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Agguantare la ripresa

Dopo cinque anni di caduta libera il mercato dà qualche segnale di timida ripresa. Non è ancora giunto il momento di una svolta forte, ma non bisogna lasciarsi sfuggire questa inversione di tendenza. Lo anticiperà al VI Convegno di YouTrade, che si terrà a Bergamo il 25 settembre, il direttore del Cresme, Lorenzo Bellicini. Sarà l’occasione per capire dove va l’edilizia e la distribuzione dei materiali e come le aziende possono affacciarsi al nuovo ciclo economico che si delinea. Un momento di confronto ma, soprattutto, un momento utile per individuare le mosse giuste da compiere nei prossimi mesi. Oltre a Bellicini, a chiarire lo scenario del settore contribuiranno Federico Della Puppa, docente di economia presso l’Università IUAV di Venezia e altri importanti esperti del settore. Non mancheranno le testimonianze dei protagonisti: produttori, distributori, imprese e tecnici delle costruzioni. Insomma, un appuntamento da non perdere.

 

 

Aldes per l’Auditorium Casa Cava di Matera

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Aldes Italia, specializzata nella produzione e commercializzazione di sistemi di ventilazione meccanica controllata, aspirazione polveri centralizzata e protezione antincendio, ha contribuito, mediante l’installazione di un Sistema Forzato di Evacuazione Fumi e Calore, ad incrementare il livello di sicurezza antincendio dell’Auditorium Casa Cava di Matera.

L’opera rappresenta un eccellente caso di recupero di un complesso ipogeo di origine post-medievale, utilizzato fino al ‘600 come cava a pozzo e convertito, in seguito, in una struttura per la cultura, l’arte e la musica. L’Auditorium Casa Cava si presenta dunque come un gioiello incastonato che si estende per 900 mq, articolato in dieci ambienti scavati nel tufo adibiti a diversi usi: galleria espositiva; sale formative e laboratori; caffetteria e tre corti all’aperto. Ulteriore elemento distintivo è costituito dalla sala Auditorium centrale, in grado di ospitare circa 140 persone e, caratterizzata da una particolare forma a cono, di circa 18 metri di altezza e destinata anche a sala concerti per le sue peculiarità foniche ed acustiche.

 

Il progetto, avviato dall’Amministrazione Comunale, è stato sviluppato e coordinato da Emanuele Lamacchia Acito dell’Ufficio Sassi di Matera, che si è avvalso della collaborazione di Renato Lamacchia (architetto) per il restauro architettonico e l’allestimento degli interni e di Gennaro Loperfido (architetto) per la progettazione impiantistica.

 

Nello specifico, è emersa la necessità di prevedere un Sistema di Evacuazione Forzata di Fumo e Calore per proteggere le vie di esodo, ubicate non in posizione contrapposta.

Il sistema di climatizzazione HVAC installato, è del tipo con immissione dell’aria da sottopoltrona pertanto, in caso di incendio, è stata prevista la possibilità di commutarne il funzionamento in modalità di sola immissione aria, in abbinamento all’estrattore fumi Helione F400° di Aldes, collocato alla sommità dell’ambiente. La restante quantità di aria, necessaria per il corretto funzionamento del sistema, affluisce attraverso le porte che la squadra di emergenza provvede a spalancare. In caso di incendio, dunque, è così possibile creare uno strato libero dai fumi facilitando l’esodo delle persone e le operazioni dei soccorritori.

 

La soluzione antincendio proposta da Aldes ha permesso di soddisfare appieno l’esigenza di integrare in un unico impianto componenti che, ad eccezione dell’estrattore fumi, sarebbero stati installati in ogni caso.

 

 

CasaCavaMatera Aldes

Il grigio sinonimo di qualità

Applicazione di lastre Neopor
Applicazione di lastre Neopor
Grazie alle perle di grafite incapsulate al suo interno,
le lastre Neopor di Basf offrono elevate prestazioni termiche e isolanti, massima resistenza e durata nel tempo
A distanza di pochi anni il Neopor di Basf, reso inconfondibile dal colore grigio-argenteo delle sue lastre, è diventato sinonimo di qualità ed eccellenza in materia di isolamento termico. Costituito da polistirene espandibile con minuscole particelle di grafite di differenti granulometrie incapsulate al suo interno, il Neopor offre un maggiore effetto isolante, incrementato anche del 20 per cento, rispetto al tradizionale EPS di colore bianco. Le particelle di grafite, infatti, assorbono e riflettono i raggi infrarossi, annullando gli effetti dell’irraggiamento del calore che inibisce la conducibilità termica, soprattutto alle basse densità. Ideale per i sistemi a cappotto – in Europa ne sono utilizzati più di dieci milioni di metri quadrati all’anno solo per l’isolamento delle facciate –, Neopor garantisce inoltre massima resistenza e durata nel tempo, oltre a soddisfare requisiti di sostenibilità, eco-efficienza e risparmio energetico. Il sistema a cappotto rappresenta al momento la soluzione più performante per l’isolamento termico di nuovi edifici e negli interventi di ristrutturazione, proteggendo le strutture portanti dell’involucro edilizio e le pareti esterne dalle sollecitazioni termiche e fornendo un’adeguata protezione dagli agenti atmosferici sia in inverno che in estate. La materia prima Neopor viene venduta da Basf alle aziende di trasformazione che aderiscono in maniera volontaria a NQCI – Neopor Quality Circle Italy, il “circolo della qualità” che la multinazionale tedesca ha fondato con l’obiettivo di tutelare la qualità di tutti i prodotti provenienti dalla filiera di trasformazione del Neopor destinati al mercato italiano dell’edilizia. Solo le aziende che aderiscono a NQCI possono realizzare e distribuire prodotti Neopor, trasformando, attraverso il semplice impiego di vapore acqueo, la materia prima in prodotti destinati alle più svariate applicazioni di isolamento termico. Aderendo a NQCI, le aziende di trasformazione accettano di aprire
i propri impianti produttivi agli ispettori che, senza preavviso, verificano la conformità e le proprietà isolanti dei prodotti finiti. Un esame che, se superato, garantisce il marchio di qualità Neopor; in caso contrario, il marchio è invece suscettibile di revoca.

