Dopo che ha nevicato è interessante osservare i tetti delle case, alcuni, pochi, sono uniformemente imbiancati, segno di un ottimo isolamento termico dei locali riscaldati sottostanti. La maggior parte, invece, sono o completamente scoperti per la rapida fusione della neve dovuta all’ingente dispersione termica, o mostrano sagome varie prive di neve laddove l’isolamento è stato eseguito male.

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I tetti mal coibentati sono messi in evidenza dalla fusione della neve

Le case italiane sono un colabrodo energetico

L’impressione generale che si riceve da questo panorama di tetti più o meno innevati è quella di un patrimonio edilizio italiano definibile senza mezzi termini un colabrodo energetico, che genera enormi costi economici ed è causa di emissioni di gas a effetto serra.

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Nelle case più vecchie, antecedenti al 1950, semplicemente si stava al freddo e si viveva con pochissime comodità. Ma in quelle del boom economico post Seconda Guerra Mondiale, si è trascurata la questione dell’efficienza energetica per via di un petrolio a buon prezzo, che spingeva allo spreco.

Nei progetti sommari degli anni 1960-70 era comune affermare che era meglio mettere una caldaia più grande piuttosto che isolare muri e tetti. Oggi non possiamo più permettercelo, i costi energetici sono lievitati e i cambiamenti climatici galoppanti impongono un approccio all’energia assolutamente parsimonioso e basato su fonti rinnovabili in sostituzione di quelle fossili.

Ma se nei nuovi edifici la normativa vigente impone livelli ragionevoli di isolamento, là dove si gioca veramente la sfida del secolo è nella riqualificazione dell’esistente, decine di milioni di edifici che devono essere adeguati agli standard attuali.

Gli ecobonus che via via si sono susseguiti negli ultimi anni rappresentano un’occasione d’oro per trasformare i colabrodo energetici in case confortevoli, sostenibili e poco dispendiose.

Come riqualificare energeticamente una casa

Ho iniziato a riqualificare la mia abitazione in bassa Val di Susa attorno al 2009 e ne ho raccontato i risultati nel mio libro “Prepariamoci” del 2011.

Ho poi ripetuto l’esperienza riqualificando una baita alpina a 1650 metri, in un clima più severo e con soluzioni tecniche ancora più spinte, che mi hanno portato alla certificazione Casa Clima R, esperienza raccontata nel libro “Salire in montagna” del 2020.

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Gli interni dopo la riqualificazione della sua casa in Val di Susa (Torino)

Molti lettori mi hanno quindi scritto chiedendomi consigli per intraprendere questo cammino e qui li riassumo, consapevole della mancanza di una cultura diffusa della gestione dell’energia domestica.

Scegliere progettista e ingegnere termotecnico

Il primo passo, quello più importante, è affidarsi a un progettista con esperienza nel settore dell’edilizia a risparmio energetico: un architetto coadiuvato da un ingegnere termotecnico.

La diagnosi energetica dell’edificio e la scelta delle soluzioni di riqualificazione sono argomenti complessi, che necessitano di conoscenze fisico-matematiche, modelli di simulazione al computer e padronanza delle normative. Non si affrontano con il fai-da-te o con le scelte approssimative, che possono portare a gravi errori non solo nei consumi attesi, ma pure a irrimediabili problemi tecnici come le condense nell’interno dei muri.

Bisogna partire dunque dal progetto e non dai materiali, dalle apparecchiature o dall’impresa realizzatrice, errore frequentissimo che nasce spesso dalle proposte commerciali dei venditori e dalla fretta del committente.

È la fase di progettazione che definisce il tipo di interventi da eseguire, gli spessori ottimali degli isolanti, la risoluzione dei pericolosi ponti termici, il fabbisogno energetico in relazione al clima e la relativa fonte di calore o di freddo più adatta al contesto locale (quota, esposizione).

Tra l’altro il costo del progetto è deducibile tra le spese dell’ecobonus e quindi non c’è ragione di saltarlo.

Isolamento dell’involucro opaco e serramenti

Molti si concentrano sul generatore di caldo invernale o di fresco estivo, ma questo viene dopo. Il primo elemento di cui occuparsi è un perfetto isolamento dell’involucro opaco (muri, solai, tetti).e dei serramenti.

Siamo ancora imbevuti di luoghi comuni come quello che vecchi muri spessi di pietra siano una buona difesa da caldo e freddo: la pietra è in realtà un pessimo isolante e il suo spessore non è nemmeno da comparare con pochi centimetri di un materiale isolante.

È un buon cappotto a fare il grosso del lavoro di protezione dei locali abitati: permette un elevato livello di comfort termico interno con il minimo dispendio di energia, senza dimenticare anche il miglioramento del comfort acustico.

Se l’edificio lo permette è meglio un cappotto esterno, in grado di eliminare più facilmente i ponti termici in corrispondenza di solette e pilastri in calcestruzzo. Se per ragioni storiche ed estetiche non è possibile intervenire sulla facciata, si dovrà ricorrere a un cappotto interno: fa perdere un po’ di superficie utile e deve esser realizzato a regola d’arte, inclusa la posa della barriera al vapore per evitare le condense del vapore acqueo sul muro freddo, che potrebbero portare a muffe e deterioramenti dei materiali.

