Home Blog Pagina 585

Incentivi per la casa: la grande occasione per investire

E’ uscito il nuovo numero di YouTrade, con una chiave di lettura semplice sul nuovo decreto del Governo che promuove bonus e sconti per la riqualificazione e l’efficientamento energetico degli edifici.
Questo mese parliamo anche di dissesto idro-geologico e la “non-cultura” della straordinarietà. Inoltre non perdete gli interessanti Speciali sulle macchine e attrezzature e sui laterizi con i trend di prodotto e di mercato di questi due settori, che stanno vivendo una vera e propria trasformazione.

Non poteva mancare l’appuntamento con l’attessisimo Speciale Aggregazioni con i fatti raccontati dai protagonisti su quanto è accaduto nell’ultimo anno. Completano il servizio i dati di fatturato dei gruppi e consorzi a giugno 2013 e le previsioni al 31 dicembre.

E molto altro ancora…

 

CLICCA QUI per sfogliare la rivista YouTrade. Per l’edizione integrale, abbonati adesso!

Una legge speciale per i lavori bloccati

Il Comune di Milano ha censito le aree inutilizzate, dentro e fuori la cerchia dei Bastioni. La mappatura ha fornito un risultato sorprendente: in quella che è la capitale economica d’Italia ci sono 273 tra immobili e terreni che sono inutilizzati. Se questa è la realtà di Milano, che possiamo prendere a emblema, figuriamoci qual è la situazione nel resto d’Italia.

I motivi per cui preziosi metri quadri o interi stabili versano in stato di desolata inutilità sono diversi. Nel capoluogo lombardo le aree che avrebbero bisogno subito di lavori di riqualificazione sono concentrati soprattutto nella zona est della città, in particolare fanno parte del patrimonio dell’ex gruppo Ligresti, e hanno come simbolo la torre Galfa. Oltre agli uffici vuoti, ci sono una cinquantina di immobili di proprietà pubblica, palazzine sfitte, cantieri non finiti e intere aree edificabili in stand-by per un «titolo edilizio» annullato o il fallimento dell’impresa. Si possono elencare altri grandi progetti che sono bloccati, rallentati o avanzano con difficoltà: l’area della ex stazione di Porta Vittoria, patrimonio del fragile impero immobiliare di Danilo Coppola, il grande insediamento di CityLife, in parte sospeso a causa della crisi del mercato, il quartiere di Santa Giulia, rimasto a lungo impigliato nelle difficoltà del gruppo Zumino e nella discussa opera di bonifica. Infine, la zona limitrofa al capoluogo lombardo, quella dell’area Falck, trasformata (sulla carta) in centro commerciale e residenziale.

Sono tutti casi diversi, eppure, accomunati dalla difficoltà nel far procedere i lavori. Eppure, se in tutta Italia tornassero a muoversi le iniziative dei costruttori che sono rimaste congelate, forse il settore uscirebbe dal coma. Certo, ma come si fa ad accomunare situazioni più diverse? Si può, si può. Una fiscalità ad hoc, oppure il solito intervento della Cassa depositi e prestiti, la costituzione di un fondo speciale, magari da quotare in Borsa… Perché la volontà di frenare l’intollerabile crisi di un settore fondamentale per l’economia dovrebbe prevalere sulle regole scritte in altri tempi, per una realtà diversa. Non c’è tempo da perdere, un po’ di fantasia legislativa avrebbe anche un costo modesto o, addirittura, risultare vantaggiosa per i conti pubblici, dato che produrrebbe reddito. Insomma, lo diceva anche Goethe: la legge è forte, ma è più forte la necessità.

Direttiva RoHS II: Federazione ANIE pubblica le Linee guida

Federazione ANIE ha di recente pubblicato le Linee guida per una corretta interpretazione della nuova Direttiva 2011/65/UE, la cosiddetta RoHS II, di cui è atteso il recepimento nazionale. La RoHS II sostituisce la precedente Direttiva RoHS 2002/95/UE, recepita in Italia con il Dlgs 151 del 2005.

Obiettivo del vademecum è fornire supporto alle aziende nell’interpretare le disposizioni della nuova direttiva, al fine di garantire la conformità dei prodotti ai requisiti indicati dalla direttiva stessa.
In base alle nuove disposizioni infatti, il produttore di apparecchiature elettriche ed elettroniche rientranti nel campo di applicazione è tenuto ad apporre la marcatura CE, redigere la Dichiarazione di Conformità e predisporre il fascicolo contenente tutta la documentazione tecnica che dimostri la conformità dei singoli materiali che costituiscono l’apparecchiatura.
Nelle Linee guida ANIE vengono analizzati in breve i contenuti della direttiva e i principali obblighi ad essa correlati e si forniscono interpretazioni, criteri e alberi decisionali.
Ampio spazio è riservato alle cosiddette “zone grigie” in cui si collocano diverse tipologie di prodotti. Il vademecum aiuta le aziende a determinarne l’inclusione o meno nel campo di applicazione della direttiva.
Nel realizzare le Linee guida sulla RoHS II, Federazione ANIE ha inteso rendere disponibile uno strumento completo ad uso delle aziende del settore e in vista del confronto con le istituzioni chiamate a recepire nel nostro Paese il provvedimento.
Crediamo molto nell’utilità di questo strumento operativo” – ha spiegato Maria Antonietta Portaluri, Direttore Generale di ANIE. “I produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, a seguito della emanazione della direttiva, hanno tutta una serie di obblighi e prescrizioni da rispettare, con difficoltà ad interpretare correttamente l’articolata legislazione europea.  Il primo obiettivo della Guida è, quindi, quello di supportare le aziende nella corretta applicazione delle norme, evitando che l’incertezza normativa e la complessità burocratica si traducano un ulteriori ostacoli in uno scenario economico già di per se particolarmente difficile. In secondo luogo, siamo convinti che le Linee guida ANIE possano trovare un utile impiego anche nel dialogo a livello istituzionale, nel momento in cui la direttiva sarà oggetto di recepimento in Italia”.

Macchine per costruzioni: flettono le esportazioni nel primo quadrimestre

Secondo quanto emerge dall’ultimo Monitor commercio estero del Construction equipment outlook realizzato da Unacea e Prometeia, nel periodo gennaio-aprile del 2013 le esportazioni di macchine per costruzioni registrano una flessione dell’8% rispetto a quanto rilevato nello stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 744 milioni di euro.