La magia del taglia Imu

Dynamo è il nome di un mago inglese, considerato il migliore illusionista in attività. È un ragazzo che cammina sull’acqua, fa sparire e ricomparire quello che avete in tasca, legge nel pensiero. In televisione è eccezionale, sorprendente. Ma, ovvio, nulla di quanto si vede è vero. Si tratta di trucchi, da ammirare in quanto spettacolo, perché Dynamo non ha davvero ultrapoteri. Chi ce li ha sul serio, invece, è il governo: con due colpi di bacchetta magica ha fatto sparire una tassa da 4,8 miliardi: l’Imu. E, badate bene (qui sta la magia), senza tagliare spese della pubblica amministrazione. Insomma, lo Stato incassa 4,8 miliardi in meno, non diminuisce le proprie uscite, eppure i cittadini non pagheranno più l’odiato balzello: una magia. Dynamo, in confronto, è un dilettante.

Com’è possibile questo miracolo? Vediamo. Una delle voci che consentono il gioco di prestigio è la sanatoria per le multe alle slot machine. Non ci credete? Eppure è così: proponendo uno sconto ai gestori multati, il governo pensa di incassare 600 milioni. Premesso che da che mondo è mondo nessun condono ha fruttato la cifra messa in preventivo, sorge spontanea un’altra domanda: nel 2014 come sarà rifinanziata questa cifra? Mah, ci vorrà un’altra magia. Un miliardo, invece, il governo lo troverà (sostiene) grazie alla restituzione di 10 miliardi alle imprese, i famosi pagamenti bloccati. Di questi soldi, appunto, 1 miliardo dovrebbe ritornare nelle casse come extra-gettito. Insomma, ti verso 10, ma tu me ne ridai indietro 1. Anche per questa voce vale la stessa domanda precedente: il prossimo anno come si rifinanzierà il mancato incasso? Che domande: dovrà pensarci chi vincerà le elezioni che, probabilmente, si terranno in primavera. Se il Paese nel frattempo accumula deficit, pazienza. A proposito, i maghi hanno anche assicurato che l’abolizione dell’Imu non comporta nuove tasse. È questo il bello della prestidigitazione: il pubblico deve essere convinto di quello che (non) vede. Naturalmente, il fatto che i Comuni saranno autorizzati a incassare una nuova tassa «sui servizi», cioè a far pagare di più raccolta sui rifiuti e acqua non è considerata una nuova imposta. È una «rimodulazione», parola che ricorda la vaselina. Insomma, in questo caso è una magia dialettica. Fatto sta che la nuova tassa sui servizi, in un primo tempo battezzata Taser, termine che faceva pensare alla pistola-elettrica usata dalla polizia per stordire i malviventi, peserà sui portafogli degli italiani con tutta probabilità più o meno come l’Imu. Infine, ciliegina sulla torta, c’è il ripristino parziale dell’imponibilità ai fini Irpef dei redditi derivanti da unità immobiliari non locate. Tradotto: nuova stangata sulle seconde case.

Conclusione: tutti gabbati, eppure contenti. L’importante, d’altra parte, è che le promesse elettorali siano soddisfatte.

È Melbourne la città più vivibile al mondo

Melbourne

Niente crisi, niente guerre, città efficienti e vasti territori a disposizione degli abitanti. Il paradiso in terra? Sembrerebbe di sì e si chiama Australia. Secondo la classifica 2013 stilata dall’Economist Intelligence Unit’s, infatti, sarebbe Melbourne la città più vivibile, in testa già da tre anni. E sono ben quattro le città australiane presenti nelle prime dieci posizioni, soprattutto grazie alla scarsa densità di popolazione, pari a 2,88 persone per km quadrato. Tra le altre motivazioni ci sono la violenza contenuta, i massici investimenti nelle infrastrutture e l’organizzazione efficiente delle città, nelle quali il territorio è preservato al meglio, nonostante i servizi non manchino.

Il secondo posto della classifica è stato invece assegnato a Vienna, seguita da Vancouver, Toronto, Calgary, Adelaide, Sydney, Helsinki, Perth e Auckland. Nella top ten, quindi, rientrano due città europee.

 

Le città coinvolte da guerre civili come Tripoli, Dacca, Damasco, Teheran, eccetera, affollano le ultime posizioni insieme alle europee Madrid e Atene, più colpite dalla crisi economica.

A sorpresa Est Europa in salita, Bric in discesa

A sorpresa, secondo l’indice Msci Easter Europe (Russia esclusa), negli ultimi tre mesi l’Est Europa è cresciuta dell’1,2% , mentre complessivamente i Paesi emergenti registrano un -7,5% segnalato dall’indice Msci Emerging Markets ed acuito dalla riduzione di liquidità predisposta dalla Fed.

