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L’export italiano via e-commerce vale 7,5 miliardi di euro

E-commerce
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Nel 2016 l’export italiano di beni di consumo che passa attraverso i canali digitali segna una crescita significativa, +24% rispetto all’anno precedente, e raggiunge un valore di mercato di 7,5 miliardi di euro. Ma rappresenta ancora una quota marginale, di poco inferiore al 6%, delle esportazioni totali di beni di consumo destinati al cliente finale. Il Fashion si conferma il settore principale delle esportazioni via e-commerce, con un peso di poco superiore al 60%, seguito a distanza dal Food (17%) – il settore con il maggiore tasso di crescita (+32%) – e poi da Arredamento e Design (entrambi al 12%). I grandi retailer sono il canale di distribuzione online privilegiato per le vendite oltreconfine e raccolgono il 52% del fatturato dell’Export digitale. Al secondo posto i marketplace (34%), il canale che è cresciuto maggiormente nel 2016, +46%, poi i siti delle vendite private (8%) e i siti di eCommerce di aziende produttrici (6%). I principali mercati di sbocco sono ancora Europa e Stati Uniti, con una predominanza dei Paesi occidentali europei (in primo luogo la Germania), e si rafforza anche la presenza in alcuni Paesi dell’Est Europa, tra cui Russia e Polonia, mentre resta marginale l’Export verso altri mercati come il Sud America, il Sud-Est Asiatico e la Cina. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) presentata al convegno “Export digitale: una sfida, tante opportunità”.

Dalla ricerca emerge una forbice ancora molto ampia fra il valore dell’Export online “diretto” – in cui l’interazione con il cliente è gestita da un operatore italiano attraverso i siti di produttori, portali dei retailer online o multicanale (come LuisaViaRoma e Yoox net-a-porter-Group) o marketplace “italiani” (come Amazon.it e eBay.it) – l’Export online “indiretto”, che passa attraverso i siti di eCommerce dei grandi retailer online stranieri (come Zalando, JD.com, Suning), i grandi marketplace (Amazon ed eBay con domini stranieri, Tmall) e i siti di vendite private internazionali (come vente-privee.com o VIP). L’Export diretto, infatti, pur registrando una crescita significativa nel 2016 (+23%), vale solo 2 miliardi di euro. Al suo interno, il Fashion fa la parte del leone, raccogliendo circa due terzi del fatturato (65%), seguito da Food e Arredamento/Home Design con il 10% ciascuno, poi Elettronica di consumo (4%). Il canale principale per l’Export diretto sono i retailer nazionali, che generano il 58% del valore delle vendite e buona fetta del mercato, il 26%, è costituita da siti propri di aziende produttrici, i marketplace con dominio .it si fermano al 16%. L’Export online indiretto invece genera 5,5 miliardi di euro di fatturato: il 60% riconducibile al Fashion, il Food e Arredamento/Home Design coprono rispettivamente una quota del 21% e del 13%, gli altri settori confermano la loro marginalità fermandosi al 6%. Il canale di vendita privilegiato è costituito dai retailer online stranieri, che abilitano circa metà delle transazioni. I marketplace stranieri pesano molto di più dei corrispettivi italiani, con una quota del 40%. Seguono i siti delle vendite private internazionali, che rappresentano il 10%.

“In uno scenario internazionale altamente competitivo, con consumatori sempre più inclini all’uso delle tecnologie digitali, l’adozione dell’eCommerce come canale di vendita all’estero può risultare una scelta vincente, utile a sostenere la crescita dell’Export italiano – afferma Riccardo Mangiaracina, Direttore dell’Osservatorio Export -. In Italia l’utilizzo dei canali eCommerce per esportare è un fenomeno recente: sono in crescita i volumi ed aumenta la consapevolezza delle opportunità. Ma sfruttare le opportunità fornite dall’Export digitale non è semplice: occorrono preparazione, competenze, propensione al cambiamento e adeguati investimenti. È necessario studiare le caratteristiche dei vari Paesi e dei settori per mettere a punto modelli di Export in grado di sbloccare il potenziale dei canali digitali”. La survey dell’Osservatorio Export su un campione di 100 aziende italiane esportatrici nei settori consumer rivela che circa metà delle imprese di questi comparti usa già canali eCommerce per esportare. Di queste, solo il 5% esporta secondo una strategia solo online, il 30% la varia (esclusivamente offline o online) a seconda del Paese di destinazione, il 15% adotta una strategia multicanale in tutti i Paesi. Circa il 50% delle imprese esportatrici digitali usa l’eCommerce da non più di due anni, circa un quarto ha iniziato da appena un anno. Circa il 64% delle aziende che ancora non fa Export online ha intenzione di farlo in futuro. In particolare, la metà di queste ha intenzione di attivare canali eCommerce all’estero entro i prossimi tre anni.

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Lo scenario macroeconomico dell’Export

Sono 210 mila le imprese esportatrici italiane, un numero rilevante se si considera la piccola dimensione che caratterizza il tessuto manifatturiero italiano. Ma l’intensità di Export è debole: il 45,5% delle imprese esporta meno del 10% del fatturato, solo il 10,3% esporta almeno il 75%. Lo rivela l’analisi dell’Osservatorio Export sullo scenario macroeconomico italiano, da cui emerge chiaramente come l’Export continui a rappresentare un traino per l’economia nazionale, poiché la domanda estera è molto più dinamica di quella interna. Cresce la cosiddetta “propensione all’Export” – il rapporto tra valore complessivo delle esportazioni e PIL – che nel 2016 si attesta al 43% per i beni manufatti, in linea con diversi Paesi di pari dimensioni e livello di sviluppo, come Francia e Spagna, ma inferiore a quello della Germania, il maggiore esportatore europeo. E nel 2016 il fatturato delle imprese italiane sui mercati esteri aumenta del 45% rispetto ai livelli del primo trimestre del 2009, mentre il fatturato domestico risulta sostanzialmente invariato. “Questa dicotomia – spiega Lucia Tajoli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Export – è dovuta sia a fattori congiunturali come la diversa velocità di ripresa della domanda dopo la crisi finanziaria internazionale, sia a fattori strutturali legati alla crescita di peso dei mercati emergenti extra-europei. Questo spinge naturalmente l’Export italiano, che è ancora molto concentrato nei mercati maturi, verso una maggiore diversificazione geografica. Se Germania e Stati Uniti restano i Paesi più attrattivi, Emirati Arabi, Cina, Corea del Sud e Paesi ASEAN possono rappresentare partner commerciali particolarmente importanti e dinamici, seppure con la dovuta attenzione ai fattori di rischio presenti in questi mercati. La ricerca dei mercati esteri, dei settori ottimali in cui collocarsi e dei modelli di esportazione più appropriati ha un ruolo fondamentale per tutta l’economia italiana”.

La Cina

La Cina è oggi il Paese con il più alto numero di utenti web al mondo, con circa 688 milioni persone che si connettono regolarmente alla rete: un cinese su due naviga, si informa sul web e utilizza chat; uno su tre effettua acquisti attraverso PC o dispositivi mobili. L’eCommerce rappresenta una straordinaria opportunità per raggiungere questo Paese, dove potere di acquisto e mercato sono in espansione e si registra un interesse crescente del consumatore verso il settore del lusso e i marchi del made in Italy. Il mercato dell’eCommerce cinese nel 2016 prosegue la crescita turbinosa con un +23,6% e un totale di transazioni (B2b + B2c) stimati in 2.700 miliardi di euro. La Cina ormai pesa per oltre il 45% del mercato mondiale dell’eCommerce B2C e ambisce a superare la quota del 50% nel 2017. Nel 2016, inoltre, si è assistito a un ulteriore rafforzamento delle vendite online cross-border (verso la Cina), che hanno raggiunto i 30 miliardi di euro, +86% rispetto al 2015. “La Cina è un Paese con un alto potenziale di crescita per l’Export digitale italiano, ma la scarsità di indicazioni pratiche su come accedere efficacemente a questo mercato e l’incertezza sui ritorni dall’investimento possono costituire un limite alla vendita tramite eCommerce – rileva Lucio Lamberti, Senior Advisor dell’Osservatorio Export -. Esistono almeno sei alternative per esportare online in Cina: identificare il modello più idoneo alle proprie caratteristiche è determinante per il successo dell’iniziativa. Indipendentemente dal settore di appartenenza e dalla piattaforma utilizzata, però, l’investimento in Export digitale verso la Cina risulta profittevole nel medio periodo, ma un ruolo chiave è giocato dallo sforzo di marketing profuso e dall’impatto sulle vendite”.

