Come volevasi dimostrare

Uno dei temi al centro dell’azione del Governo negli ultimi mesi è stato l’avvio del Piano per le città, un tentativo per molti aspetti mal riuscito, a partire dal fatto che, ad oltre un mese dalla scadenza del bando e nonostante l’assicurazione del viceministro Ciaccia di far partire i cantieri già nell’ultimo trimestre del 2012, ad oggi non si sa neppure quali città e quali progetti sono stati presentati.

Si sa però quanti: 425. Troppi per un piano con scarsissime risorse (un quarto di quelle stanziate nel nuovo mini conto energia in discussione in questi giorni).

 

Un sogno praticamente impossibile di promuovere sviluppo urbano e riqualificazione a valere su risorse straordinarie, ancora una volta pensate come supporto finanziario alla realizzazione di interventi di riqualificazione urbana e recupero aree dismesse.

 

Il limite di questo strumento infatti è nella scarsa capacità innovativa al sostegno di politiche urbane, in quanto il finanziamento a fondo perduto non aiuta certo le amministrazioni comunali a promuovere programmi e azioni nel solco delle modalità innovative che l’Europa chiede, e che riguardano l’utilizzazione di meccanismi finanziari plurifondo, come i programmi JESSICA. Ovvero, non più finanziamenti a fondo perduto, ma supporto a programmi di intervento in grado di ripagare gli investimenti.

 

Ecco perché, di fronte alla “non innovazione” finanziaria del Piano per le città non ci si può stupire dell’enorme numero di progetti pervenuti all’ANCI che, con una procedura piuttosto curiosa, è il soggetto incaricato di raccogliere e classificare i progetti presentati per poi passarli alla “cabina di regia”, nella quale un ruolo importante (speriamo) dovrebbe averlo il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT).

 

Ad un mese dalla scadenza non si sa ancora nulla di quali comuni e di quali progetti si parla, ma un primo quadro sommario presentato ad Urban Promo riporta che a fronte di una disponibilità effettiva di 224 milioni di euro (dei quali solo 10 per il 2012, 24 per il 2013, 40 per il 2014 e poi altri 50 per ciascuna annualità del triennio 2015-2017) i progetti presentati sommano almeno 5 miliardi di euro (ma alcune stime parlano di più di 8 miliardi).

 

Sarà difficile per la cabina di regia scegliere, in primo luogo per l’elevato numero di domande e in secondo luogo per l’elevato numero di partecipanti alla cabina stessa, con quindici soggetti a guidare un processo complesso e per molti aspetti molto confuso.

 

Meglio sarebbe stato scegliere a monte alcuni programmi innovativi in ambito urbano tra quelli supportati negli ultimi anni da approfonditi studi di fattibilità da parte del MIT e su quelli e solo su quelli concentrare le risorse, magari con strumenti avanzati dal punto di vista dell’ingegneria finanziaria.

 

Nel passato la concentrazione delle risorse europee e nazionali su specifici programmi e specifiche città ha portato a ottimi risultati. Considerando i soli programmi Urban, tra il 1993 e il 2008 è stato investito a livello nazionale poco più di 1 miliardo di euro, con una utilizzazione di fondi europei e nazionali per 367 milioni ed un effetto moltiplicatore pari a 2,73: per ogni euro finanziato si è attivata una spesa finale pubblica e privata di 2,73 euro.

 

La performance migliore l’ha avuta il programma Urban Italia, un programma nazionale finanziato proprio dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con fondi della L. 388/2000. Su una dotazione finanziaria di 100 milioni di euro si è arrivati ad una spesa totale rendicontata di 368 milioni di euro. Ma questo programma ha concentrato le risorse su 20 città e non 425.

 

E’ un peccato, dunque, che a fronte di positive esperienze del passato il Governo abbia deciso di procedere con una scelta che ha creato aspettative eccessive, che non premierà nessuno e che scontenterà tutti. Un peccato, un’occasione perduta per avviare una politica efficace di riqualificazione delle città, le quali farebbero meglio a prepararsi e studiare i sistemi innovativi di ingegneria finanziaria per essere pronte, dal 2014, ad usare i fondi di rotazione europei, ovvero i soldi veri. Per evitare di dover dire anche in futuro, con rammarico, “come volevasi dimostrare”.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome qui