Insomma, i Bric cadono e l’Europa centro-orientale registra fattori positivi anche per quanto riguarda le valute, considerando che dallo scorso maggio il lev bulgaro, lo zloty polacco e la corona ceca stanno guadagnando terreno rispetto al dollaro, al contrario di rupia indiana, real brasiliano e lira turca.

 

Probabilmente le cause di una tale “ripresa” sono da cercare nella domanda di elettrodomestici, automobili e altri prodotti fabbricati nei Paesi dell’Est, che nel luglio scorso hanno apportato un incremento del 4,3% per le vendite al dettaglio in Polonia (rispetto al luglio 2012), e visto la crescita del Pil della Repubblica Ceca dello 0,7% nel secondo trimestre 2013.

 

 

La crisi per l’Europa centro-orientale è quindi finita? Meglio essere prudenti sulle previsioni per il futuro. Non resta che attendere i prossimi sviluppi.

Consumo di suolo, avanti quasi indietro

Una delle azioni promosse dal Governo Letta è stato il proseguimento dell’iter della norma sul consumo di suolo, ormai inderogabile, che le Regioni tuttavia hanno bloccato. Vediamo il perché

L’Italia è uno dei paesi a maggior consumo di suolo. I dati di una recente ricerca dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sulla perdita di naturalità e impermeabilizzazione del territorio evidenziano che dal 1956 al 2010 si è passati dal 2,8% al 7%, nella media nazionale, con una velocità di consumo valutata in 8 metri quadrati al secondo. In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 km2nel 2010, un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demografica: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340 m2. Ma la situazione è molto differenziata a livello rgionale e locale. Nel 1956 la graduatoria delle regioni più cementificate vede la Liguria, superare di poco la Lombardia con quasi il 5% di territorio sigillato, distaccando – Puglia a parte (4%) – tutte le altre. La situazione cambia drasticamente nel 2010: la Lombardia, superando la soglia del 10%, si posiziona in vetta alla classifica, mentre quasi tutte le altre regioni (14 su 20) oltrepassano abbondantemente il 5% di consumo di suolo. Alcuni approfondimenti regionali evidenziano poi che vi sono situazioni di fortissimo consumo in alcune aree. In Veneto ad esempio tutta la fascia centrale della futura città metropolitana di Venezia vede alcuni comuni superare la soglia del 25% di territorio urbanizzato. L’impermeabilizzazione, riducendo l’assorbimento delle acque meteoriche, è una delle cause dell’aumento dei dissesti che ogni anno colpiscono le diverse aree del paese e che creano notevoli danni a cose e persone. Il Governo, il 15 giugno scorso, aveva varato un disegno di legge intitolato “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”, ma il testo è stato contestato dalle Regioni in quanto “privo di una visione strategica e complessiva del territorio” con il rischio di “portare a un blocco degli strumenti urbanistici vigenti”. Secondo le Regioni il testo del disegno di legge ha una impostazione concettuale e il conseguente articolato che ricalca pedissequamente la proposta presentata nella precedente legislatura dall’allora ministro Catania, vanificando di fatto il lavoro emendativo che le Regioni avevano condotto su ddl. Secondo le Regioni, il tema del consumo di suolo “è complesso e strategico e va inquadrato non in un’ottica settoriale ma al contrario con una visione unitaria di territorio e di politica territoriale integrata”. La posizione, condivisibile, peraltro è suffragata anche da azioni che le singole Regioni stanno portando avanti con propri provvedimenti. Una su tutte, il Veneto, che in questi mesi sta promuovendo una legge regionale sul tema. E’ di tutta evidenza che una norma nazionale sul consumo di suolo deve non solo rispettare le prerogative regionali, ma anche deve essere in grado di misurare l’impatto sulle norme locali, in primo luogo quelle urbanistiche. Un blocco indifferenziato di tre anni alle attività, se non coordinato, rischia di creare più danni di quelli che vorrebbe contrastare. Con ricorsi, contenziosi e con notevoli problemi di gestione che ricadrebbero in modo diseguale sui comuni e sulle regioni. Il tema del consumo di suolo è talmente pressante e rilevante che è impensabile ipotizzare che si possa procedere attraverso un disegno di legge non condiviso. La questione riguarda direttamente la costruzione di una politica di governance territoriale che deve essere inquadrata in una visione unitaria e di politica territoriale integrata, e non può riguardare solo l’uso agricolo del territorio, con meccanismi complessi e, a detta delle Regioni, sostanzialmente inapplicabili. Di tutto abbiamo bisogno in questo momento, tranne che di ulteriori norme e provvedimenti che rendano più complessa la gestione dell’uso del suolo e del territorio. E’ importante che su queste tematiche non si pensi di fare passi avanti che sono, in realtà, dei veri e propri passi indietro. Queste norme, inoltre, hanno un impatto diretto sulle attività edilizie e non si può pensare che la questione sia risolta solo guardando alla quantità di superficie agricola, senza evidenziarne la qualità, le caratteristiche di biodiversità e di integrazione con le altre funzioni del territorio. Aspettiamo dunque gli esiti dell’evoluzione del dibattito, sperando in una maggiore concertazione tra istituzioni per la definizione di una legge quadro che contenga non solo indicazioni su cosa non si deve fare, ma anche su dove e come intervenire per migliorare il nostro territorio e, di conseguenza, anche le nostre città.



Italia fuori dalla top 100 europea della competitività

L’Italia è fuori dalla top 100 europea della competitività. Lo conferma la Commissione europea nell’indice 2013 e, inoltre, pone la Lombardia al 128esimo posto, dopo che fino a tre anni fa era tra le prime cento regioni europee in classifica. Il primo posto è assegnato all’Utrech, in Olanda, seguita dall’area londinese Berkshire – Buckinghamshire – Oxfordshire, da Stoccolma, e dal Surrey, in Gran Bretagna.