Shopping online
Shopping online

Gli Usa

Nonostante un livello di maturità superiore alla Cina, l’eCommerce statunitense continua a crescere, aumentando l’attrattività per l’Export italiano: il mercato americano delle vendite online B2c, il secondo al mondo, si attesta nel 2016 a 489 miliardi di euro, con una crescita del 12%. La penetrazione sul totale delle vendite retail ha raggiunto il 15%, quasi un punto in più rispetto all’anno precedente. “Lo sviluppo dell’Export digitale delle imprese italiane però verso gli USA resta un “percorso” difficile da portare a termine – spiega Lucia Piscitello, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Export -. Le aziende hanno tendenzialmente un controllo limitato sui processi logistici, non sono quasi mai presenti in loco con magazzini o strutture distributive, servono studi esterni per dirimere questioni legali, e soprattuto resta il problema delle competenze degli Export manager “tradizionali” che raramente hanno un’esperienza adeguata in ambito digitale ed eCommerce”.

Altre aree

In Europa, il quadro economico presenta segnali decisi di ripresa dopo la crisi, ma si caratterizza per un ritmo di sviluppo sempre più eterogeneo al proprio interno. Le previsioni di ulteriore crescita si caratterizzano per incertezza elevata, ma si possono cogliere buone opportunità: nella definizione di una strategia di export online bisogna considerare che ogni Paese è diverso, di testare il mercato attraverso un canale indiretto prima di investire in un sito di eCommerce proprio, di utilizzare un approccio multicanale per aumentare l’efficacia del sito e in ogni caso di proporre contenuti informativi familiari per il mercato di riferimento, comunicando nella lingua madre del Paese. Nei Paesi del Medio Oriente, che hanno avviato una serie di riforme strutturali con l’obiettivo di essere meno dipendenti dal petrolio, si aprono nuove opportunità di Export digitale, considerando anche il boom dell’eCommerce previsto per i prossimi anni. Per la strategia è utile puntare ai giovani, raccontando in modo efficace il Made in Italy con una riconoscibilità del marchio, magari utilizzando brand ambassador e influencer, stipulando accordi con aziende e distributori locali. Nel Sud-Est Asiatico il potenziale di crescita è ancora da sfruttare, per i tassi di crescita sostenuti e un commercio facilitato dagli accordi di libero scambio stipulati con l’Unione Europea. Inoltre è il mercato digitale con il più elevato tasso di crescita al mondo. E’ utile impostare la strategia costruendo una forte identità del brand con una presenza diretta, usando un magazzino in loco per abbattere i costi e prestando attenzione alla “logistica dell’ultimo miglio”.

Bosch Termotecnica boom con i dispositivi collegati al web

Scaldabagno Bosch con accensione elettronica
Scaldabagno Bosch con accensione elettronica

Vanno a gonfie vele gli affari del settore termotecnico, anche grazie al boom dei sistemi 4.0. Gli scettici sulla nuova tecnologia sono serviti. Lo testimonia il bilancio di Bosch. La divisione del colosso tedesco, infatti, ha riportato un fatturato di 3,3 miliardi di euro nel 2016. E questo senza contare gli effetti valutari negativi per 105 milioni di euro, dovuti principalmente dalla sterlina britannica, che hanno inciso pesantemente sul fatturato del 2016. Per Bosch Termotecnica, al netto degli effetti valutari, il fatturato è cresciuto del 3,1% rispetto all’anno precedente. Dall’inizio del 2015, la divisione ha fatto registrare una crescita complessiva dell’8%. «Nonostante la crescita globale debole e la congiuntura sfavorevole, nel 2016 abbiamo raggiunto i nostri obiettivi in termini di ricavi e siamo stati in grado di incrementare la nostra presenza in mercati importanti come: Germania, Regno Unito, America Latina, USA, Svizzera, Italia, Belgio, Russia, Turchia e Africa», è il commento di Uwe Glock, Cep della divisione Bosch Termotecnica. 

Tra i driver della domanda c’è l’aumento per impianti termotecnici compatibili con il web. «Oltre 265mila prodotti collegabili in rete venduti sino a oggi rendono Bosch Termotecnica il fornitore leader per le soluzioni di riscaldamento intelligente. Queste soluzioni offrono comodità, efficienza energetica, sicurezza operativa e qualità del servizio superiori», ha sottolineato Glock. «La generazione di prodotti lanciata nel 2015 ha avuto grande successo sul mercato ed è già disponibile in 29 Paesi. Intendiamo far perseguire questo successo». Bosch Termotecnica conta ovviamente di continuare su questa strada e presenterà altri prodotti di questa generazione all’ISH Energy 2017.

Industria 4.0

Anche nel settore della termotecnica gli acquirenti esprimono una forte preferenza per i prodotti e i servizi collegati in rete. «Bosch Termotecnica offre strumenti intelligenti che semplificano tutti i processi di lavoro. Questo permette agli installatori di focalizzarsi sul proprio core business per offrire ai clienti finali il miglior servizio possibile», ha aggiunto Thomas Bauer, membro del board di Bosch Termotecnica, riassumendo il significato delle soluzioni digitali proposte dall’azienda. 

I siti web più avanzati come www.cambioriscaldamento.it aiutano i partner commerciali ad aggiudicarsi nuovi clienti e ad agevolare la preparazione dei preventivi. Tutto quello che i clienti finali interessati devono fare è inserire pochi dettagli sulla propria abitazione e richiedere un preventivo per un nuovo sistema di riscaldamento. L’operazione dura in tutto un paio di minuti. Bosch Termotecnica invierà le informazioni ricevute dal cliente finale a un installatore termotecnico qualificato, che contatterà il cliente finale entro 24 ore e provvederà a preparare un preventivo personalizzato in modo tempestivo. Quindi, gli installatori riceveranno richieste digitali da clienti potenziali senza dover compiere particolari sforzi. I clienti finali, invece, verranno contattati soltanto da installatori termotecnici veramente esperti e qualificati. 

Scaldabagno Bosch con accensione elettronica
Scaldabagno Bosch con accensione elettronica

Le soluzioni di climatizzazione commerciale sono un segmento in forte crescita e di importanza strategica per la divisione di Bosch. «Abbiamo quindi deciso di ampliare la nostra offerta ai sistemi VRF, attraverso una joint-venture con il produttore cinese Midea», spiega un comunicato dell’azienda. Come indica il nome, i sistemi VRF si avvalgono di un flusso di refrigerante variabile per climatizzare gli edifici commerciali. I sistemi VRF sono commercializzati globalmente da Bosch Termotecnica sotto il marchio Bosch. «Questa joint-venture ha rafforzato la nostra posizione di mercato come fornitore di sistemi per il settore della climatizzazione commerciale e ci permette di sfruttare nuove opportunità di crescita. Ora offriamo unità trattamento aria, refrigeratori e dispositivi VRF, cioè tutta la tecnologia necessaria per gli edifici commerciali» ha spiegato Glock.

Betafence è sicurezza: infortuni giù del 50%

Betafence ha presentato B-Flex: l’innovativo palo di fissaggio anti-trauma, progettato e brevettato in Italia, migliora la sicurezza in campo di adulti e bambini, nella attività sportive non professionistiche. Grazie alla possibilità di ruotare alla base, controlla e attutisce la forza dell’urto, riducendo gli infortuni derivanti dall’impatto tra l’atleta e la recinzione perimetrale.

Lo sport non professionistico, soprattutto il calcio, in Italia è molto diffuso ed è un fenomeno che riguarda bambini e adulti. Nei campi di allenamento, nei campetti sportivi, negli oratori, nelle scuole, nelle aree gioco, nei parchi: avete mai pensato a quante sono le situazioni di gioco in cui gli atleti sono sottoposti a rischio d’infortuni derivanti dall’impatto con le recinzioni a bordo campo? Ogni anno si registrano migliaia d’ infortuni sportivi direttamente connessi alle strutture del campo da gioco: ecco perchè si rivelano particolarmente importanti soluzioni concepite per ridurre tali traumi, soprattutto quando i giocatori sono bambini e giovani atleti.