Un calo consistente per l’export di macchine e attrezzature per il movimento terra (-21,1%) e per le macchine stradali (-17,7%); lieve flessione anche per i macchinari per il calcestruzzo (-0,9%). Positive invece le esportazioni di macchine per la preparazione degli inerti ( 8,8%), di macchine per la perforazione ( 6%), e di gru a torre ( 13,2%).
Calano del 24,6% anche le importazioni, mentre la bilancia commerciale mantiene un attivo di 623 milioni di euro ma registra un -4% rispetto al periodo gennaio-aprile 2012.
Dal punto di vista dei mercati di destinazione diminuiscono gli scambi intra-Ue a eccezione delle esportazioni di macchine stradali, mentre continua a crescere l’export verso Africa, Nord e Sud America.

Una chiave per aprire la porta del futuro

Chiamatela, se volete, la legge della giungla. Invece, è solo l’economia. Che piaccia o meno, la crisi sta spazzando via i più deboli e salvando i più forti che, a recessione conclusa, saranno ancora più padroni del campo. Non che questo sia un trend auspicabile, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti.

Appunto: per guardare in faccia la realtà, per cercare di capire i pericoli, ma anche le opportunità che riserva il futuro, torna la grande occasione di confronto organizzata da YouTrade. Nelle ultime due edizioni del convegno annuale abbiamo posto la riflessione sul cambiamento dei fattori esterni all’impresa: dalle dinamiche di mercato orientate sempre più al recupero dell’esistente, all’avvento dell’efficienza energetica e della sostenibilità come elementi imprescindibili per gli operatori. E, ancora, le nuove dinamiche in campo: dall’avvento del consumatore più sensibile ai temi dell’ambiente, alla crescita dei nuovi modelli di acquisto, consumo e investimento degli utenti finali. Perché è impossibile ignorare questi elementi, bisogna affrontarli se si vuole rimanere nella pattuglia dei vincitori.

Ma il mondo va avanti, cambia, muta, si riconverte. E così il convegno di YouTrade, in programma il 24 settembre, sarà l’occasione per iniziare una riflessione anche sulle mosse necessarie all’interno dell’impresa e nei rapporti con gli altri soggetti della filiera. Gli aspetti sono molti: per esempio, ottimizzazione dei processi, nuove sinergie, forme di integrazione e di collaborazione. E la riconversione, che significa modifica dei comportamenti fino a oggi utilizzati per rispondere alle esigenze del mercato. Perché se la situazione è diversa, anche le imprese devono adattarsi, riconvertendosi in un processo darwiniano senza sosta. Come va di moda dire adesso, l’organizzazione deve essere più “liquida”, che vuol dire flessibile e adattabile.

Insomma, perde chi si siede ad attendere che il passato ritorni, vince chi impara come il mercato cambia e vi si adatta nel modo migliore. È una sfida per l’innovazione, in un cammino continuo. Il convegno di settembre sarà dedicato a questo tema e focalizzerà l’attenzione non solo sulla consueta e approfondita analisi congiunturale del mercato, ma soprattutto sulle prospettive di riconversione, sulle necessità di riposizionarsi a livello di filiera, anche in rapporto ai trend di crescita dei nuovi grandi competitor, e sulla necessità di poter contare, per riconvertirsi in modo adeguato, su strumenti e politiche che oggi sono molto carenti, ma sui quali tutti gli operatori devono impegnarsi. L’adattamento al nuovo è un processo individuale, ma è tutto il sistema industriale delle costruzioni e della filiera edilizia che, alla fine, ne beneficia. A patto di tenersi aggiornati e non perdersi il convegno di settembre, naturalmente.

 

Per informazioni, programma ed iscrizioni CLICCA QUI

Il volto ironico e irriverente del design. Ora-Ïto a Cersaie 2013

L’eccentrico designer francese Ito Morabito ospite al Salone Internazionale della Ceramica

 Immaginare il futuro, dare forma alle visioni. È questo il ‘marchio di fabbrica’ di Ito Morabito (in arte Ora-Ïto), il designer francese più ironico e irriverente del momento. Ad appena 36 anni vanta collaborazioni con le più importanti aziende internazionali e venerdì 27 settembre, alle ore 15.00 presso la Galleria dell’ Architettura, sarà a Cersaie per animare l’incontro Ora-Ïto Design.

Nato a Marsiglia nel 1977, ha iniziato il suo percorso a vent’anni ideando prodotti immaginari, fingendo che fossero novità delle più note griffe internazionali, da Louis Vuitton – per cui realizza una borsa per l’epoca molto trasgressiva– a Bic, da Levi’s a Visa, da Nike ad Apple. Nessuno li aveva commissionati, ma molti clienti iniziano a cercare davvero i prodotti sui siti e negli atelier di questi marchi, decretando il successo della sua operazione di design virtuale.

Ora-Ïto si trasferisce così da Marsiglia a Parigi, dove apre il proprio studio e registra il marchio. Molte aziende, invece che fargli causa, iniziano a commissionargli dei progetti. Il designer realizza così in questi anni una linea di gioielli in argento per Christofle, una serie di lampade per Artemide, la bottiglia in alluminio per la birra Heineken e una in plastica per l’acqua Evian, l’orologio Montre per Swatch, una poltrona per Zanotta e un nuovo packaging per i cosmetici di Guerlain. Si occupa anche di allestimenti come il“Rendez-vous Toyota”, lo showroom della casa automobilistica giapponese a Parigi, la più grande applicazione architettonica in Corian® mai realizzata sinora.

Tutto quello che esce dalla sua testa sembra venire da un’altra dimensione. Come le due auto disegnate per Citroen ed esposte al Salone del Mobile 2011. Prendendo spunto dalla storia della casa automobilistica francese, ha ideato Evomobil e UFO, a metà tra una navicella spaziale e una macchina, nate reinterpretando in versione futuribile due modelli simbolo della casa automobilistica, come la Traction Avant e la DS, da lui definita “la più bella e la più spaziale delle macchine”.

Nel 2012 Ora-Ïto ha applicato il proprio estro per Scavolini, ideando Foodshelf, una cucina sospesa tra il focolare tradizionale e il living. L’idea sottostante è semplice: affinché la cucina sia il cuore della casa non può rimanere confinata in una stanza, ma deve invadere lo spazio, diventando l’origine di una continuità funzionale ed estetica. Ne è nata così una proposta fatta di moduli fissi che possono comporsi nei modi più diversi e contaminare gli altri ambienti.