Istituzioni, stabilità economica, infrastrutture, sanità e istruzione sono i fattori su cui si è basata la classifica. A quanto pare, le regioni italiane non sono state promosse a pieni voti: quelle del Sud occupano le ultime posizioni e le altre occupano i posti dal 141esimo (Emilia Romagna) in poi.

Inaugurato a Barcellona il GROHE Live! Center

Dopo il successo riscosso dallo showroom milanese, aperto al pubblico dall’aprile 2012, è stato inaugurato ad agosto a Barcellona il GROHE Live! Center.

GROHE, fornitore mondiale di sanitari di design, ha recentemente aperto il nuovo showroom sulla prestigiosa Avenida Sarrià. Si tratta di uno spazio unico per esplorare la varietà e lo spessore di questo marchio premium. L’apertura dello showroom celebra il rapporto lungo quarant’anni tra GROHE e Barcellona.

 

Architetti, progettisti e interior designer sono alcuni dei gruppi che trarranno enormi benefici dal nuovo GROHE Live! Center, dove i sofisticati prodotti aziendali possono essere visti, toccati e provati. Inoltre, questo elegante showroom offre anche uno spazio per i team che lavorano insieme su nuove soluzioni per il design per il bagno, per lo scambio di conoscenze e per l’organizzazione di seminari nelle sale conferenze attrezzate professionalmente.

 

Tutto nei 500 mq dello showroom ruota intorno a stile e design, progresso e tecnologie, stili di vita moderni e ultime tendenze. Per offrire un’esperienza stimolante sia per i professionisti che per i consumatori, gli spazi espositivi sono perfette repliche di bagni reali che interagiscono con altre zone della casa moderna.

 

 

Edilteco entra nella rosa di imprese Conpaviper

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Edilteco, specializzata nella produzione di malte alleggerite termoisolanti, entra nella rosa delle imprese associate Conpaviper, associazione nazionale pavimentazioni continue.

“L’iscrizione di Edilteco rappresenta un passo fondamentale nella costruzione di una rete etica dal punto di vista tecnico e applicativo – sottolinea Corrado Borghi, direttore commerciale dell’azienda di San Felice sul Panaro –. Un progetto di ampio respiro su cui stiamo lavorando ormai da tempo e che, tanto da parte nostra quanto di tutti gli attori Conpaviper, nei prossimi anni vedrà un ulteriore incremento di impegno. E’ inutile promuovere a parole il concetto di edilizia sicura, sostenibile, confortevole se poi non lo si traduce in dato di fatto. Oggi risulta dunque indispensabile coinvolgere ai tavoli di discussione non soltanto produttori e progettisti ma anche e soprattutto gli applicatori. E’questa  l’unica via percorribile per sponsorizzare la buona pratica e rinnovare le norme legislative nell’ottica di un aggiornamento urgente che non ammette proroga”.

 

Ente giuridico che su base volontaria raggruppa poco meno di 200 aziende di ogni dimensione attive nella realizzazione di pavimenti, nella produzione di materiali dedicati e nella fornitura di servizi, Conpaviper nasce dalla fusione di Conpavi (pavimentazioni industriali) e Aiper (pavimenti e rivestimenti). Un’unione partorita dalla volontà di creare un soggetto istituzionale in grado di rappresentare in modo completo e puntuale l’intero settore.

 

“Per Conpaviper coinvolgere nella propria attività qualsivoglia figura professionale volta a realizzare in modo etico edifici a regola d’arte è vitale – afferma Luigi Schiavo, responsabile della sezione massetti di Conpaviper –  Poter contare sulla presenza di associati applicatori è per noi un valore aggiunto: siamo infatti più forti, più rappresentativi e attendibili. Oggi correre da soli non è opzione praticabile e fare gruppo si rivela sempre più una necessità. Certo non è facile. L’agire in sinergia impone infatti una svolta culturale che negli stessi applicatori, spesso artigiani, deve individuare i suoi attori principali. A tal proposito la continua formazione gioca un ruolo di primo piano. E’ dunque importante tenere sempre aperto un canale di reciproca comunicazione”.

(RI)CONVERTITEVI!

 Abiurare la nostra fede imprenditoriale è ancora più difficile di concretizzare un preventivo. Il nuovo che avanza ci impone nuove scelte, il già vissuto non ci aiuta più. Dobbiamo scegliere che porta aprire

 

