La crisi? Ci salva un network: resiliente, snello e locale

La domanda chiama, ma l’offerta non risponde o lo fa a caro prezzo. La carenza di materie prime, l’aumento incontrollato dei prezzi e la totale incertezza sulle future disponibilità, non possono più essere spiegate solo con la legge della domanda e dell’offerta.

Il famoso grafico a forma di X che le rappresenta, non riesce a trovare un punto di equilibrio, perché le curve di domanda e offerta non si incontrano più e quando succede, il prezzo tocca valori fuori scala.

Siamo abituati a pensare che il mercato sia lineare e prevedibile, che sia sufficiente gestire bene scorte e flussi per soddisfare le richieste, perché molte volte è così che funziona. Ma i fatti recenti dimostrano che il mercato e l’economia sono sistemi complessi.

Dipende tutto dalle conseguenze della pandemia? È vero, la brusca frenata del 2020 ha fatto diminuire le scorte, mentre la rapida ripresa del 2021 ha accelerato i flussi, aumentando il distacco tra di loro.

Ma che cosa dicono in proposito i numeri dell’economia? Il Pil mondiale ha perso il 3% nel 2020 ed è stimato in crescita nel 2021. Mentre l’Italia non riuscirà neanche a recuperare la perdita del 2020. Non sembra un boom economico.

Ci stiamo raccontando che è stato determinante l’incagliamento della portacontainer Ever Given, con il conseguente blocco del Canale di Suez per una settimana. L’ultima volta è successo nel 1967, quando, durante la Guerra dei sei giorni, il canale rimase bloccato per otto anni.

A tutto questo si sommano i danni ingenti delle catastrofi ambientali, l’aumento del prezzo del petrolio innescato dall’attacco hacker all’oleodotto americano della Colonial Pipeline, l’incetta di materie prime per mano della Cina, ripartita in largo anticipo sul resto del mondo, l’aumento dei noli marittimi dovuto alla rottamazione di molte navi, rese obsolete dal nuovo regolamento dell’Organizzazione marittima internazionale, la speculazione dei mercati finanziari sulle materie prime, la morsa dei dazi doganali sul commercio, sempre  più stretta attorno al collo dell’Europa e chi più ne ha ne metta.

Da questa montagna di spiegazioni emerge solo quanto sia complesso e delicato il nostro sistema economico. Ma tutto questo nasconde un rischio ampiamente sottovalutato. 

Molti eventi sembrano imprevedibili ed esterni al sistema, ma sono più comprensibili se li immaginiamo legati a un cambiamento interno, come sottolinea Orit Gal, economista esperta di sistemi complessi: «La teoria della complessità ci insegna che gli eventi più importanti rappresentano la maturazione e la convergenza di tendenze sottostanti, le quali riflettono il cambiamento che si è già verificato all’interno del sistema».

Un’affermazione che ci riporta alla mente il fallimento di Lehman Brothers, la caduta del muro di Berlino o il collasso della calotta glaciale. Tutti e tre sono stati annunciati come improvvisi, anche se sono la conseguenza delle pressioni accumulate lentamente dal sistema, come sottolinea Kate Raiworth, l’economista britannica diventata famosa per la sua Economia della Ciambella.

Probabilmente, se Boris Johnson avesse ragionato in questi termini, non si sarebbe trovato ad affrontare la crisi degli approvvigionamenti che ha messo in ginocchio il suo Paese, in conseguenza della Brexit.

A questo punto, mentre tutto il mondo è focalizzato su prezzi, materiali e tempi di consegna, invece di aspettare passivamente una soluzione dall’alto dei cieli, è importante prepararsi ad affrontare una probabile escalation della crisi del sistema.

Ma la domanda fondamentale è: quale possibile cambiamento sta correndo sottotraccia?

Un primo segnale ci arriva dal settore tecnologico, segnato profondamente dalla crisi dei microchip. Europa e Stati Uniti si sono accorti di non avere sufficiente capacità produttiva per essere autosufficienti in un settore strategico. Stessa cosa sta accadendo per le batterie dei veicoli elettrici e alla produzione dell’acciaio.

In pratica il network globale comincia a stare stretto a buona parte del mondo e le sue maglie, pur essendo molto larghe, soffocano i network regionali. In futuro cresceranno maggiormente i network più piccoli, dotati di più snodi e più collegamenti, in grado di offrire più possibilità di scelta e meno trappole, perché costituiti da attività più snelle e radicate sul territorio.

Questa tendenza si rifletterà su tutti i tipi di network, anche quelli dei rivenditori edili. Così saranno più resilienti e adattivi, ovvero maggiormente capaci di rispondere ai cambiamenti.

Possiamo immaginare questa nuova forma di network come un gruppo di storni che volano ala contro ala, in perfetta sincronia. Quando uno di loro vira, l’informazione arriva simultaneamente a tutto lo stormo, consentendo al sistema di cambiare forma e continuare a volare compatto al riparo dei predatori.

Per il rivenditore edile la vera sfida sarà riuscire a sviluppare nuovi network e nuovi modelli di business in ambiti complementari a quelli già presidiati, come per esempio l’energia rinnovabile o le aree verdi urbane. Nuove forme di valore da condividere e da utilizzare per lo sviluppo dei network con la rivendita edile al centro. Nuovi capitoli da scrivere per una nuova storia da raccontare.

di Marco Buschi, esperto di marketing e copywriting a risposta diretta in edilizia (da YouTrade n. 123)

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