 

Una rete per la riqualificazione

Una nuova rete d’impresa sorge dall’unione di cinque brand leader dei rispettivi settori: Habitech, Harley&Dikkinson Finance, Riello, Saint-Gobain Italia e Schneider Electric. L’obiettivo è quello di dar vita ad un approccio innovativo nei confronti dell’edilizia sostenibile e della riqualificazione degli edifici. Per farlo è necessaria una condivisione di conoscenze e competenze che le varie aziende possono offrire per una risposta completa, efficiente e integrata. REbuilding network è la rete delle industrie che intendono unire le loro competenze per portare valore aggiunto in termini di performance energetiche elevate a fronte di un’ottimizzazione dei costi dei materiali e dei sistemi implementati nell’immobile. Obiettivo: riqualificare e risparmiare. Una rete in grado di coordinare tecnologie e consulenze qualificate che miglioreranno qualsiasi intervento di riqualificazione. Soluzioni e materiali sono solo alcuni degli aspetti analizzati da REbuilding network che è in grado anche di offrire un servizio di consulenza per tutto ciò che riguarda il mondo del finanziamento e delle agevolazioni per la copertura degli investimenti. Al fine di perseguire l’obiettivo di offrire alla clientela un pacchetto integrato e completo di soluzioni, consulenze e tecnologie per il retrofit e la riqualificazione energetica, grande attenzione verrà data alla formazione del “professionista”, ovvero di colui che deve valutare lo stato dell’edificio, di tutte le sue componenti e proporre le soluzioni tecnologiche più performanti, per garantire il rientro dell’investimento nel più breve lasso di tempo. REbuilding network si candida così fin d’ora a diventare, più che una rete di imprese, un network delle competenze e delle risorse al servizio di una nuova cultura dell’edilizia sostenibile sia sul piano ambientale sia su quello economico, per imprese e clienti.

Il futuro dell’edilizia è nell’energia e nella generazione distribuita

L’energia rappresenta il principale settore di innovazione per l’edilizia. La generazione distribuita gestita attraverso le smart grids è una frontiera verso la quale muoversi per stare al passo con le innovazioni tecnologiche e con le esigenze del mercato e della bilancia dei pagamenti

L’Italia era in ritardo alcuni anni fa, molto in ritardo rispetto allo sviluppo e all’uso delle tecnologie legate al risparmio energetico e alla sostenibilità. Grazie agli incentivi del Governo e ai vari “conti energia” il gap con l’Europa è stato quasi colmato e oggi una percentuale significativa della nostra bolletta energetica viene prodotta in Italia da fonti rinnovabili. Ma fino ad oggi l’attenzione è stata posta alla produzione energetica da grandi superfici, grazie soprattutto agli incentivi legati al conto energia, che premiavano gli impianti di medio grande dimensione. La prova è l’elevato numero di impianti fotovoltaici a terra installati in tutte le regioni italiane, ma in particolare in alcune come la Puglia, dove questi impianti di grande dimensione hanno soppiantato di fatto non solo e non tanto alcune produzioni agricole estensive, ma anche essenze pregiate come gli ulivi. Quasi una contraddizione, come se la produzione di energia fosse concorrenziale e non integrabile a quella agricola legata al terreno. Ma la stagione dei grandi impianti e delle grandi installazioni speculative, basate su incentivi tariffari, è ormai finita e oggi si deve guardare alle nuove opportunità e alle innovazioni che nel settore viaggiano velocissime, con costi sempre più ridotti e abbordabili anche in assenza di incentivi. In questo ambito la cogenerazione distribuita è certamente uno dei settori sui quali porre l’attenzione, in quanto piccole unità di autoproduzione, disperse e localizzate in vari ambiti territoriali, possono contribuire a diffondere sempre più una politica di contenimento energetico e di autoproduzione da fonti rinnovabili, sfruttando le opportunità che il territorio fornisce. Ma allo stesso modo si può ipotizzare che la cogenerazione distribuita possa essere un ottimo veicolo per sviluppare e promuovere innovazioni di microgenerazione energetica, dove le singole unita produttive sono integrate tra loro e gestite da smart grids e dove la produzione avviene anche con microimpianti ad alta efficienza ma di piccola e piccolissima dimensione. Il vantaggio della cogenerazione distribuita, che somma assieme diverse fonti di approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili, è che non serve un grande investimento per fare una grande produzione, ma possono essere sufficienti decine di piccoli investimenti diffusi che, integrati da una gestione “intelligente”, smart appunto, possono rappresentare grossi volumi energetici prodotti e quindi di grande impatto. L’unione fa la forza, si potrebbe dire. La produzione energetica distribuita, regolata e gestita da smart grids, si può avvalere di diverse fonti energetiche, dagli impianti solari fotovoltaici a quelli eolici, dagli impianti a biomassa a quelli alimentati dai rifiuti, ma anche dall’integrazione del gas natuale o di altre fonti rinnovabili, come ad esempio le miniturbine idroelettriche. Ma un aspetto importante sul quale concentrare l’attenzione è che oggi la tecnologia dei prodotti per l’edilizia promuove sempre più anche singoli prodotti in grado di trasformare l’energia, immettendola in rete o accumulandola, e rendendo dunque conveniente tale produzione se associata ad altre sinergiche fonti di approvvigionamento. Si pensi a tutti i nuovi prodotti che oggi integrano piccole unità produttrive di energia, ad esempio da solare fotovoltaico, dalle tegole in cotto alle finestre, dalle pensiline fino al futuro prossimo venturo, nel quale le stesse pitture esterne degli edifici saranno composte da materiale fotovoltaico in grado di produrre energia. Ma il punto di forza di queste tecnologie non è tanto nell’innovazione di prodotto, quanto in quella di processo, ovvero dell’integrazione delle diverse fonti che permette di giungere ad una produzione complessiva di notevole entità. Non servono più tanti metri quadrati monofunzionali, ma per produrre l’energia sufficiente ad una famiglia per far funzionare i propri elettrodomestici e illuminare la propria abitazione si possono usare diverse fonti integrate. Il che permette anche di promuovere e proporre prodotti e soluzioni diverse anche in tempi diversi, avvicinando le esigenze del cliente soprattutto in termini di vincolo di bilancio. Altro punto di forza della generazione distribuita è nella capacità di produrre energia in bassa tensione, rendendola immediatamente distribuibile e utilizzabile, in qualunque posto e in qualunque ambito, con investimenti di piccola dimensione. La generazione distribuita può oggi usufruire e sfruttare pienamente il regime di mercato libero dell’energia, che investendo non solo le grandi aziende ma anche le singole famiglie, in pratica allarga in modo quasi infinito la platea di potenziali produttori. Qual è il fattore chiave di questa politica di sviluppo? Che servono smart grids e sistemi di gestione alamente efficienti ed intelligenti per ottimizzare produzione e consumo. In un sistema di generazione distribuita i piccoli impianti sono posti vicino, ma per lo più coincidono, ai luoghi di utilizzo e dunque si rende molto più efficiente l’uso delle reti e dell’energia stessa. In pratica la generazione distribuita è una produzione energetica a km zero, che non ha costi di distribuzione ed è dunque molto più conveniente rispetto alla distribuzione energetica classica, basata su grandi distanze coperte dalle reti in alta tensione. Per interventi di riqualificazione energetica e urbana nelle città, la generazione distribuita rappresenta un settore di indubbio interesse, in virtù della possibilità di adeguare gli impianti esistenti utilizzando un mix di risorse energetiche che possono integrarsi a livello anche di singolo edificio, se non di quartiere, dalla produzione solare fotovoltaica al minieolico, fino alle mini e microturbine idroelettriche. L’innovazione nei prodotti non è alle porte, è già entrata prepotentemente sui nostri mercati ma fino ad oggi abbiamo sfruttato molto poco l’innovazione e le opportunità della generazione distribuita. Ma lo scenario attuale impone di innovarsi e di avviarsi verso l’uso di tecnologie sempre più adatte ad affrontare le sfide del futuro, che si giocano su sostenibilità e convenienza. La generazione distribuita è sostenibile e conveniente e rappresenta un settore al quale guardare per il futuro delle costruzioni, un futuro nel quale l’involucro edilizio sarà importante per il contenimento energetico, ma al pari dei sistemi di produzione integrata di energia, per soddisfare le esigenze di consumo delle famiglie e delle imprese. Il futuro è già qui, basta saperlo cogliere.