Ormai, essere imprenditori della distribuzione edile è diventato un atto di fede, seppure con la “f” minuscola. La fede – qui rispettosamente scorporata da ogni possibile riferimento religioso – non prevede di prendere atto della realtà dei fatti, non tiene conto dell’ineluttabilità del mondo che cambia, delle diverse esigenze del mercato. Ci si crede e basta, costi quel che costi. E, nel nostro caso, costa moltissimo. L’idea di continuare a svolgere azione di “rivendita” come è sempre stato fatto, come se fossimo fondamentalisti della compravendita, considerando il nostro magazzino alla strega di un santuario- deposito che generosamente dispensa alle genti merci e qualche volta consigli (solo se richiesti) è un precetto della nostra cultura imprenditoriale. E i precetti non si cambiano, perché sono i capisaldi della fede. Ma convertirsi alla modernità è difficile, anche perché, negli ultimi vent’anni, abbiamo assistito a cambiamenti spesso incoerenti, a indicazioni contrastanti. La ciclicità dell’andamento congiunturale del nostro mercato è sempre stata considerata come un tranquillizzante e suadente sottofondo new age. Un po’ si saliva, un po’ si scendeva, ma tanto sapevamo che poi si sarebbe risaliti, e così via. A un certo punto, poi, la salita non finiva più, ed era così inebriante che mai avremmo pensato che ci sarebbe stata una discesa ancora più ripida della salita e molto più pericolosa. Perché, dunque, cambiare? E poi: cambiare che cosa? Cambiare come? Cambiare chi? Il panico degli ultimi anni ha messo a dura prova la nostra fede imprenditoriale, qualche precetto ha iniziato a vacillare, discorsi e mottetti di alcuni moderni profeti del cambiamento all’inizio erano accolti con scherno, anche se a volte qualche spora ha attecchito nel prato delle nostre convinzioni, generando riflessioni e anche azioni. Così, a forza di sollecitazioni, molti hanno investito nella loro attività, e dopo pochi anni, in piena crisi, hanno dovuto smantellare, perché il magazzino a conduzione famigliare della porta accanto, avendo meno costi, andava meglio di loro. Altri, disubbidendo ai precetti, hanno scelto di inserire materiali e tecnologie di mercati paralleli, dimenticandosi però di affiancare alla fisicità delle proposte una adeguata consulenza tecnica, ignorando inoltre la necessità di una adeguata promozione, attività da sempre nemica della nostra fede. Quello della distribuzione edile ai nostri giorni è ormai per lo più un mercato in stato confusionale, in cerca di una identità perduta che la vecchia fede non riesce più a confortare. E oggi, mentre il problema non è più vendere, ma decidere se e a chi vendere, in considerazione delle scarse garanzie di solvibilità, arriva “YouTrade” a parlare di “riconversione”. Ancora una volta, ci dicono che dobbiamo cambiare pelle, che dobbiamo essere pronti a trasformarci in organizzazioni commerciali camaleontiche e trasformiste per essere pronti ad affrontare ogni diversità, ogni cambiamento, sulla base delle nuove direzioni del mercato. Mi domando che cosa ne sarà della nostra fede e dei precetti che da sempre la governano. Mi domando anche se e in che cosa ci dovremo convertire. Sappiamo che non possiamo permetterci di stare fermi ad aspettare miracoli che non ci saranno. Ma scegliere una direzione per moltissimi colleghi è ancora un azzardo. Siamo davanti a due porte chiuse. Su una c’è scritto “trasformazione”. Sull’altra “specializzazione”. Qualsiasi porta decideremo di aprire, per noi sarà cambiamento. Convertirci a una nuova idea di presenza commerciale sul territorio ci spaventa, perché siamo ancora troppo (coerentemente) legati al concetto di vendita che per noi è primario, mentre per il mercato è secondario, perché prima c’è la consulenza tecnica, quella cosa che ancora non tutti sappiamo offrire. L’unica cosa certa è che decidere di trasformarci (un giorno scopriremo come) o di specializzarci seriamente non è più una questione di fede, ma di scelta consapevole. Il primo precetto del cambiamento.

 

Scosse a orario continuato

Anche se non sempre li avvertiamo, ogni giorno in Italia si registrano 34 terremoti. Un dato che dovrebbe spingere governo e imprese ad adottare misure di prevenzione. Perché il disastro è in agguato