Funzionamento B-FLEX - Betafence
Funzionamento B-FLEX – Betafence

Ideato, progettato e brevettato da Betafence Italia, il palo anti-trauma B-Flex è una soluzione rivoluzionaria per la sicurezza e la riduzione degli infortuni in campo nell’attività non professionistica o delle serie minori.  Durante il contatto ravvicinato tra atleta e recinzione, l’innovativo palo flessibile assorbe l’energia cinetica generata durante l’urto: ciò avviene perché il sistema alla base del palo controlla ed attutisce la forza dell’urto, grazie alla sua possibilità di rotazione e traslazione.

Secondo le prove di laboratorio condotte da enti esterni, il nuovo sistema riduce l’impatto del 50% (rispetto ad un sistema con pali e recinzione tradizionali). Con B-Flex, i tempi di contatto sono più lunghi, con minori vibrazioni e minori rischi per il giocatore. Inoltre, il nuovo palo è ergonomico ossia senza punti pericolosi, caratteristica fondamentale in caso di urto. La funzionalità di B-Flex, di ruotare in seguito all’urto, è strettamente connessa alla tipologia di rete abbinata: si prevede infatti l’installazione (solo su piastra) con i rotoli di rete Plasitor (Plasitor Basic, Super e Super Plus).

Movimenti-palo B-FLEX - Betafence
Movimenti-palo B-FLEX – Betafence

Il sistema palo – rete ha un design gradevole a ridotto impatto nel contesto circostante. Il palo e la piastra di base mantengono aspetto e prestazioni nel tempo grazie alla zincatura a caldo sia internamente che esternamente con successivo rivestimento in poliestere. Si tratta quindi di un sistema durevole che non richiede manutenzione (verniciatura e pulizia). Disponibile di serie nel colore verde RAL 6005, B-Flex è presente in 4 altezze (min 180-max 250 cm) ed è costituito da tubolare in acciaio a sezione circolare.

Impatto-rete senza B-Flex e con B-Flex - Betafence
Impatto-rete senza B-Flex e con B-Flex – Betafence

 

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Il buon esempio di Trento: 9 milioni per l’edilizia scolastica

La Buona Scuola è realtà in Trentino-Alto Adige, nuovamente protagonista di politiche edilizie e sociali veramente attente al territorio e ai servizi per il cittadino. Infatti, dopo la scuola  in container ed ecofriendly più grande d’Europa di Bolzano, ecco l’impegno di Trento: la provincia autonoma infatti ha stanziato oltre 9 milioni di euro per le opere prioritarie in materia di edilizia scolastica.

La giunta, su proposta di Carlo Daldoss – assessore alla coesione territoriale, urbanistica, enti locali ed edilizia abitativa – ha disposto un duplice finanziamento per portare a termine più interventi per gli istituti provinciali. Una prima trance di 5.248.265 euro per la realizzazione della nuova scuola materna di Vallarsa (962.504 euro), del nuovo plesso scolastico  materno ed elementare di di Molina di Ledro (3.275.100) e dei lavori di riqualificazione dell’edificio sovra comunale di Commezzadura (1.010.660).

La seconda tranche dell’investimento – pari a 4.150.000 euro – è stata sbloccata con una seconda delibera, sempre con Carlo Daldoss primo firmatario: il capitale è indirizzato al comune di Ala per permettere la realizzazione dei lavori di ampliamento della scuola elementare e per la costruzione della nuova mensa scolastica, attraverso la riconversione dell’ex convitto S. Pellico, così da creare un unico polo scolastico comunale.

La buona scuola di Trento

L’asse Lombardia, FederlegnoArredo e Ance per il sistema casa

Case a Milano
Case a Milano

L’Assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, Mauro Parolini ha annunciato la prossima firma di un accordo quadro tra Regione Lombardia, FederlegnoArredo e Ance per lo sviluppo della filiera del sistema casa. L’intesa ha lo scopo di consolidare e valorizzare tale comparto, supportando il partenariato tra aziende del settore dell’edilizia e del legno-arredamento. In particolare, attraverso la creazione di un tavolo di coordinamento, si vuole dar vita a un vero piano d’azione volto a supportare le manifestazioni di settore, azioni di promozione all’estero per il presidio dei mercati ad alto potenziale, la realizzazione di una politica industriale regionale di settore e lo sviluppo di centri di formazione all’avanguardia per i giovani.

“Durante questa legislatura – ha dichiarato l’assessore Mauro Parolini – abbiamo offerto al settore dell’edilizia, tra i più colpiti dalla crisi, una misura da oltre 15 milioni di euro dedicata alla casa e all’abitare intelligente. È un’iniziativa unica in Italia, che sta generando investimenti molto significativi per l’innovazione del settore, nata con l’obiettivo di far tornare questo comparto a essere uno dei protagonisti della ripresa. Il successo di questo bando, che abbiamo chiamato ‘Smart Living’, ha innescato un processo virtuoso che aiuta il radicale cambiamento di un settore che vogliamo consolidare e rafforzare. Questo accordo rappresenta un atto concreto per rilanciare l’impegno sussidiario di Regione Lombardia nel sostegno alla competitività delle nostre imprese attraverso l’aggregazione, l’innovazione, il digitale, l’applicazione di nuove tecniche e l’ampliamento dei confini della filiera dell’edilizia”.

Case a Milano
Case a Milano

“Vogliamo aiutare le nostre aziende a ragionare in un’ottica globale, a prescindere dalla loro dimensione, e per questo dobbiamo favorire politiche che favoriscano l’aggregazione, anche tra imprese di filiere distinte, ma fortemente dipendenti l’una dall’altra. Crediamo fortemente che fare sistema tra due federazioni così importanti sia fondamentale per garantire ai nostri associati un percorso di sviluppo a lungo termine. L’accordo con Ance e Regione Lombardia sarà quindi un ottimo incubatore per la crescita del nostro settore”, ha commentato il presidente di FederlegnoArredo Emanuele Orsini.

“Quest’anno il supporto di Anche a Made expo ha segnato l’avvio di una partnership con FederlegnoArredo” – sottolinea Gabriele Buia, Presidente di Ance. “Il nostro appoggio alla manifestazione” aggiunge Buia, “testimonia l’importanza di momenti di confronto all’interno della filiera di uno dei settori industriali più importanti del Paese, anche per guardare assieme a nuovi mercati, agli importanti progetti di rigenerazione urbana e alla ricerca di soluzioni innovative che possano favorire la ripresa della nostra economia”.

Tutti i numeri di Made Expo 2017

Una passat

Pagella di fine fiera – Made Expo 2017

Made Expo 2017, l’esposizione internazionale del progetto e delle costruzioni, si è tenuta a Fiera Milano Rho, dall’8 all’11 marzo. Ecco, ma come è andata questa ottava edizione? Per dirlo, diamo un po’ i numeri: 1.060 espositori, 52 mila metri quadrati di superficie espositiva netta, 123 convegni (105 con rilascio di crediti formativi), 11 mila partecipanti, più di 620 relatori di fama internazionale, 165 presentazioni di prove Demo Live, 165 delegati di 38 Paesi per più di mille di incontri business-to-business con gli espositori. E ancora, oltre 650 giornalisti da tutto il mondo, e 106.000 presenze, con una percentuale di visite straniere sul totale pari al 12%. Made Expo si conferma manifestazione di punta per il mercato dell’architettura e delle costruzioni.

Un successo che parte dalle imprese partecipanti, dagli operatori del settore e dai visitatori professionali. Un’edizione caratterizzata da importanti segnali di risveglio del mercato nazionale e dalla presenza di un pubblico internazionale particolarmente qualificato, da un’offerta merceologica di altissimo livello e dall’approfondimento di temi di attualità quali la ricostruzione post-terremoto, la rigenerazione urbana e la digitalizzazione del costruire. Come sottolinea Roberto Snaidero, presidente Made Eventi: «Il successo di quest’anno conferma il grande lavoro svolto dalla struttura di Made  expo che, pur in un contesto economico ancora non particolarmente brillante, ha saputo proporre soluzioni e idee innovative a favore di tutte le aziende che hanno creduto nella manifestazione. Vincente anche il supporto di Agenzia Ice e del suo presidente Michele Scannavini, che ha ulteriormente rafforzato la componente internazionale di una fiera diventata in sole otto edizioni un punto di riferimento sia per gli operatori stranieri interessati al mercato italiano sia per le realtà nazionali desiderose di aprirsi ai nuovi mercati».