Smart cities, a che punto siamo?

Sono molti anni che si parla di smart cities e i bandi ministeriali dello scorso anno hanno contribuito a promuovere, presso tanto soggetti prima poco attenti o propensi alle novità, lo sviluppo di una politica “ intelligente” applicata delle nostre città e ai nostri territori. Le smart cities sono le città del futuro, e nella visione europea, come in quella mondiale, sono quelle città in grado di essere al contempo intelligenti, sostenibili, inclusive. Come? Utilizzando gli strumenti dell’innovazione tecnologica per sviluppare servizi alle persone e alle imprese, dell’integrazione per migliorare le politiche di mixitè urbana e sociale e della partecipazione per estendere sempre più il concetto di democrazia e di scelta. Le più innovative smart cities in Europa e nel mondo parlano una lingua nella quale l’innovazione e la sostenibilità diventano le lenti attraverso le quali guardare al futuro. In Italia, grazie alla spinta data dal MIUR, si parla oggi sempre più di smart cities and communities, ovvero non solo di città, viste troppo spesso solo come hardware, ma anche e sorpattutto di comunità, ovvero di cittadini e di persone, che nelle città vivono, lavorano, si organizzano, partecipano o vogliono partecipare al miglioramento della qualità della vita ai diversi livelli. Ma di smart cities si parla spesso anche un po’ a sproposito, confondendo il fine con il mezzo e pensando che per trasformare una città in “smart” basti ricorrere a qualche investimento sulle reti tecnologiche, magari dotando i lampioni di ripetitori wifi, e il gioco è fatto. Nulla di tutto ciò. Se infatti da un lato molte città in Italia si sono mosse verso una “smartizzazione” del loro sviluppo, va anche riconosciuto che, al di là del tentativo fatto dal MIUR con tre bandi per quasi un miliardo di euro usciti nel 2012, manca in generale una visione strategica, in modo particolare per quanto attiene alla cosiddetta “agenda digitale”. Questo strumento, istituito ormai più di un anno fa dal Ministero dello sviluppo economico assieme a molti altri ministeri, prevede una serie di linee di azione verso l’inclusione e la partecipazione, la conoscenza e il monitoraggio del territorio, la qualità e il costo dei servizi, l’imprenditorialità e l’innovazione sociale e l’identità, la cultura e il saper fare. Secondo gli auspici del Ministero, la città è una comunità intelligente che usa le tecnologie non solo per migliorare negli ambiti già altrove sperimentati, ma anche per valorizzare la propria identità specifica, rinnovare senza eliminare le proprie tradizioni culturali e di patrimonio artistico e naturale, per rilanciare il proprio saper fare più antico e costruirne di nuovo. Ma se è così, perché parliamo di mancanza di visione strategica? Perché ad oltre un anno di distanza ancora non si vede una chiara strategia e visione, nonché modelli operativi e schemi organizzativi per avviare le nostre città verso una politica “smart”. L’agenda digitale dovrebbe costituire il prodromo per sviluppare le smart cities e a tale scopo si occupa di  identità digitale, PA digitale, istruzione digitale, sanità digitale, divario digitale, pagamenti elettronici e giustizia digitale. Tutto digitale, dimenticandosi forse che chi usa i servizi e vive la città è quanto di più analogico esista, ovvero le persone, i cittadini. Se leggiamo i programmi delle città italiane che più di altre hanno avviato politiche smart, possiamo notare che la concentrazione è soprattutto rivolta a promuovere azioni nel campo del risparmio energetico, dei network energetici e dello sviluppo della banda larga, della mobilità elettrica e sostenibile e della trasformazione dei pali della luce in “snodi di intelligenza diffusa”. Ma ben poco si parla di cittadini, di servizi e di partecipazione. E’ ovvio che per sviluppare città smart servono reti fisiche (ad esempio quelle tecnologiche) e azioni di miglioramento della qualitò della vita, ma queste azioni non passano solo dalla realizzazione di interventi di efficientamento energetico o di innovazione tecnologica delle reti. Quello è hardware, puro hardware che fa crescere i bilanci dei soggetti, spesso grandi multinazionali, che operano in quei mercati, ma che poi non si traducono in effetti tangibili per i cittadini, perché hardware sprovvisto di adeguato software. Come avere un pc con le tecnologie più all’avanguardia ma senza dotarlo di programmi adeguati e dandolo in mano ad utenti non particolarmente formati ed istruiti. E qui sta il punto nodale: le smart cities sono un veicolo per sviluppare la futura civiltà, una civiltà nella quale la popolazione dovrà sempre più essere integrata, connessa, ma anche inclusa e accudita. Se nel futuro a breve il 70% della popolazione abiterà nelle città è evidente che serve produrre sistemi di relazioni che consentano di gestire la complessità attraverso politiche inclusive, in primo luogo, ma anche sostenibili e attrattive. E il problema è che le città oggi sono tutt’altro che virtuose. Il 50% della popolazione mondiale che attualmente vive in un contesto urbano sta consumando circa il 75% dell’energia planetaria e producendo addirittura l’80% delle emissioni a effetto serra. Le città intelligenti sono una scelta obbligata per la sostenibilità del pianeta, ma la sostenibilità da sola non basta. Vale a dire che devono essere sviluppati centri urbani intelligenti, dove grazie alla tecnologia sia possibile ottenere trasporti (pubblici e privati) più efficienti, risparmi energetici consistenti, un calo drastico delle emissioni inquinanti e servizi pubblici più efficienti e accessibili per il cittadino. Quest’ultimo deve essere messo al centro delle politiche “smart”. Come ha di recente specificato in un suo libro Michele Vianello, direttore del parco tecnologico VEGA, “il punto di partenza della Smart City è insegnare l’innovazione al cittadino, il quale si trova al centro del processo di un cambiamento fatto di social network, di cloud computing, di device mobili, di cose nuove ma anche vecchie, che vanno riassemblate”. L’idea è che partendo da questo punto di vista, quello del cittadino educato, sia possibile riprogettare le città, guardando al futuro. E invece fino ad oggi si è proceduto per piccoli pezzi, per stralci, per parti, senza una visione ampia e strategica di questa trasformazione. Si è preferito guardare all’hardware e meno al software. E ciò di cui il cittadino “smart” ha bisogno sono soprattutto le informazioni, veicolate attraverso canali e strumenti innovativi, ma è nell’informazione che sta la vera caratteristica “smart” di una città. Sono molte le città in Europa e nel mondo che hanno avviato politiche serie per diventare smart cities, e tutte quelle che hanno raggiunto i migliori risultati hanno posto alla base delle loro azioni i cittadini, producendo città tecnologiche e interconnesse, ma anche sostenibili, confortevoli, attrattive, sicure. La sicurezza ad esempio è fattore di attrattività e di inclusione, come la mobilità sostenibile è sinonimo di accessibilità. Ciò che queste città dimostrano – da Amsterdam ad Amburgo, da Friburgo a Masdar City, da Caofeidian a Seattle – è che le loro policy di riqualificazione e risanamento viaggiano a pari passo con l’attenzione al cittadino, alle sue esigenze, formandolo, affiancandolo, accudendolo nel processo di apprendimento. Perché una smart city è una città che punta sul miglioramento della gestione dei processi urbani e della qualità della vita dei cittadini, azioni che raggiungono gli obiettivi se i cittadini stessi fanno parte del processo. In Italia il processo è appena iniziato, ha subito alcuni stop ma in alcuni  casi mostra notevili potenzialità. Supportiamole, perché non è solo il futuro, ma è anche un futuro che si apre a investimenti in vari campi e settori. Un futuro smart anche per la nostra economia.