Da molti anni è attiva la Rete sismica nazionale italiana, che pubblica i parametri dei terremoti registrati e revisionati dagli analisti del Centro nazionale terremoti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. I dati, consultabili online con uno strumento interattivo per la selezione e la creazione di mappe dei terremoti all’indirizzo: https://iside.rm.ingv.it, fanno riferimento a oltre 300 stazioni di rilevamento e a un sistema, ormai ben collaudato, che è in grado di aggiornare la situazione ogni due minuti. Dal 2005 a oggi sono stati registrati oltre 100mila terremoti, ovvero oltre 12mila eventi all’anno, con una media di circa mille al mese. Insomma: circa 34 terremoti ogni giorno. Le oscillazioni possono ovviamente essere elevate, per cui si passa da giornate con pochi eventi a quelle con centinaia di eventi. Per la cronaca, il centomillesimo evento, da quando è stato istituito questo servizio nel 2005, è stato registrato il 26 aprile 2013 alle 2:53 (ora italiana) e ha avuto magnitudo 0.7, ovvero al di sotto della soglia dell’avvertibilità, nella zona di Città di Castello, in Umbria, dove da tempo è in atto una sequenza sismica molto ricca di terremoti. Le mappe che si ricavano da Iside evidenziano come il territorio italiano sia ovunque molto attivo, con l’unica eccezione della Sardegna. In particolare tutta l’Italia peninsulare, con una fascia pressoché continua di epicentri dalla Pianura padana alla Sicilia. Ma anche l’arco alpino risulta attivo, particolarmente nei settori occidentale e orientale, e il Mar Tirreno, caratterizzato da terremoti molto profondi (alcune centinaia di chilometri). Secondo uno studio riservato della Protezione civile, che pianifica l’emergenza in caso di terremoti, il numero di crolli, di case inagibili e di abitazioni danneggiate, oltre che di vittime e feriti potenziali, nel caso di un forte terremoto, sono preoccupanti: 160mila a Catania, 112mila a Messina, 85mila a Reggio Calabria, 46mila a Catanzaro, 32mila a Benevento, 19mila a Potenza, 74mila a Foggia, 24mila a Campobasso, 21mila a Rieti, 17.500 a Belluno, per citare solo i capoluoghi più esposti e potenzialmente più colpiti. A questi danni vanno poi sommati gli effetti nelle città vicine, che possono aggravare il bilancio del potenziale disastro. Un disastro che è sotto i nostri piedi quotidianamente e che, ad ogni evento reale, mette in luce la fragilità del nostro territorio, ma soprattutto il tanto tempo sprecato in prevenzione, precauzioni e prescrizioni costruttive dall’ultimo grave terremoto dell’Irpinia, del 1980. L’Aquila e l’Emilia sono lì a ricordarcelo, come peraltro anche la Lunigiana. Quest’ultimo caso è, in particolare, molto interessante perché le prescrizioni antisimiche di quei luoghi hanno fatto sì che nessun edificio sia crollato, e che le strutture esterne abbiano potuto resistere bene. Ma anche dove non si è intervenuto, per esempio sulle partizioni interne, si sono verificati crolli interni e gravi condizioni di inagibilità, nonostante l’attenzione all’antisismicità dei muri perimetrali degli edifici. Recentemente una rete di monitoraggio internazionale, alla quale partecipa il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, ha acceso un segnale d’allarme sull’Italia centrale e sul Meridione, in particolare sulla Calabria e la Sicilia orientale. D’altronde, basta consultare quotidianamente il bollettino Iside per osservare quante scosse vi sono, molte delle quali non sentite dalla popolazione, ma anche molte ben avvertite, perché oltre la soglia minima di percezione. Chiunque, analizzando i dati, può scoprire che nelle zone del terremoto dell’Emilia del 2012, quest’anno l’attività sismica è stata comunque rilevante, anche se al di sotto della soglia di danno. «Non si registrano danni a persone o a cose», è la frase con la quale i bollettini raccontano un’attività tellurica che nel nostro Paese è in continua evoluzione e della quale dobbiamo essere consapevoli, per mettere in atto politiche di intervento adeguate a garantire una sufficiente sicurezza alle nostre città, grandi e piccole. Un sisma di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale, ovvero di una intensità rilevante, ma ritenuta possibile perché già registrata in passato, potrebbe contare fino a 11mila morti e più di 15mila feriti. I dati delle medie mondiali per queste soglie di rischio si fermano a 6.500 morti e 20mila feriti. In Giappone a 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri e nelle medie sta tutta nelle tecniche di costruzione impiegate e agli investimenti nella prevenzione. L’Italia fa scarsa prevenzione e l’esito delle regole e delle normative costruttive, basate su mappe sismiche non adeguate, si è evidenziato nel terremoto emiliano del 2012, che ha colpito anche alcune aree del Veneto e della Lombardia. Quello è territorio non solo di case, ma di capannoni e di strutture produttive, che hanno evidenziato tutti i limiti delle modalità costruttive della prefabbricazione spinta all’italiana. E se si ripercorrono i terremoti e le gestioni delle emergenze dal 1968 a oggi, attraverso i dati della Camera dei Deputati è possibile quantificare come la gestione dell’emergenza e la ricostruzione finora sono costate allo Stato 135 miliardi di euro (valori attualizzati al 2008), dei quali 92 stanziati dalla pubblica amministrazione. Gli effetti sui conti pubblici sono ancora oggi di tutta evidenza: per il terremoto del Belice in Sicilia (1968) gli impegni di spesa finanziati da leggi e decreti termineranno nel 2018, per l’Irpinia (1980) nel 2020, per le Marche e l’Umbria (1997) nel 2024, per il Molise (2002) nel 2023, per l’Abruzzo (2009) nel 2033. Soltanto per il Friuli (1976) il capitolo di bilancio è stato archiviato definitivamente nel 2006. La prevenzione è dunque uno degli elementi sui quali intervenire e da promuovere attraverso specifiche politiche e azioni, compreso il sostegno agli incentivi governativi che considerano gli interventi antisismici al pari delle spese di ristrutturazione e dunque defiscalizzabili oggi al 50%. Ma da più parti si chiede che tale soglia sia portata al 65%, per agevolare la loro realizzazione e soprattutto per permettere una grande azione di prevenzione e precauzione che potrebbe allineare in alcuni anni l’Italia alle medie internazionali di rischio, con meno vittime potenziali, meno crolli e meno danni patrimoniali. Un beneficio per tutti, per le famiglie, per le imprese, per l’economia, per il patrimonio edificato. Anche in prospettiva di quanto accaduto e che potrebbe accadere con le decisioni del Governo in merito al sostegno alle famiglie e alle imprese in caso di terremoto. Tutti ricordano, infatti, come poche settimane prima del terremoto in Emilia, l’esecutivo aveva proposto la riforma della Protezione Civile, affermando che lo Stato non si sarebbe più fatto carico dei danni subiti dai cittadini in caso di catastrofe naturale. Ciò che è accaduto in Emilia è emblematico, dato che se la ricostruzione è a carico dei danneggiati, il problema è il ruolo che possono assumere le compagnie assicurative, tra polizze che potrebbero divenire molto elevate e  in generale una politica mutualistica ancora tutta da definire. Il Governo Letta propone di rendere obbligatoria la copertura assicurativa contro le catastrofi naturali per le aziende, con l’adozione di un sistema che riduca l’aggravio sulle imprese. È evidente che il patrimonio edificato è un bene privato, ma è anche parte della competitività di un Paese. Prevenzione, dunque, ma anche assistenza e assicurazioni adeguate, perché va trovato un punto di equilibrio, tra pubblico e privato, che permetta di rendere adeguate scelte che privatizzano il rischio. Ma le imprese, in caso di eventi eccezionali, devono comunque poter contare su una facilità di accesso alle protezioni da rischi, per esempio attraverso una parziale defiscalizzazione dei premi assicurativi contro le catastrofi. Prevenzione può significare molte cose, dagli interventi sulle strutture alla sottoscrizione di polizze contro i rischi. Ma è evidente che deve essere al centro dell’azione del Governo la sburocratizzazione delle procedure e una vera sussidiarietà nelle azioni di intervento post-sisma. L’esempio più chiaro è l’accelerazione che vi è stata nella risoluzione degli impasse nella gestione del post terremoto a L’Aquila. E in questo senso l’esempio del Friuli è sempre lì a ricordarci che se vogliamo, possiamo e sappiamo farlo. Con l’impegno di tutti.

