barriere architettoniche e farlo invece eliminando all’origine quelle situazioni che determinano l’esigenza di rimuovere eventuali barriere. Vediamo in che modo.

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Il design universale, o inclusivo, è un nuovo requisito introdotto in Lbc 4.0 (2019) per rendere il protocollo ancora più efficace e in grado di provocare un cambiamento concettuale nella visione della sostenibilità. I sette principi del Design Universale, come previsto dallo United States Access Board sono stati sviluppati nel 1997 da un gruppo di architetti, designer di prodotto, ingegneri e ricercatori ambientali alla North Carolina University, guidato da Ronald Mace.

Secondo il Center for Universal Design, questi principi possono essere applicati sia per valutare progettazioni già completate, sia per guidare il processo di progettazione e formare progettisti e utenti sulle caratteristiche di prodotti ed edifici più accessibili e utilizzabili.

I sette principi sono i seguenti:
1. Utilizzo equo. Ambienti e oggetti devono essere progettati in modo da poter essere utilizzati da tutti.
2. Flessibilità d’uso. Possibilità di utilizzo da parte di persone con abilità diverse.
3. Uso facile e intuitivo. La fruizione del prodotto o servizio devono essere di facile comprensione.
4. Informazioni percettibili. Le informazioni fornite devono essere facilmente capite da parte di tutti.
5. Tolleranza per gli errori. Devono essere ridotti al minimo i rischi dovuti errato utilizzo del prodotto o dell’edificio.
6. Sforzo fisico minimo. Lo sforzo necessario per l’accesso e l’utilizzo dell’edificio e delle sue parti deve essere minimo.
7. Dimensione e spazio per l’approccio e l’utilizzo. Devono essere adatti per chiunque, al di là delle capacità.

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Quali cambiamenti comporta una progettazione ispirata a questi principi? Vediamo alcuni esempi, proprio confrontando la progettazione universale con quella semplicemente senza barriere architettoniche, e quindi la differenza tra uno spazio costruito inclusivo e uno accessibile.

«Non fare all’altro edificio ciò che non vorresti fosse fatto al tuo»: il concetto di progettazione universale per Lbc va anche oltre, passando dalla scala dell’edificio a quello del contesto costruttivo nel quale l’edificio è situato. Vi è mai capitato che dopo esservi trasferiti in una nuova abitazione che magari avete scelto per il panorama, l’apporto di luce solare, ciò sia compromesso dall’edificazione vicina di un progetto inizialmente non previsto? Potrebbe capitare. 

Bene, secondo i requisiti del protocollo, un progetto Lbc è rispettoso e virtuoso anche sotto questi aspetti, in quanto, con la propria realizzazione, rispetto ad edifici adiacenti:

Non ne blocca l’accesso, o ne compromette la qualità di aria fresca, luce solare, corsi d’acqua naturali. E, inoltre, gestisce adeguatamente ogni rumore udibile che potrebbe determinare.

Protegge da qualsiasi emissione nociva che potrebbe compromettere la ventilazione naturale. Eventuali emissioni devono essere esenti da Red List, sostanze tossiche bioaccumulanti, o sospette cancerogene, mutagene, o tossiche per l’apparato riproduttivo.

Non crea un ombreggiamento che comporti un significativo impatto negativo per la maggior parte degli occupanti di questi edifici.

Non riduca l’accesso a corsi d’acqua naturali, a meno che questo accesso non sia stato dimostrato pericoloso per la salute pubblica o possa seriamente compromettere la funzionalità dell’edificio. E ovviamente senza acquisire la proprietà di questi corpi idrici o compromettere la qualità dell’acqua che vi fluisce. 

Quanto questo modo di progettare e costruire in modo equo sia possibile e applicabile anche nel contesto italiano? Lbc fornisce degli strumenti efficaci e requisiti appunto sfidanti per realizzare uno scenario alternativo valido anche nella patria del bello. Con ormai più di 800 progetti registrati nel mondo, abbiamo la dimostrazione che questa non è solamente la strada giusta, ma anche fattibile.

Per maggiori informazioni: info@living-future.eu

di Carlo Battisti da YouTrade n. 137

Laurea in Ingegneria Civile al Politecnico di Milano ed esperienza di circa vent’anni in imprese di costruzioni. Master di secondo livello in Gestione aziendale e sviluppo organizzativo presso Mip, Business School del Politecnico di Milano. Professionista accreditato Leed e Well, Project manager certificato Ipma. Professionista accreditato Living Future, Reset e Gbc Italia. Usgbc Faculty e Well Faculty. Dal 2019 è presidente di Living Future Europe. www.living-future.eu

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