Made expo ha da sempre nel suo Dna una forte spinta alla circolarità dei saperi e investe in incontri, mostre e convegni, creando un contesto culturale e internazionale di altissimo livello con appuntamenti di approfondimento, dimostrazioni live e talk show che animano la manifestazione favorendo networking, grazie alla partecipazione di opinion leader, e affrontando temi di attualità e tecnico scientifici nonché le normative più attuali. Il 2017 riconferma gli eventi di successo e si arricchisce di nuove opportunità e occasioni di incontro. La fiera conferma il suo ruolo di osservatorio privilegiato sul panorama dell’architettura e dell’edilizia, alimentando il connubio tra domanda e offerta, progettazione e produzione. Il tutto all’insegna dei temi caldi: costruire, recuperare e ristrutturare in modo sostenibile, efficiente e sicuro, resistenza antisismica, riqualificazione e rigenerazione delle periferie, ma anche evoluzione tecnologica e nuovi modi di progettare e costruire, Building Infomation Modeling in primis. Infatti, nei prossimi anni cittadini, amministrazioni e progettisti saranno coinvolti in una grande sfida: realizzare piani di rigenerazione urbana che puntino ad arrestare il consumo di suolo e a trasformare zone già urbanizzate. A partire dalle periferie. Già, perché riqualificare il capitale sociale (e immobiliare) delle periferie è una necessità che urge, oltre che punto di partenza per ricostruire la città.

Made Expo 2017, il taglio del nastro. Mauro Parolini, Roberto Maroni, Roberto Snaidero, Emanuele Orsini e Graziano Delrio
Made Expo 2017, il taglio del nastro. Mauro Parolini, Roberto Maroni, Roberto Snaidero, Emanuele Orsini e Graziano Delrio

Le parole e i voti delle imprese protagoniste

Insomma, un successo. Che non era comunque non scontato. Ma la migliore testimonianza è quella delle aziende stesse che rappresentano il vero motore di Made expo sin dalla sua prima edizione, come ha sottolineato Luca Ferrari, direttore generale Harpaceas: «Da tradizione abbiamo partecipato a Made expo, ma quest’anno posso dire che è stata una scelta più che opportuna grazie al livello qualitativo particolarmente elevato dell’offerta merceologica e dei visitatori. La grande attenzione al BIM e alle innovazioni tecnologiche per il mondo delle costruzioni hanno confermato Made expo come un appuntamento di grande importanza per la nostra azienda».

Soddisfazione espressa anche da Davide Desiderio, communication manager San Marco-Terreal Italia: «Siamo soddisfatti della partecipazione. Mancando a Made expo da alcune edizioni siamo tornati con grandi aspettative che sono state pienamente confermate. Ci siamo presentati con un nuovo prodotto perché secondo la nostra filosofia le fiere hanno valore quando propongono novità. Made expo è stata la vetrina giusta per veicolare e valorizzare tale novità in un contesto pressoché perfetto grazie ai servizi e alla capacità dell’organizzazione di attrarre le figure giuste del mondo del progetto, delle costruzioni e delle rivendite».

 Concetto confermato anche da Sergio Ponzio, titolare di Ponzio Aluminium: «Sin dalle prime battute Made expo ha visto un’ottima affluenza e la presenza di un pubblico di grande qualità. Siamo molto soddisfatti di avere partecipato alla manifestazione».

«È stato prima di tutto un evento che ha promosso un confronto non solo con i clienti, ma anche con il mondo dell’architettura italiana ed estera; sicuramente un’ottima vetrina per il lancio del rebranding di FerreroLegno e della volontà aziendale a essere aperti a nuove frontiere, ai cambiamenti che il mercato richiede, alle nuove sfide e traguardi da raggiungere. Sfide che anche MADE expo sarà in grado di affrontare nel prossimo futuro», questo il commento di Ilaria Ferrero, managing director di Ferrerolegno.

Stefano Montolli, corporate marketing director di Marcegaglia: «Siamo pienamente soddisfatti della partecipazione a questa edizione di MADE expo. Abbiamo ottenuto numerosi riscontri positivi da parte degli architetti, progettisti, e ingegneri. Ci stiamo impegnando affinché l’acciaio sia sempre più protagonista nel mondo delle costruzioni. Questo è il senso della nostra adesione a MADE expo, che si è tradotta anche nella presenza in qualità di Gold partner ad Archmarathon e nelle attività di BuildSmart».

Made expo 2017
Made expo 2017

 

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Bergamo uguale lavoro. Più contratti oggi che nel 2007

Bergamo

C’è lavoro alle pendici delle vette orobiche. Secondo un approfondimento condotto dalla Cisl di Bergamo sui dati Istat, ci sono più contratti di lavoro in essere oggi rispetto al 2007, quando il tasso di occupazione diceva 64,6%. La sorpresa è che dice 64 e spiccioli percentuali anche oggi: 64,4%. Numeri di cui gioire, finalmente. Ed è anche in discesa la disoccupazione giovanile: il 2016 si è chiuso con il 25%, rispetto al 30% del 2015. Nello specifico, nel 2007 lavoravano 460 mila bergamaschi (286 mila maschi e 175 mila femmine): bene, a fine 2016, la forza lavoro in terra bergamasca era composta da 470 mila unità; in leggero calo gli uomini (280 mila), in netta crescita il gentil sesso (190 mila).

La provincia di Bergamo, poi, si evidenzia in positivo anche rispetto al quadro nazione. In Italia, secondo le rilevazioni Istat, il tasso di occupazione a fine 2016 ha raggiunto quota 57,4% (+0,1 punti percentuali rispetto al 2015) pari a 22 milioni 827 mila persone al lavoro, in aumento rispetto al dato precedente (+0,1%, 32 mila). «Presto per dire se davvero possiamo dirci completamente fuori dalla crisi – sottolinea Giacomo Meloni, segretario della Cisl di Bergamo – quello che è certo è che abbiamo recuperato, in termini assoluti, perlomeno i numeri persi in questi anni».

Bergamo
Bergamo
 

Le modifiche di Finco al Codice degli appalti

Carla Tomasi, Presidente Finco
Carla Tomasi, presidente di Finco

Finco, federazione di aziende che operano nel settore dell’edilizia, chiede due modifiche alle modifiche (non è un gioco di parole) del Codice degli appalti. Il ministero alle infrastrutture, in effetti, ha chiesto agli operatori, imprese e sindacati, un giudizio sull’aggiornamento della legge che compie ora un anno. Finco ne suggerisce alcune, eccole. 

Art. 53, comma 1, lettera c) numero 2)

Aggiungere alla fine dell’espressione “qualificazione ai fini dell’ottenimento dell’attestazione di qualificazione degli esecutori di cui all’articolo 84” la frase “ e per la successiva esecuzione dei lavori e delle opere”

La motivazione di Finco.

L’art 53, comma 1, lettera c), numero 2) dell’A.C. 397 interviene sull’art. 89, comma 11 del Codice dei Contratti Pubblici relativo alle lavorazioni c.d. superspecialistiche ed in esso viene specificato che i requisiti che devono essere posseduti per queste lavorazioni devono essere dimostrati per la fase di qualificazione e non anche per quella di esecuzione che è certamente critica quanto, se non più, della fase di qualifica tanto è vero che, da sempre, i requisiti per essere qualificati quali superspecialisti sono stati chiesti per eseguire un lavoro prima ancora che per ottenere una attestazione Soa (art. 13, c. 7 della L 109/94; art. 37, c. 11 del DLgs 163/06; art. 89, c. 11 dell’attuale Codice).

E’ fondamentale, quindi, chiarire che i particolari requisiti che vengono richiesti alle attività c.d. “superspecialistiche” non sono funzionali alla sola qualificazione ma anche alla successiva esecuzione delle attività appaltate dal momento che il nuovo Codice non riprende letteralmente l’art. 40 del D Lgs 163/06 che prevedeva esplicitamente che “I soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati ……”.

Si potrebbe, infatti, correre il rischio, non remoto, che i requisiti di specializzazione delle c.d. SIOS vengano richiesti per la sola fase di qualificazione e non anche per quella di esecuzione con ciò stesso vanificando la ragione stessa del loro esistere: la presenza di “notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica”. 