Ai piedi della tecnologia

I calzini sportivi verranno identificati non più solo per la loro comodità d’uso durante l’attività fisica, ma anche perché da oggi si fanno sempre più hi-tech. Nasce infatti Sensoria di Heapsylon, un sofisticato sistema di calza dal tessuto speciale che intreccia al suo interno una serie di sensori in grado di raccogliere durante l’attività fisica tutta una serie di informazioni e di inviarle tramite il dispositivo bluetooth, posizionato ad altezza caviglia, a dispositivi come smarthphone o computer. L’analisi di tutti i dati raccolti permetterà all’utente di modificare o migliorare le sue tipologie d’allenamento. Non solo, Sensoria permette tramite l’accumulo d’informazioni di prevenire il rischio di infortuni o di migliorare il recupero dagli stessi evitando sollecitazioni dannose e pericolose. Una tecnologia da seguire, sperando che presto venga distribuita anche in Italia.

Horizon 2020, la ricerca motore dello sviluppo

Horizon 2020 è il nome del nuovo programma dell’Unione Europea per finanziare la ricerca e l’innovazione nella nuova programmazione 2014-2020 che sostituisce i vecchi “programmi quadro” per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico e per la Competitività e l’Innovazione. Al suo interno molte opportunità per le imprese. Vediamo quali

 

La crisi finanziaria del 2008 è iniziata proprio quando il 7° Programma Quadro dell’Unione Europea aveva iniziato a muovere i primi passi. La ricerca, lo sviluppo tecnologico, la competitività e l’innovazione sono temi sempre al centro dell’agenda politica e programmatica europea, che con i programmi quadro aveva definito anche nei periodi precedenti, modalità e strumenti per accedere a fondi destinati all’innovazione e allo sviluppo. La crisi si è inserita in questo percorso e ha potuto contare su una serie di “pacchetti” di stimolo per rimettere in moto l’economia, a partire dalla ricerca e dallo sviluppo tecnologico, veri motori della ripresa, come testimoniano i dati relativi agli investimenti in questi settori messi a frutto negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei e che in Italia, invece, stentano ad affermarsi. Nel nostro paese la spesa pubblica e quella privata per ricerca e sviluppo è più bassa degli altri partner europei: la media nazionale è dell’1,26% sul Pil con un peso della ricerca privata pari allo 0,68% del Pil. Il gap è rilevante, dato che la spesa media europea della ricerca privata è dell’1,24% sul Pil. I paesi più competitivi in Europa investono in ricerca e sviluppo molto più dell’Italia, dalla Francia alla Germania a tutti i paesi scandinavi, con percentuali superiori al 2,2% del Pil e con la spesa privata superiore all’1,4% del Pil, con il record della Finlandia che investe il 3,9% del Pil in ricerca e sviluppo (R&S) e con gli investimenti privati nel settore al 2,7% del Pil. Un adeguato rapporto tra spesa R&S e Pil è uno dei cinque obiettivi cardine stabiliti nell’ambito della strategia “Europa 2020”, definita dalla Commissione europea nel marzo 2010 per accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale, anche attraverso l’economia della conoscenza. In tale prospettiva, particolare risalto viene dato alla necessità di incentivare l’investimento privato in R&S. I “programmi quadro” hanno sempre avuto questa funzione e Horizon 2020 ne eredita da un lato le valenze, ma ne amplifica anche la portata, in quanto gli investimenti in ricerca e in innovazione sono fondamentali per costruire un alto livello di qualità della vita e per creare posti di lavoro, aumentando la prosperità e affrontando le sfide della società. Per questi motivi, la ricerca e l’innovazione si collocano al centro della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Rientra in questo contesto l’obiettivo principale di portare la spesa europea per R&S al 3% del PIL entro il 2020. In Italia il MIUR alcuni mesi fa ha presentato un documento sulla programmazione settennale per la ricerca e l’innovazione, chiamato “Horizon 2020 Italia”. L’obiettivo della strategia generale per il sistema della ricerca italiana non è solo quello di accedere con maggiore efficacia alle risorse finanziarie che la Commissione Europea mette a disposizione, ma anche quello di aprire il nostro sistema agli stimoli ed agli incentivi della competizione internazionale. Il documento individua una serie di punti deboli del “sistema Italia” ma al contempo, attraverso i risultati di una ampia consultazione pubblica, individua anche i punti di forza sui quali operare. L’Italia è, nello scenario europeo, uno dei Paesi definiti “moderate innovators”, con una bassa quota di esportazioni ad alto contenuto di tecnologia. Il documento pertanto promuove alcune linee di indirizzo, prima fra tutte la necessità di favorire l’incontro tra la domanda di ricerca e l’innovazione espressa dai cittadini. Il sistema della formazione è individuato come elemento centrale e strategico per la formazione delle cosiddette “comunità intelligenti” (smart communities), sulle quali Horizon 2020 punta moltissimo e che il MIUR ha attivato con i bandi Smart Cities and Smart Commnunities da 655,5 milioni di euro, di cui 25 milioni di euro per giovani ricercatori under 30. Un primo passo verso lo sviluppo di una nuova consapevolezza del nostro paese sull’investimento in R&S. Le opportunità per le imprese sono molte, dato che i fondi europei assegnati al programma sommano 6,7 miliardi di euro eseguiranno le tre priorità di Horizon 2020, ovvero “scienza di eccellenza”, “leadership industriale” e “sfide della società”. Molto interessante al riguardo è l’approccio integrato nei confronti delle PMI, grazie al quale si prevede di dedicare ad esse il 15% circa della dotazione finanziaria complessiva per le sfide della società e le tecnologie abilitanti e industriali. E’ bene dunque che le nostre imprese si informino e inizino a costruire ipotesi di ricerca sugli assi individuati, che si possono trovare nel nuovo portale “ResearchItaly”, sviluppato dal Consorzio
, con l’obiettivo di fotografare, supportare e promuovere la ricerca italiana d’eccellenza, e disponibile, in italiano ed in inglese, all’indirizzo www.researchitaly.it. I tempi per farlo ci sono, ma bisogna prepararsi, in quanto entro la fine del 2013 l’UE adotterà gli atti legislativi su Horizon 2020 e dal 1° Gennaio 2014 vi sarà il lancio dei primi bandi. E l’Italia con le sue imprese dovrà essere protagonista.