Il decreto per la razionalizzazione dei punti vendita carburante e gli aspetti ambientali

Domani, 12 luglio 2013 entra in vigore il DM del 19 aprile 2013 per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, che coprirà un arco temporale di tre anni (2012-2014). Ai sensi dell’art. 28 del D.L. 98/2011, i titolari dei distributori di carburante che cesseranno la propria attività potranno ricevere un contributo pari al 60% delle spese sostenute per il ripristino ambientale dei siti per un massimo di 70.000 Euro per impianto. Le attività comprese vanno dalla bonifica dei serbatoi e delle linee interrate, allo smaltimento e recupero dei rifiuti prodotti, dallo smaltimento dei rifiuti liquidi alla messa in sicurezza operativa. L’obiettivo è ridurre sensibilmente il numero di distributori in Italia, dove la rete conta 23.100 punti vendita attivi, superando di gran lunga la media di tutti gli altri Paesi europei. L’Italia, però, ha anche un altro primato europeo negativo – è seconda solo alla Grecia – per il peggiore livello di efficienza. Mentre la Francia eroga in media 3.500 metri cubi di carburante e il Regno Unito 4.056, l’Italia ne eroga 1.419.

“Il decreto razionalizzazione è un intervento che mira a correggere quest’anomalia italiana, contribuendo ad una razionalizzazione del numero di impianti di distribuzione carburante sul territorio italiano”, sottolinea Maurizio Piazzardi, responsabile del settore Oil and gas e Industry di MWH in Italia. “Negli anni, infatti, abbiamo assistito ad un proliferare di punti vendita spesso costruiti all’interno delle aree urbane ed a poche decine di metri l’uno dall’altro. Tale dislocazione e presenza capillare pone delle problematiche di possibile contiguità sia ai recettori naturali sia a quelli antropici. Soprattutto in fase di bonifica, questi elementi richiedono un livello di attenzione specifico ed a volte perfino superiore rispetto a siti di maggiori dimensioni e magari posizionati al di fuori dei centri urbani.”

“Il decreto va nella stessa direzione delle scelte strategiche già attuate da varie società del settore oil and gas”, continua Piazzardi, “che guardano alla concentrazione della propria rete di distribuzione in meno punti vendita di maggiori dimensioni, come ad una risposta efficiente ad esigenze organizzative. E’ evidente che le attività di bonifica contestuali alla dismissione di molti di questi punti vendita cresceranno e acquisiranno un ruolo di sempre maggiore rilievo nel panorama del risanamento ambientale in Italia. Accogliamo con favore l’intervento del Ministero che sostiene ed incentiva interventi condotti con professionalità e nell’interesse del territorio”.

Da anni MWH supporta alcune delle principali società petrolifere operanti in Italia occupandosi di tutti gli aspetti della gestione delle passività ambientali dei loro punti vendita per un totale di oltre 1000 impianti in tutta Italia. Nell’ambito di questi progetti, MWH è responsabile del program management, di attività di caratterizzazione ambientale, elaborazione analisi di rischio, progetti di bonifica dei terreni, modellazioni idrogeologica della falda, progettazione e realizzazione sistema di messa in sicurezza d’emergenza, sistemi di recupero idrocarburi, coordinamento sicurezza e relazione con gli enti e con gli stakeholder.