Carla Tomasi, Presidente Finco
Carla Tomasi, Presidente Finco

La seconda modifica riguarda, invece, l’Articolo 66, comma 1, lettera b) numero 2)

Al terzo periodo l’espressione “dei lavori per la categoria prevalente, per i lavori. Per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all’importo complessivo del contratto” è sostituito dal seguente “ complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”

Il motivo 

L’art. Art. 66, comma 1, lettera b) numero 2) interviene sull’art 105, comma 2 terzo periodo del Codice dei Contratti, proponendo di limitare il subappalto al solo 30% della categoria prevalente lasciando, in sostanza, libero il subappalto delle categorie scorporabili non superspecialistiche (ed i pericoli legati al “subappalto libero” non hanno bisogno di ulteriori commenti) 

E’ assolutamente necessario, invece,  mantenere l’attuale formulazione del terzo periodo del comma 2 dell’art 105, confermando il riferimento all’intero appalto quale base sulla quale calcolare la percentuale massima di subappalto per lavori, servizi e forniture.

Il subappalto se non “limitato” nella sua applicazione continuerà a rappresentare uno degli anelli più deboli della catena degli appalti, legato com’è, non necessariamente ma assai frequentemente, ad incompetenza, approssimazione, lavoro irregolare oltre a costituire veicolo privilegiato per infiltrazioni malavitose. La vigente previsione della limitazione del 30% del subappalto all’interno dell’ammontare dell’appalto rappresenta appena un accettabile “compromesso” tra la libertà di organizzazione dei fattori  della produzione, rivendicata dalle imprese appaltatrici, e la necessità della stazione appaltante di avere consapevolezza degli operatori economici realmente presenti in cantiere e delle loro capacità operative.

Del resto, quello del subappalto è istituto che, a fronte della grande varietà di soluzioni tecnico-organizzative oggi possibili (dal raggruppamento temporaneo orizzontale e verticale, alle reti di impresa, ai consorzi delle più svariate tipologie, all’avvalimento) dovrebbe, al pari del citato avvalimento, essere superato perché rappresenta una modalità di esecuzione dell’appalto “insana” e non sempre tecnicamente valida.

I riferimenti ad un quadro europeo di piena libertà nel subappalto (tre 

sentenze negli ultimi 20 anni di cui una sola significativa) sono delle forzature che non tengono conto del “rischio Paese” (che ha dovuto sostituire una AVCP con una ANAC) e sono, in ogni caso, pronunce che ritengono sempre ammissibile la limitazione del subappalto quando la Stazione Appaltante non ha potuto controllare a monte i subappaltatori (cioè sempre).

Sempre all’articolo. 66, comma 1, lettera g) Finco chiede di sopprimere tutta la lettera.

Motivo

L’art. Art. 66, comma 1, lettera g) apporta modifiche all’art 105, comma 22 del Codice dei Contratti proponendo di reintrodurre la possibilità per le  imprese appaltatrici di qualificarsi attraverso i lavori subappaltati .

Dopo che l’art. 85 del DPR 207/10 è stato cassato nel nuovo Codice, si prova a reintrodurre questo deprecabile modo di ottenere qualificazioni senza aver realmente svolto un lavoro, cosa resa ancor più grave dall’allargamento delle maglie del “subappalto libero” di cui all’art. 105, comma 2 terzo periodo.

Tutto il nuovo impianto del Codice degli Appalti si basa sulla qualificazione e reale capacità degli esecutori come previsto dalla Direttiva 2014/24/UE, tra l’altro, all’art. 58 paragrafo 4 <<…. Per quanto riguarda le capacità tecniche e professionali, le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità. Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere, in particolare, che gli operatori economici dispongano di un livello sufficiente di esperienza comprovato da opportune referenze relative a contratti eseguiti in precedenza..….>>) e ripreso dall’art. 83, comma 8 del Codice Appalti <<Le stazioni appaltanti ….effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali …..nonché delle attività effettivamente eseguite>>.

Data la gravità della previsione di modifica all’art. 105, comma 22 del Codice appalti la modica proposta andrebbe completamente eliminata.

L’ultima proposta riguarda invece L’articolo 97, comma 1, lettera a) 

E’ soppressa la frase “a meno che non siano eseguiti direttamente o non riguardino la manutenzione ordinaria”

L’art. 97, comma 1, lettera a) incide sull’art 177, comma 1 del Codice dei Contratti  introducendo  la possibilità di mantenere in house le manutenzioni ordinarie (che rappresentano pressocché il 100% dell’attività dei concessioni autostradali negli ultimi anni) ed i lavori eseguiti direttamente dai concessionari; un chiaro modo di aggirare i limiti imposti, giustamente, dal Codice alle attività senza gara. 

La previsione andrebbe, quindi, cassata.

Non si tratta di voler limitare l’attività dei concessionari, quanto piuttosto, a fronte della spendita di pubblico denaro, di tutelare la concorrenza lasciando al mercato (che pure ha i suoi livelli occupazionali ed ha fatto i suoi investimenti in formazione e tecnologie) la possibilità di dare risposte tecniche ed organizzative adeguate ad attività che non sono proprie del concessionario ma strumentali alla sua attività principale.

Dal terremoto alla ricostruzione: L’Aquila rinasce 2.0

Benvenuto, Quartiere 2.0. Si tratta di un concorso di idee nato con la volontà di rilanciare lo storico Quartiere Banca d’Italia de L’Aquila, duramente colpito dal sisma del 2009. Il concorso avviato dalla Sidief – società immobiliare che dal 2014 è proprietaria e gestisce in locazione le unità immobiliari del Quartiere Banca d’Italia – è attuato in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Aquila e con il patrocinio della Banca d’Italia ed è rivolto a tutti gli studenti dell’Ateneo aquilano e a quelli del Gran Sasso Science Institute (GSSI), iscritti all’anno accademico in corso.

L’evento è stato anche l’occasione per dettagliare le azioni che saranno messe in campo da Sidief per rivitalizzare lo storico Quartiere, un complesso residenziale edificato dalla Banca d’Italia negli anni Quaranta, che si estende su una superficie di circa 28mila mq nella zona ovest della città, a ridosso del centro storico. Fra i principali interventi, la dismissione di due palazzine in via Giovanni XXIII, colpite gravemente dal sisma e totalmente da ristrutturare, i cui proventi contribuiranno agli investimenti diretti della Società per finanziare le altre iniziative di riqualificazione. Inoltre, la riqualificazione degli immobili locati, interventi di efficientamento energetico (ad esempio centrali termiche di ultima generazione), interventi sugli spazi comuni, riqualificazione delle strade.

aquila

“La Sidief crede fortemente in questo progetto di valorizzazione – ha commentato il Presidente di Sidief Mario Breglia – sia per la valenza storica e sociale dell’intervento, sia perché si rivolge al mondo dei giovani e delle giovani famiglie, che vorremmo far tornare a vivere in questo importante Quartiere dell’Aquila”. “Abbiamo deciso di avviare il concorso di idee coinvolgendo tutte le Facoltà – aggiunge il Direttore Generale Carola Giuseppetti – con l’obiettivo di un risultato interdisciplinare, finalizzato alla gestione dell’intero Quartiere. Speriamo quindi che emergano progetti interessanti, non solo tecnici, ma anche dedicati ai servizi per il Quartiere”.

Le idee progettuali dovranno avere carattere innovativo e potranno spaziare da proposte per una nuova immagine del quartiere basata su tecnologie smart ed ecocompatibili, all’individuazione di nuove funzioni, pubbliche e private, capaci di attrarre nuove famiglie e giovani studenti e lavoratori; dalle proposte per la gestione del consorzio e dei servizi per gli inquilini (per esempio in riferimento alle residenze per i giovani), anche studiando sistemi informativi, utilizzo di social e app dedicati, alle proposte per la logistica del quartiere (viabilità, aree esterne, altro). Il bando del concorso sarà pubblicato domani, 14 marzo, sul sito internet dell’Università degli Studi dell’Aquila. I tre progetti vincitori saranno identificati entro settembre 2017. La giuria sarà composta da rappresentanti dell’Università, della Sidief e della Banca d’Italia. Il miglior progetto sarà sostenuto con una borsa di studio del valore di cinquemila euro. Inoltre Sidief offrirà al vincitore una casa nel Quartiere, in comodato d’uso gratuito per un anno. Il secondo e il terzo premio saranno rispettivamente di 3mila e 2mila euro.