 

L’energia alternativa diventa un gioco

Il settore Energy di Siemens ha realizzato un gioco online gratuito (www.powermatrixgame.com) nel quale l’utente deve realizzare un sistema energetico sostenibile per una città: Power Matrix. L’utente potrà apprendere gli effetti causati dall’interazione tra diversi tipi di generazione di energia elettrica e le normative che regolano le reti. Il gioco si rivolge sia al professionista sia all’utente interessato al tema, entrambi assumeranno il ruolo di energy manager di un determinata zona rurale e attraverso lo sviluppo energetico diverranno fautori o meno della crescita di questa realtà. Una crescita che passa inesorabilmente attraverso le corrette scelte energetiche, puntando al mix tecnologico intelligente e alla funzionale fornitura di impianti di alimentazione. L’energy manager potrà confrontarsi e scegliere tra i diversi sistemi di produzione dell’energia, dai più tradizionali alle innovative soluzioni delle fonti rinnovabili. Lo sviluppo sostenibile e il mix energetico sono visti come la soluzione ideale. Meglio saranno combinate le fonti energetiche, maggiore sarà la crescita della città. Ma anche gli investimenti in ricerca vengono premiati. L’utente può infatti guadagnare bonus qualora decida di investire nella creazione di nuovi soluzioni per l’uso sostenibile ed efficiente delle risorse.

Dal valore aggiunto all’aggiunta di valore: come cambiare per avere successo

(..) i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla
faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare”.

 

Così Tony D’Amato (alias Al Pacino) incalzava i suoi giocatori nella straordinaria pellicola di Oliver Stone, “Ogni maledetta domenica”. E da Tony D’Amato parte anche Luciano Ziarelli, coacher e ideatore del programma di formazione “Smile”, a cui hanno partecipato oltre 70.000 tra imprenditori, professionisti e manager di oltre 3.000 aziende, enti e associazioni di categoria.

 

«Un centimetro di lavoro fatto con passione può diventare una distesa infinita di chilometri di successo – afferma Ziarelli . In un mondo globalizzato, infatti, non basta più saper fare bene il proprio lavoro, bisogna saperlo fare bene e con passione. In passato la sfida per il successo era basata sull’affidabilità. Ora, in un mondo in cui devi rispondere agli stessi rischi dei tuoi competitor, il valore aggiunto del prodotto non basta più. Il mercato è talmente ampio che il lavoro si è ormai appiattito su una normalizzazione operativa, e le aziende sentono un disperato bisogno di ricollocare le intelligenze in vista sia dell’ottimizzazione interna che dello sviluppo di nuove idee». Per questo, prosegue Ziarelli, «per tornare a fare la differenza, è necessario puntare su un nuovo umanesimo nelle relazioni commerciali: bisogna passare dal valore aggiunto all’aggiunta di valore, dalla ragione al sentimento della relazione. La ragione compone la competenza e l’esperienza, ma serve anche intelligenza emotiva, coraggio e passione: a contare sarà come fai le cose, e non cosa sai fare».

 

Ma c’è un problema. «Abbiamo ancora la convinzione che tutto si possa misurare in maniera razionale, e ancora oggi i più grandi esperti mondiali non sono riusciti a capire come poter inserire in bilancio e dare il giusto valore a beni intangibili quali l’etica, la trasparenza, il sentimento, la lealtà. Siamo abituati a esercitare le nostre competenze, ma non a trasmettere agli altri il valore della passione. Tuttavia, in un contesto globalizzato in cui i prodotti si assomigliano molto, la scelta d’acquisto sarà sempre più basata sulla passione, la motivazione, la lealtà del personale presente in azienda. È qualcosa che non si può imporre, solo trasmettere e comunicare tutti i giorni».

 

Io non posso obbligarvi a lottare” – diceva infatti D’Amato, ma – (…) in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra,consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei (…) Allora, che cosa volete fare?”…

 

Nella foto: Luciano Ziarelli