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Cappotto interno in lana minerale con barriera vapore e cappotto interno con barriera vapore

Ma ne vale la pena, perché sia per difendersi dal freddo invernale, sia dal caldo estivo, è proprio l’isolamento a fare la differenza. I materiali sono oggi vari e performanti, più o meno ecologici, adatti a ogni circostanza: lane minerali (spesso ottenute da vetro riciclato), pannelli di polistirene estruso (Xps) o espanso (Eps), che pur derivati dal petrolio hanno una lunga durata e, quindi, si ripagano in termini di emissioni evitate, fibra di cellulosa, fibra di legno, sughero, canapa, paglia, lana di pecora.

Uno spessore di 10 centimetri d’isolante fa già miracoli, ma l’importante è l’esecuzione corretta dei calcoli di trasmittanza termica della parete nel suo insieme.

E non dimentichiamo i serramenti: doppio o triplo vetro basso emissivo, ma soprattutto una posa a regola d’arte con schiumatura e nastratura di tutte le fessure tra telaio e muro, che spesso sono fonte di deleteri spifferi occulti.

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Perfetta sigillatura dei serramenti con schiuma e nastri per evitare gli spifferi

Per chi vuole essere certo di aver chiuso tutti i passaggi d’aria e vuole sottoporsi a certificazione energetica, c’è il Blower Door Test: si creano nel locale sovrapressioni o depressioni con un’apposita ventola, si misurano i volumi d’aria scambiati con l’esterno e tramite una fonte di nebbia artificiale si mettono in evidenza le fessure da sigillare.

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La ventola per eseguire il Blower Door Test

A me è stato utilissimo per rintracciare spifferi inattesi attraverso le fenditure nelle antiche
travi del soffitto.

Scegliere il giusto riscaldamento

A rigore un edificio perfettamente isolato come una casa passiva non avrebbe bisogno di una fonte di riscaldamento: basterebbero le dispersioni di un corpo umano (100 Watt) e degli elettrodomestici per ottenere 20 gradi, mentre fuori si gela.

Livelli di questo genere si possono raggiungere di solito nelle case di nuova costruzione, mentre nelle ristrutturazioni le prestazioni sono un po’ inferiori a causa di vincoli non modificabili e, quindi, bisogna aggiungere un generatore di calore (o di fresco per l’estate).

Per evitare l’allaccio al gas, che è pur sempre un combustibile fossile che genera emissioni serra, oggi si tende a elettrificare tutte le utenze di casa, in modo da poter utilizzare la corrente autoprodotta dal fotovoltaico sul tetto, oppure se non fosse possibile, l’elettricità rinnovabile acquistata da produttori certificati.

Il dispositivo più adatto è dunque la pompa di calore, con riscaldamento ad acqua a pavimento o ad aria, apparecchiatura peraltro reversibile in grado di produrre anche il fresco estivo. La fonte geotermica profonda la sconsiglio per le piccole utenze domestiche, nei climi italiani è quasi sempre sufficiente lo scambiatore a ventola con l’aria esterna.

Nei climi più rigidi un’integrazione con una stufa a legna o a pellet, ovviamente certificata quattro stelle per ridurre la fumosità e l’inquinamento, può essere un valido aiuto nelle giornate più fredde quando le prestazioni della pompa di calore sono meno favorevoli.

L’assenza di allaccio al gas da riscaldamento evita una bolletta con i relativi costi fissi, mentre per l’uso cucina si può facilmente ricorrere a una sicurissima piastra a induzione.

Dopo aver pensato a minimizzare gli sprechi e a rendere efficiente al massimo l’uso dell’energia, è venuto il momento di pensare a come autoprodursela. Se si ha la fortuna di disporre di un tetto esposto a Sud, inutile dire che diventerà la vostra centrale elettrica e termica: ricopritelo di pannelli fotovoltaici e di collettori termici per l’acqua calda sanitaria, preferibilmente del tipo a svuotamento che evita l’uso del glicole nel circuito scambiatore.

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Luca Mercalli davanti alla sua casa in Val di Susa (Torino). Il tetto esposto a sud diventa una centrale elettrica fotovoltaica per l’autoproduzione domestica

Fatta eccezione per qualche settimana di tempo grigio e freddo tra dicembre e gennaio, per tutto l’anno avrete acqua calda sanitaria a volontà, con integrazione al riscaldamento della pompa di calore, ed elettricità per alimentare tutte le utenze di casa e perfino l’auto elettrica.

Ho iniziato con un impiantino da 2 kW di picco installato con il primo conto energia nel 2006, poi ho utilizzato tutto il tetto disponibile fino a una potenza di 8 kWp con i quali produco circa 10 mila kWh all’anno. Vi assicuro che oltre al vantaggio economico e agli sgravi fiscali, prodursi con il sole l’energia per la casa e perfino per viaggiare elettrico è una grande soddisfazione, soprattutto pensando che ogni chilogrammo di CO2 risparmiata è un regalo che facciamo al clima di domani e alle giovani generazioni.

 

di Luca Mercalli, presidente Società Meteorologica Italiana, docente di sostenibilità ambientale all’Università di Torino (da YouTrade n.115)

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