Nasce la soluzione di travel intelligence per chi cerca il lusso

Contactlab, piattaforma di engagement marketing in rapida ascesa per i brand di lifestyle, e Amadeus Italia, sede italiana del fornitore di soluzioni tecnologiche all’avanguardia per l’industria dei viaggi leader  nel mondo, hanno annunciato un accordo  per creare una soluzione di intelligence chiamata Travel Intelligence Luxury Lab per il mondo del lusso. Si tratta di una collaborazione unica nel suo genere che consentirà ai brand leader del mercato di capire meglio l’influenza che gli spostamenti dei singoli possono avere sulle vendite e di scovare tra i dati le correlazioni più inaspettate. Contactlab vanta una lunga esperienza nello studio dello shopping oltreconfine, che ha portato alla stesura di alcune relazioni come quella dal titolo Who buys where: decrypting cross-border luxury demand flows redatta in collaborazione con Exane Bnp Paribas. I turisti che acquistano beni di lusso all’estero rappresentano, infatti, indicativamente il 30% dell’indotto mondiale del settore.

Contactlab usufruirà delle informazioni sul comportamento degli utenti in materia di prenotazione dei voli per fornire ai propri clienti del mondo della moda e del lusso preziosi spunti per individuare i modelli di acquisto che i loro consumatori seguono oltreconfine, gettando così le basi per la creazione di una strategia per coinvolgere i clienti digitali in modo dinamico e personalizzato. Durante un esperimento congiunto, i data scientist di Contactlab, con la collaborazione di Amadeus Italia, hanno scoperto che esiste un’interessante correlazione tra la crescita del fatturato dei negozi del lusso di Milano durante determinati periodi dell’anno e l’afflusso di viaggiatori amanti del luxury. Ad esempio, durante il periodo invernale è aumentato il numero dei turisti provenienti dalla Cina ed è stato registrato un incremento delle vendite dei brand della moda e del lusso nel medesimo periodo; in generale la Cina manifesta una correlazione tra i flussi turistici e le vendite sopra la media. Al contrario i turisti russi tendono a fare acquisti durante il periodo estivo e all’inizio della stagione autunnale, mentre l’arrivo di viaggiatori provenienti dagli Emirati Arabi Uniti e dal Golfo avviene solitamente a trimestri alterni.

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Ancora più significativo è, però, il fatto che l’accesso ai dati delle prenotazioni offre alle aziende del lusso la possibilità di prepararsi all’arrivo di questa clientela che si recherà nei loro punti vendita e di pianificare in anticipo le proprie mosse senza farsi cogliere impreparati. Grazie a questa collaborazione i retailer possono, da un lato, accedere a un’ingente quantità di dati sugli spostamenti delle persone, in quanto le soluzioni di Travel Intelligence proposte da Amadeus coprono la maggior parte del traffico aereo internazionale, e, dall’altro, sfruttare l’esperienza di Contactlab nel mercato della moda e del lusso; il vantaggio competitivo derivante da questo connubio è proprio la capacità di comprendere al meglio i clienti che viaggiano spesso.

“La collaborazione tra Amadeus e Contactlab testimonia la spinta che la business intelligence è in grado di dare alle strategie di marketing, soprattutto nella ricerca di correlazioni tra dati eterogenei e apparentemente distanti tra loro come lo storico dei voli e la spesa oltreconfine dei viaggiatori stranieri – dichiara Massimo Fubini, CEO e Founder di Contactlab. Attraverso la Marketing Data Science Cloud di Contactlab i dati di contesto, di transato e i risultati delle campagne di digital direct marketing restituiscono se sapientemente incrociati preziosi insight sui quali costruire le proprie azioni di customer engagement e di marketing digitale. Amadeus si avvale e si avvarrà della collaborazione del nostro team di data scientist per estrarre da questo “data lake” dati in grado di generare azioni di marketing”.

Francesca Benati, Amministratore Delegato e Direttore Generale Amadeus Italia ha dichiarato ”Le informazioni derivanti da più di 3,3 miliardi di prenotazioni aeree effettuate a livello internazionale ci consentono di offrire ai retailer del lusso alcuni vantaggi che saranno preziosissimi in fase di definizione delle strategie commerciali e di marketing. Grazie ai nostri sistemi i dati vengono resi disponibili in modo da consentire ai retailer di targettizzare sia i clienti effettivi sia quelli potenziali e di raggiungerli con messaggi personalizzati basati, tra l’altro, sul loro paese d’origine, sulla classe in cui solitamente viaggiano e sulla durata del loro soggiorno”.

Sebastiano Cerullo nuovo direttore generale di FederlegnoArredo

Sebastiano Cerullo
Sebastiano Cerullo
Sebastiano Cerullo
Sebastiano Cerullo

, diventa direttore generale di FederlegnoArredo, sostituendo Giovanni De Ponti. Cerullo, classe 1970 originario di Avigliana (Torino), laureato in Scienze Forestali presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, ha maturato una profonda esperienza del settore: tra i vari incarichi ha ricoperto dal 2002 la carica di Segretario Generale del Consorzio Servizi Legno-Sughero; dal 2011 è coordinatore di tutte le attività dell’Area Legno della Federazione, comparto che ha avuto i più alti tassi di crescita associativa di tutta la Federazione, fino ad assumere la carica di vice direttore generale nel 2015. E’ autore di numerose pubblicazioni tecniche relative al legno e all’ambiente, che sono oggi un riferimento per la filiera e il settore, grazie alle capacità di relazioni e networking che ha saputo creare e sviluppare con gli stakeholder di riferimento.

«Sarà nostro compito continuare ad essere al servizio delle imprese dando nuovo corso alle direzioni indicate dalla neo presidenza», afferma Sebastiano Cerullo, direttore generale FederlegnoArredo. «Essere sul territorio per le imprese e con le imprese sarà uno degli obiettivi prioritari di FederlegnoArredo, grazie al contributo fattivo che le 2.800 aziende associate daranno con una politica di ascolto e condivisione». Uno dei compiti fondamentali che vedranno impegnato da subito il nuovo direttore generale sarà lo sviluppo dell’operatività della vita associativa che si esplicherà in un ascolto e una presenza puntuale sul territorio per dare risposte concrete alle aziende, oltre all’impegno per innovare e ampliare lo sviluppo nazionale e internazionale.

«Siamo grati a Giovanni De Ponti per aver creato solide basi per il nostro business e aver contribuito alla crescita della Federazione che rappresenta oggi uno dei settori cruciali per l’economia del Paese. Ci consegna una Federazione più moderna che ha saputo innovarsi per rispondere al mercato in cambiamento, grazie a forti relazioni costruite in ambito istituzionale e un comparto con un rinnovato dialogo con le nuove generazioni. A Giovanni De Ponti auguriamo il meglio per i suoi incarichi futuri», commenta Emanuele Orsini, Presidente di FederlegnoArredo. «Proseguiamo così il nostro percorso di rafforzamento e di sviluppo con le tre parole chiave ascolto, dialogo e territorio, per rispondere alla crescita delle nostre imprese: la consolidata esperienza di Sebastiano Cerullo maturata in questi anni nel suo percorso professionale in Federazione contribuirà ad arricchire il nuovo corso».

Indovina chi cerca casa? Il 67% è donna

Piantina di una casa

Da Indovina chi viene a cena? (film degli anni Sessanta) a indovina chi cerca casa? Già, perché la ricerca del nido domestico è sempre un momento molto importante, che prevede un dispendio di tempo ed energie rilevante, soprattutto nella fase di screening iniziale, che avviene generalmente attraverso la ricerca sui portali e motori di ricerca immobiliari online. Come Mitula, che ha analizzato i propri dati per capire qual è il profilo della persona che effettua la ricerca di una nuova abitazione in affitto o per acquistarla. I Paesi protagonisti dello studio sono Italia, Francia, Inghilterra, Svizzera, Spagna e Portogallo.