BravoBloc, la semplicità che sfida la crisi

Una risposta semplice alle esigenze dei cantieri di oggi. È così che Italcementi affronta il particolare momento congiunturale, puntando a una soluzione mirata che garantisca una maggiore efficienza e un concreto risparmio in cantiere. Il nuovo blocco si chiama BravoBloc ed è stato presentato ieri presso la Scuola Edile Esem a Milano, nel corso di un incontro organizzato con la collaborazione della stessa Esem e del Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati di Milano. Oltre alla presentazione del sistema, è stata dimostrata la facilità della messa in opera e le possibilità applicative in fase di progettazione e realizzazione, attraverso una prova pratica in cantiere.

Il concetto alla base del nuovo prodotto è molto semplice: inglobare in un unico blocco di calcestruzzo alleggerito, facile da movimentare, dell’isolante ad alte prestazioni, così da ridurre una parte delle fasi tradizionali di cantiere, oltre ad assicurare un risultato certo ed efficiente in tempi più brevi.

 

«Con BravoBloc esploriamo vie nuove in una fase di mercato particolarmente critica – ha affermato Stefano Roncan, direttore commerciale di Italcementi –. Abbiamo deciso di puntare su semplicità e prestazione, dando così risposte concrete a progettisti, imprese e rivenditori».

 

L’iniziativa nasce insieme a Sacme, marchio accreditato nella progettazione e realizzazione di macchine e accessori per la fabbricazione di manufatti in cemento. A intervenire, nel corso della presentazione, anche Andrea Dari, direttore tecnico Saie, e Filippo Falzone, presidente della Scuola Edile. Importante inoltre la spiegazione dettagliata delle caratteristiche tecniche di BravoBloc, a cura di coloro che si sono occupati direttamente di quest’aspetto.

 

Come ti cambio la filiera

Le nuove tecnologie stanno cambiando la filiera delle costruzioni: internet, il web 2.0, i social network e il cloud computing stanno diventando strumenti e veicoli di riorganizzazione del lavoro, della distribuzione dell’informazione e dei rapporti stessi all’interno della filiera

La crisi aguzza l’ingegno, ma soprattutto velocizza alcuni processi in atto che, in ogni caso, avrebbero avuto un loro sviluppo. Probabilmente più lento. Ma è indubbio che lo sviluppo delle nuove tecnologie nel mercato delle costruzioni e nella riorganizzazione della filiera, che sta avvenendo anche a causa della crisi, è uno dei fattori che più di altri rappresenta una opportunità per le imprese, ai diversi livelli della filiera, per riorganizzare la propria presenza sul mercato e consolidare processi di affiliazione, collaborazione, partnership strategica o, semplicemente, per avviare nuove modalità operative, più adatte ad un mercato che, oltre a ridursi nella dimensione globale del giro d’affari, cambia nella sostanza. La matrice del cambiamento è data dalle nuove tecnologie, dallo sfruttamento delle nuove opportunità che internet consente ai diversi attori della filiera, con i suoi diversi sviluppi recenti, soprattutto in tema di cloud computing e di sistemi collaborativi. Fino ad alcuni anni fa i rapporti all’interno della filiera erano gestiti secondo una gerarchia consolidata, sviluppata in decenni di attività strutturata secondo precise regole di mercato, di diffusione territoriale delle imprese, di rapporti tra soggetti gestiti soprattutto da intermediari, diretti e/o indiretti, delle imprese. Ma il mercato è cambiato. Non solo a causa della crisi. E’ cambiata la domanda, non solo e non tanto in relazione a “quanto e cosa”, ma soprattutto a “come”. La crisi associata allo sviluppo del web 2.0 e delle piattaforme collaborative ha messo in evidenza in primo luogo un cambiamento epocale del consumatore, sempre più responsabile e sempre più informato. Lo sviluppo dei prodotti legati alla sostenibilità e al risparmio energetico ha implicato una crescita della consapevolezza nel consumatore della necessità di informarsi ed essere responsabile nei confronti non solo dell’acquisto, ma delle modalitàò di consumo future. Gli investimenti non sono più traguardati solo sulla realizzazione, ma vengono filtrati attraverso il parametro della gestione. E gestire significa occuparsi soprattutto del post vendita e del post costruito o realizzato. In pratica il processo costruttivo assume una nuova funzione, nella quale il prodotto deve produrre risparmio nel tempo, ovvero nel corso della gestione. In sostanza le esigenze di risparmio ed efficientamento energetico, associate ai vincoli di bilancio incrementati dalla crisi, hanno reso la domanda molto più attenta al prodotto non tanto quanto prodotto in sé, ma per ciò che il prodotto è in grado di sviluppare in termini di consumi, comfort e benessere. E questo è avvenuto in un contesto nel quale l’informazione rappresenta il motore del cambiamento. La velocità dell’informazione, associata alla capillarità e alla diffusione delle nuove tecnologie, ha modificato e sta modificando i comportamenti di acquisto, a tutti i livelli della filiera, ma soprattutto nella relazione con gli utenti finali. Il cambiamento epocale che modifica strutturalmente i rapporti è quello della disintermediazione e della nascita di nuove socialità, attraverso le communities online. Le persone sono diventate i nodi di contenuti nei quali le conversazioni rappresentano le relazioni in termini di collegamenti e dove la rete, le relazioni, le informazioni sono mediate, promosse, avviate, “digerite”, ma soprattutto discusse, in quell’insieme ampio e molto poco sfruttato dal settore che riguarda i social network. Non è solo l’esplosione di facebook e di twitter. E’ la crescita di contenitori nei quali le relazioni sono tematizzate soprattutto nelle modalità di accesso e uso di questi nuovi strumenti di comunicazione, più che nei contenuti stessi. In sostanza, fino ad alcuni anni fa la tematizzazione era sulle cose, sugli oggetti, sui soggetti. Oggi la tematizzazione è soprattutto nel “modo”. Dialogare e comunicare su facebook e su twitter, o su tumblr o flickr, non è la stessa cosa. Sono canali diversi, che spesso hanno anche utenti diversi. E dunque servono nuovi strumenti di approccio, per poter utilizzare e sfruttare questi veicoli per la propria attività produttiva, in particolare per costruire e consolidare partnership strategiche, sia con i prorpi clienti business che con gli utenti finali. Le piattaforme collaborative, il web 2.0, i social network e il cloud computing sono soprattutto strumenti nei quali si organizza il processo e lo rende un “processo critico”, ovvero un processo messo in crisi (non sempre nel male, spesso nel bene) dagli utilizzatori stessi, che diventano da un lato antenne che captano i cambiamenti e le esigenze (sapendo leggere questi fenomeni con oppportuni strumenti) da un altro lato producono consumatori votanti, ovvero non solo soggetti che scelgono, ma anche che spiegano le loro scelte, lasciando tracce, commenti, discussioni, spesso fortemente argomentate e approfondite, nei diversi forum tematici. La crisi associata allo sviluppo delle nuove tecnologie sta spingendo le imprese della filiera delle costruzioni ad una riorganizzazione strategica dell’approccio al mercato, dove la conoscenza è il veicolo delle decisioni, dove l’informazione e le relazioni sono il vero patrimonio dell’impresa, dove si costruisce per gestire e si gestisce per produrre, spostando il fulcro operativo dal progetto al processo, alla gestione del processo. La filiera si modifica ma va anche ripensata. Non solo in rapporto alla visione gerarchica o strutturata dei rapporti, soprattutto va ripensata nella dimensione temporale dei rapporti stessi. Se nell’approccio tradizionale vale soprattutto il processo costruttivo, e dunque sviluppato in un ambito di tempo limitato che finisce al termine del processo, nella nuova logica della sostenibilità la filiera non ha più una fine temporale, la filiera deve dare risposte costanti e “per sempre”, perlomeno per la vita utile dei prodotti, ovvero durante la gestione dei prodotti. Le nuove tecnologie di risparmio energetico spingono verso un forte approccio al servizio, pre e post vendita. Le nuove tecnologie informatiche permettono la gestione del servizio secondo processi molto più ottimizzati e ottimizzabili di un tempo. Ma si devono conoscere gli strumenti e utilizzare secondo i linguaggi e le modalità d’uso che possono determinare il successo o, se mal utilizzati, l’insuccesso dell’impresa. Non è solo il web, è tutto l’insieme di strumenti e relazioni che devono puntare alla costruzione di relazioni consolidate, veloci, strutturate e consistenti, in termini di informazione, tra i diversi attori. E in questo cambiamento che decide i filtri, chi decide quali informazioni utilizzare non è chi produce le informazioni, ma chi le utilizza, sia esso il produttore, il progettista, il rivenditore, l’installatore o l’utente finale, soprattutto l’utente finale. “Gestione” è la parola chiave che caratterizza tutta l’economia delle imprese e anche il settore delle costruzioni, in una fase di passaggio dai sistemi hard ai sistemi soft, dalla costruzione alla gestione, dal prodotto al processo, attraverso un trait d’union dato dalla necessità di una valutazione della sostenibilità complessiva delle attività, ovvero nell’individuazione di forme di gestione delle attività, a tutti i livelli, che consentano l’ottimizzazione di costi e tempi, migliorando il sistema di offerta. L’informazione è il veicolo che consente di mettere in rete tutto, dagli impianti alle imprese. Così come si stanno sviluppando le smart grids per gestire l’efficienza energetica, così devono svilpparsi le smart commnunities per gestire le informazioni, dove il suffisso “co” diventa il vero fattore strategico: co-progettazione, co-working, co-marketing, co-financing, co-housing. Gli obiettivi la filiera cambiano e con essi dobbiamo cambiare anche noi per poter stare con successo e in modo consapevole nel mercato.

 

202 piani di prefabbricato

Come si risolvono i problemi dovuti all’aumento della popolazione cittadina? Semplice, si costruiscono grattacieli. In Cina inizierà uno dei più mastodontici progetti della storia, un nuovo grattacielo pensato per ospitare le abitazioni e i luoghi di lavoro di oltre 30 mila persone. La società costruttrice, la Broad Sustainable Building (BSB), descrive questo intervento ingegneristico come il prossimo modello e passo nella storia dell’urbanizzazione. Crederle non è difficile. La BSB è riuscita nel 2011 a realizzare un palazzo di 30 piani in soli 15 giorni, e in questi due anni l’innovazione tecnologica non è rimasta a guardare. Quindi l’unica difficoltà sembra il calcolo di quanti giorni serviranno alla BSB per raggiungere gli 838 metri di altezza descritti nel progetto del nuovo grattacielo che sorgerà a Changsha, nel centro sud della Cina. I progettisti ipotizzano 90 giorni ma le autorità cinesi invitano alla calma vietando la corsa. I tempi rimarranno comunque ristretti e in sette mesi i 202 piani dovrebbero essere impilati uno sull’altro. Per la costruzione di questo gigante l’impegno maggiore lo richiederà lo scavo delle fondamenta, dopodiché la tecnologia dei componenti prefabbricati permetterà la costruzione di diversi piani ogni giorno. Il risultato sarà una cittadina autosufficiente fatta di vetro, acciaio e cemento. Saranno 92 gli ascensori e 17 i chilometri sviluppati da rampe e scale. Uffici, negozi, ristoranti, cinema, giardini, un albergo, un ospedale, una scuola e 17 eliporti. Addio autobus o metro, per spostarsi dall’abitazione al luogo di lavoro ci si muoverà in verticale rivoluzionando così l’attuale concetto di spostamento. Il governo cinese pone così la prima pietra del suo piano di urbanizzazione che prevede lo spostamento, in dieci anni, di oltre 400mila persone dalle campagne alla città.

Mutui: aumentano quelli per l’acquisto della seconda casa

In un periodo in cui il mercato dei mutui conosce cali a doppie cifre, e il dibattito sull’Imu imperversa senza freni, parlare di seconde case sembra quasi anacronistico. Eppure, il mercato di chi compra l’abitazione per le vacanze, o quella da mettere a reddito, tiene, anche se i numeri si sono ridimensionati rispetto al passato. È questo, in breve, il risultato dell’indagine svolta da Mutui.it in collaborazione con Facile.it: i mutui seconda casa passano, in un anno, dal 4% al 6% del totale dei finanziamenti erogati.