Donne millennials protagoniste

In Italia, il 67% di chi effettua le ricerche è donna e nel 57,7% dei casi analizza gli annunci immobiliari attraverso il cellulare (57% percentuale più alta fra gli stati analizzati). Anche in Francia sono le donne a scegliere l’appartamento (68,5%) e per il 26% dei casi con un’età compresa tra 25-35 anni. Stessa tendenza per il Portogallo: sono le donne a scegliere (70%), tipicamente nella fascia d’età che va dai 25 ai 35 anni (37%) e nel 34% dei casi lo fanno attraverso il proprio cellulare. È la fascia di età dei cosiddetti millennials che registra la percentuale più alta di ricerche attive ad eccezione della Spagna, dove la percentuale maggiore di chi seleziona gli annunci immobiliari riguarda la fascia di età compresa tra i 35 e i 44 anni.

Tecnologia

Lo smartphone è lo strumento maggiormente usato (per fare le ricerche) in tutte le nazioni prese in considerazione, dopo l’Italia ci sono la Spagna e il Regno Unito (56%), seguiti da Portogallo (52%) e Francia (37%), prima invece per consultazioni attraverso PC (50%). I francesi e gli inglesi sono gli europei che effettuano il maggior numero di ricerche attraverso il Tablet (12%), anche se sono gli svizzeri a detenere il primato assoluto: 14%. Gli elvetici sono anche i più attivi nella ricerca di una nuova casa dopo la soglia 65 anni (quasi l’8%). “È interessante il dato secondo cui in tutte le nazioni prese in esame oltre il 10% di persone che ricerca casa appartiene alla fascia di età più adulta dei 55-64 anni, età in cui generalmente ci si avvicina alla pensione, addirittura in Svizzera l’8% è over 65. Questo è il segno che probabilmente non è mai troppo tardi per fare nuovi progetti, cercare di migliorare la propria condizione o semplicemente cercare una seconda dove passare le vacanze” dichiara Anna Westermann, responsabile dello studio Mitula.

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Che cosa fare a nowhere land

Capannone in una delle aree exFalck

Urbanistica e riqualificazione

È inevitabile. Quando un ciclo produttivo finisce, quando un settore economico entra in crisi o quando si realizzano investimenti non coerenti con le effettive necessità aziendali, si creano le condizioni per un abbandono e disuso degli edifici strumentali e delle aree che li contengono. L’edilizia, vista dal punto di vista non residenziale, è un insieme di prodotti che chiamiamo opifici, capannoni, magazzini e che fin che servono sono utilizzati strumentalmente. Ma che quando non servono più altrettanto strumentalmente sono abbandonati. Ma se un’automobile non più adatta la rottamiamo e la avviamo a un processo di smontaggio, che ne recupera quasi tutte le parti e le ricicla, nel caso dei capannoni industriali e artigianali e degli edifici strumentali alla produzione non procediamo allo stesso modo. La rottamazione non è automatica. Eppure sono prodotti esattamente come gli altri, solo che hanno la caratteristica di essere immobili e di occupare suolo, di consumarlo senza alcuno scopo, essendo edifici dismessi. Il punto è che se nel mercato residenziale i prodotti edilizi (gli alloggi) trovano prima o poi una collocazione, dato che la domanda in ogni caso è presente e solo in rari casi si procede con demolizioni, che spesso riguardano stabili non adeguati dal punto di vista strutturale o impiantistico ed energetico, nel caso dei capannoni e delle aree dismesse le modalità produttive della nuova economia spesso non consentono di intervenire con sostituzioni e subentri, se non in rari casi e in condizioni tali che le destinazioni d’uso devono essere modificate, anche radicalmente. Ma la dimensione di molti di questi spazi rende spesso antieconomico intervenire, se non attraverso modalità innovative, come l’uso temporaneo degli spazi.

Terra di nessuno

Il tema delle aree dismesse vive da molti anni un dibattito rilevante per la dimensione del fenomeno, che tuttavia è poco analizzato e conosciuto. Tra il 2000 e il 2004 un progetto europeo ha censito in alcuni Paesi comunitari la dimensione del fenomeno, che conta 128 mila ettari in Germania (0,3% della superficie nazionale), 5 mila in Svezia (0,01%), 10 mila in Olanda (0,2%), 20 mila in Francia (0,04%) e 30 mila in Repubblica Ceca (0,4%). La superficie delle aree aumenta esponenzialmente in Romania, 900 mila ettari (3,8%), e in Polonia, 800 mila (2,5%). Nel Regno Unito il dato è disponibile solo per Inghilterra e Scozia, in cui l’estensione è rispettivamente di 66 mila (0,5%) e 11 mila ettari (0,1%). L’Italia non dispone di una mappatura completa e affidabile delle aree dismesse. Da un tentativo di proiezione nazionale su dati Corine Land Cover, la superficie dismessa italiana risulta pari a 13 mila ettari, lo 0,04% della superficie complessiva del nostro Paese. Le Regioni italiane non sono obbligate a raccogliere informazioni sul numero, l’estensione e la collocazione delle aree dismesse e la Lombardia è stata finora l’unica ad adoperarsi in tal senso: tra il 2008 e il 2010, in collaborazione con le Province e Assimpredil‐Ance, ha svolto un censimento delle aree dismesse in tutti i Comuni.

capannoni

Lombardia solitaria

Il censimento delle aree dismesse (consultabile sul sito della Regione e comprensivo di schede territoriali di dettaglio), conta complessivamente in provincia di Bergamo 58 aree dismesse, in provincia di Brescia 93 aree, a Como 93, a Cremona 40, a Lecco 34, a Lodi 21, a Mantova 28, a Milano 139, a Monza e Brianza 40, a Pavia 76, a Sondrio 37, a Varese 86 per un totale di 745 aree su circa 2.300 ettari di territorio, pari allo 0,1% della superficie regionale. Un dato non certo trascurabile, ben raccontato dallo stillicidio di numeri e di schede, documentatissime, che censiscono nel dettaglio dimensioni e caratteristiche dei siti, compresa la presenza di bonifiche necessarie che dovrebbero essere realizzate da chi ha inquinato (secondo le norme) ma che in realtà non realizza nessuno. L’economia circolare tanto promossa da un anno e mezzo a livello europeo funziona e può funzionare molto bene per i prodotti di consumo, ma per gli edifici dismessi e le aree produttive dismesse le norme e le proposte non bastano. Bisogna pensare ad altri sistemi e altre modalità innovative per affrontare il problema. Che è rilevante perché, come recita il sito della Regione Lombardia, «le aree industriali dismesse rappresentano un potenziale danno territoriale, sociale ed economico e possono costituire un pericolo per la salute, per la sicurezza urbana e sociale e per il contesto ambientale e urbanistico». Analizzare alcuni esempi può far capire la dimensione del problema. A Saronno (Varese) secondo il Pgt ci sono circa 430 mila metri quadrati di aree dismesse, pari al 4% della superficie comunale, un valore 40 volte superiore alla media regionale e nazionale. Un valore che riguarda, tra gli altri, aree industriali di grande dimensione, come gli ex stabilimenti della Isotta Fraschini (che finì la produzione nel 1949), della Cemsa (sigla di Costruzioni Elettro Meccaniche di Saronno, azienda italiana di costruzioni elettromeccaniche e di locomotive a vapore ed elettriche, in funzione dal 1925 al 1948) o della De Angeli Frua (azienda tessile nata nel 1896 che ha chiuso l’attività nel 1968). Grandi aree, grandi problemi. Nonostante lo sviluppo di azioni di partecipazione attiva dei cittadini (a Saronno è ben nota la vicenda del Forum Isotta, un pioniere gruppo di lavoro sul possibile riutilizzo di queste aree) a distanza di molti anni risulta difficile intervenire. Ma proprio l’esempio di alcune buone pratiche che in Lombardia hanno trovato collocazione grazie alla sensibilità delle amministrazioni comunali e all’Osservatorio regionale può dare alcuni spunti. Pratiche che il Consiglio regionale ha inserite nei suoi compendi formativi.