 

«Che la percentuale di erogazioni per l’acquisto di una seconda abitazione sia in leggero aumento rispetto allo scorso anno – dichiara Lorenzo Bacca, responsabile business unit mutui dell’azienda è interpretabile da un lato alla luce del calo dei prezzi del mattone, forte soprattutto in alcune zone d’Italia, e dall’altro perché resiste una piccola percentuale di italiani che non ha problemi ad ottenere un mutuo e, sfruttando la propria storia creditizia e i propri risparmi, investe ancora negli immobili.»

L’analisi ha messo a confronto il numero delle erogazioni di mutui nel periodo gennaio-giugno 2013 con quelle del primo semestre del 2012, evidenziando come – in un contesto di sofferenza del mercato – anche i mutui per l’acquisto della seconda casa vedano una riduzione tanto dell’importo richiesto quanto del valore erogato: l’importo medio che si cerca di ottenere si ferma a circa 125.000 euro, il 10% in meno rispetto al 2012, mentre il valore concesso mediamente dalle banche scende a soli 98.000 euro, ben il 18,6% in meno.

Il mutuo accordato dalle banche andrà a coprire una percentuale che non arriva nemmeno alla metà del valore dell’immobile: il cosiddetto loan to value, il rapporto tra la cifra erogata e il valore dell’abitazione, si ferma al 47% (era il 51% un anno fa). Viste le cifre, si capisce come gli immobili oggetti di acquisto non siano certamente di lusso: anche il valore medio degli immobili si è contratto, in un solo anno, del 9%, dato che conferma l’idea si tratti di investimenti di medio livello.

La durata dei mutui seconda casa, stando ai dati, è più bassa di un anno fa: 19 anni contro i 21 del primo semestre 2012; l’età del richiedente, invece, resta stabile: chi compra una seconda abitazione ha, mediamente, 43 anni.

«Chi oggi compra una seconda abitazione – conclude Baccalo fa perché già dispone di liquidità, ma ha altro capitale “bloccato” sotto forma di investimenti; pertanto, preferisce chiedere un mutuo anziché svincolare azioni e obbligazioni. Il vero problema è la progressiva chiusura del mercato dei finanziamenti nei confronti di chi, invece, non ha la stessa tranquillità economica e punta piuttosto all’acquisto della sua prima casa.»

Corsa con handicap

Le nostre imprese giocano sul campo internazionale con lo svantaggio di energia cara e infrastrutture insufficienti

«Negli ultimi dieci anni la dotazione infrastrutturale del Paese ha sofferto di un pesante gap». Risultato: 50 miliardi di ricchezza perduta «nel solo 2010 per il divario infrastrutturale esistente fra le diverse aree del Paese». Le parole, amare come un fernet, sono state pronunciate da Claudio Andrea Gemme, presidente di Confindustria Anie, solo qualche giorno fa. Lo svantaggio su cui devono fare i conti le imprese italiane è, in effetti, sempre più pesante. Il divario infrastrutturale rispetto alla Germania nell’ultimo decennio, sono sempre parole di Gemme, «si stima abbia fatto perdere 142 miliardi di Pil». E, cosa ancora peggiore, dal 1990 l’Italia ha destinato alle infrastrutture «il 35% in meno» rispetto agli altri Paesi. Per non parlare delle risorse comunitarie (cioè i fondi strutturali e Fas): sono stati «utilizzati solo il 12% degli oltre 41 miliardi stanziati per il 2007-2013».

Insomma, non solo le costruzioni, ma un po’ tutto il sistema delle imprese è svantaggiato rispetto ai nostri competitor. Come se giocasse a calcetto su un campo inclinato, con la palla che rotola inesorabilmente verso la nostra porta. Prendiamo il caso dell’energia. Le bollette per le famiglie rimangono affidate a un sistema di sussidi incrociati che fa pagare prezzi europei a chi consuma poco e troppo a chi è costretto a utilizzare più elettricità. Non lo dicono industriali incavolati, ma si legge nella relazione al Parlamento del presidente dell’Autorità per l’energia Guido Bortoni, presentata a metà giugno. Nel’analisi si legge che il prezzo del gas è più alto tra il 5 e il 10% rispetto a quello della media Ue. E le imprese pagano l’elettricità mediamente il 30% di più, con un divario che invece di ridursi aumenta. Unico dato positivo: il prezzo del gas si sta lentamente allineato a quello dell’Europa grazie ai nuovi benefici dell’apertura internazionale dei mercati all’ingrosso. Ma l’insieme ha un effetto persino paradossale: nella composizione della bolletta, sia per le famiglie che per le imprese, il peso degli oneri che non riguardano la componente energia cresce sempre di più. Ci sono troppe tasse che servono per pagare altro, insomma, e in questo modo si restringono strutturalmente gli spazi di competizione tra fornitori. I dati di confronto con gli altri Paesi sono lì a confermare il problema: secondo Eurostat, l’incremento registrato in Italia, sul fronte dell’energia elettrica, è il terzo maggiore alle spalle di Cipro (+21%) e Grecia (+15%).

Una situazione diametralmente opposta a quella di Svezia (-5%), Ungheria (-2%) e Finlandia (-1%).

Un altro punto dolente è quello dei trasporti e della logistica. Sotto questo aspetto, l’inefficienza del nostro Paese è stata valutata a 40 miliardi di euro, una specie di tassa invisibile sul sistema economico e produttivo. Gli esperti ritengono che tale gap rispetto alla media europea non si sia modificato negli ultimi anni. Se si riuscisse, quindi, ad abbassare di un solo punto percentuale l’incidenza del costo della logistica e dei trasporti sul valore della produzione, si otterrebbe già un risparmio di circa 10 miliardi l’anno. Non c’è da stupirsi: secondo un report 2012 della Banca Mondiale, l’indice Lpi che misura l’efficienza della logistica colloca l’Italia al 24esimo posto nel mondo, dopo quasi tutti gli altri principali Paesi Ue e molti Paesi asiatici.

Che fare? Secondo Gemme occorre una strategia di ampio respiro: «Sarebbe anacronistico pensare il contrario. I percorsi e gli scenari in termini di reti e infrastrutture, città, edifici, sono già delineati e si basano sulla capacità di gestire e scambiare informazioni, sulla maggiore richiesta di funzionalità, sulla integrazione, sulla decentralizzazione di intelligenza nelle singole parti. Gli edifici sono destinati a diventare i nodi intelligenti di reti intelligenti e, come tali, parti di un sistema più ampio nel cui contesto il parametro energetico quasi zero dovrà essere ridefinito».