Uso e riuso

Al di là dei riusi previsti per nuovi insediamenti produttivi, molto interessanti sono le azioni di riattivazione messe in campo per esempio a Milano con la proposta, sancita da un protocollo d’intesa tra l’Associazione Temporiuso, il Comune di Milano e il Diap‐Politecnico di Milano, che dopo la mappatura degli edifici abbandonati, effettuata tra aprile e giugno 2012, ha avviato una comunicazione e interazione pubblica con i proprietari, le associazioni culturali, cittadini ed esperti internazionali che ha portato alla realizzazione di bandi per il riuso temporaneo, una buona pratica diventata ottimo esempio a livello nazionale. In provincia di Bergamo una buona pratica è stata il concorso Riusi industriali per la riconversione di tre insediamenti industriali dismessi. Un ottimo esempio, sempre in provincia di Bergamo, è la riconversione per usi temporanei e culturali delle ex cartiere Pigna ad Alzano Lombardo, dove è attivo oggi Spazio Fase, una realtà vivace e attiva su molti fronti sia di carattere culturale che commerciale e fieristico, così come Temporary Pasubio, un progetto di riuso temporaneo di un ambito particolarmente critico di Parma chiamato Comparto Pasubio, che ha al proprio interno un interessante complesso industriale oggi in totale stato di abbandono. Un progetto nato nel 2014 per volontà dell’Ordine degli Architetti di Parma che, insieme al Comune e alla Fondazione Architetti, ha promosso inizialmente un workshop di progettazione partecipata che oggi è diventato un progetto a tutti gli effetti. O come la recente esperienza molto positiva del Progetto Switch di Imperia, anche in quel caso promosso dall’Ordine degli Architetti (del quale abbiamo già parlato su queste pagine nel numero di novembre 2016). Ma sono ancora troppo pochi gli esempi e troppo poche le buone pratiche. Serve una maggiore capacità di incidere sulle condizioni in grado di promuovere vere azioni diffuse sul territorio e serve soprattutto conoscenza. Colpisce, per esempio, che solo la Lombardia abbia prodotto un censimento delle aree dismesse. Una buona pratica non seguita dalle altre regioni. Se c’è qualcosa da dismettere è questa inattività conoscitiva e sulle aree dismesse sarebbe necessario che tutte le Regioni italiane seguissero l’esempio della Lombardia. Sarebbe un bel passo avanti nella conoscenza e risoluzione di questo problema.

(Carlo Lorenzini)

Trovare l’Oceano Blu con YouTrade Academy

Oceano Blu

Il programma di YouTrade Academy

Il mercato è come un mare. E i pescatori sono le aziende. Parte da questa metafora il secondo appuntamento di YouTrade Academy, l’evento organizzato da Virginia Gambino Editore per il 22 marzo negli spazi di iLab a Bergamo. Se l’edilizia si è in gran parte convertita alla riqualificazione degli immobili esistenti, se le nuove tecnologie aprono nuovi orizzonti, ma ne chiudono altri, se i rivenditori di materiali si devono reinventare per riuscire ad afferrare le richieste del mercato, allora è più che mai necessario individuare le nicchie di mercato vantaggiose. Magari quelle che non ti aspetti. Ma non è semplice navigare nell’Oceano Blu della domanda e dell’offerta, pieno di opportunità, e allo stesso tempo di insidie.

All’appuntamento di YouTrade Academy, l’esploratore alla scoperta di nuovi orizzonti sarà Alberto Bubbio, senior professor alla Liuc ed esperto di management. Ma, naturalmente, le indicazioni sulla rotta da seguire vanno calate nella realtà economica del momento e per questo occorre capire bene a che punto siamo. Il punto sul primo trimestre dell’anno e sui trend dei prossimi sarà compito del coordinatore del Centro Studi YouTrade, Federico Della Puppa, che coglierà l’occasione anche per aggiornare i dati del settore relativi agli ultimi tre mesi del 2016. Non solo: fedele alla impostazione di appuntamento utile, capace di suggerimenti pratici oltre che teorici, l’evento comprende anche uno spazio alle strategie dedicate alla comunicazione verso i clienti, un’attività essenziale per finalizzare la vendita di prodotti o servizi. L’argomento è affidato all’esperto di marketing, Enzo Volpi. L’appuntamento è, come sempre, aperto alle eventuali domande del pubblico.

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Sopraelevazione: quando il rialzo diventa un affare

Speciale sopraelevazione

Nel secondo Dopoguerra l’economia nazionale ha puntato moltissimo sul settore delle costruzioni come elemento chiave e trainante delle politiche di sviluppo a livello locale e nazionale. Fin dal cosiddetto piano Fanfani, cioè il piano Ina-Casa, poi trasformato nell’istituzione dei fondi Gescal nel 1963, la storia urbanistica italiana recente è una storia legata indissolubilmente alla ricostruzione post bellica e alla crescita dovuta al boom economico, dove nel tempo una serie di norme e piani regolatori hanno incentivato l’espansione delle città e delle aree edificate, con la conseguenza che il consumo di suolo è diventato un problema urgente. Un problema talmente rilevante che, sia a livello nazionale, sia a livello regionale, si stanno cercando chiavi interpretative e si stanno pianificando norme specifiche al fine di mettere un freno e bloccare l’espansione edificatoria. Questa necessità, non solo legata a fattori di carattere ambientale ma anche a un generale cambiamento del sistema economico e sociale dovuto alla lunga crisi, con la riduzione della domanda e l’esigenza di contenere il dissesto idrogeologico che colpisce il nostro Paese con feroce puntualità a ogni stagione, pone tutti di fronte alla necessità di individuare modalità alternative per intervenire sul tessuto urbano, rinnovandolo in toto o in parte.

Allungare e migliorare

 Costruire sul costruito è una di queste possibilità, assieme alla demolizione selettiva e alla riqualificazione strutturale ed energetica, tutti campi di intervento nei quali si lavora sull’esistente, riqualificandolo in modo totale, demolendo e ricostruendo senza consumare suolo, oppure aumentando i volumi esistenti, con sopraelevazioni che rappresentano teoricamente un carico urbanistico maggiore ma che in molti casi sono un buon escamotage per conciliare aumento della potenzialità insediativa di una città e risparmio di suolo. È di tutta evidenza che nel caso di case monofamiliari l’elevazione di un piano riguarda esclusivamente il proprietario, che deve attenersi alle norme urbanistiche vigenti. In alcune regioni il Piano casa permette deroghe utili ad aumentare il volume anche in assenza di strumenti pianificatori comunali. Nel caso di edifici a più alloggi valgono le norme contenute nel Codice Civile, in particolare all’articolo 1127, che definisce la sopraelevazione come la realizzazione di nuove strutture fabbricate o di nuovi piani al di sopra dell’ultimo piano di un edificio o del lastrico solare, ossia la superficie piana posta alla parte superiore dell’edificio condominiale e che svolge essenzialmente la funzione di copertura. Per poter considerare l’intervento oggetto di sopraelevazione non è necessaria la costruzione integrale di un piano ma è sufficiente un incremento di volumetria. Ben diversa è invece la normativa sul recupero dei sottotetti, per la quale ogni Regione ha una propria legislazione specifica, che tuttavia riguarda il recupero abitativo e d’uso dei sottotetti ma senza incrementi volumetrici. Infatti, lo stesso Codice civile definisce che non costituiscono sopraelevazione le modifiche interne apportate al sottotetto qualora queste non comportino alterazione della superficie e della volumetria degli spazi interessati e anche l’eventuale costruzione di un’altana sopra la copertura del fabbricato, a patto che essa non privi gli altri condomini del diritto d’uso del bene comune, altrimenti deve considerarsi operazione vietata.

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Guardare il codice

La «bibbia», in termini normativi, è dunque il Codice civile e, in particolare, il già nominato articolo 1127, contenuto nel Libro Terzo (che si intitola non a caso Della proprietà), al Titolo VII (Della comunione) e al Capo II (Del condominio negli edifici). In termini di sopraelevazione la norma assegna il diritto di sopraelevazione al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio, che può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. Nell’ipotesi in cui l’ultimo piano sia diviso in più appartamenti, ciascuno di proprietà separata a più soggetti, ciascuno di essi ha la facoltà di sopraelevare relativamente alla proiezione verticale della sua proprietà utilizzando lo spazio aereo sovrastante. Il diritto a sopraelevare deve essere comunque riconosciuto all’interno del regolamento condominiale e nell’atto di compravendita e deve avvenire nel rispetto dei regolamenti edilizi comunali che disciplinano le nuove costruzioni in termini di distanze, altezze e di compendio urbano, con particolare riferimento all’aspetto architettonico dello stabile, per il quale non deve essere pregiudicato il decoro e lo stile architettonico proprio dell’edificio. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono e i condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica ad esempio l’aspetto architettonico dell’edificio oppure ne diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

Primo, la sicurezza

 In termini realizzativi, anche se vi fosse parere positivo da parte degli altri condomini, un intervento di sopraelevazione non è attuabile se le condizioni statiche dell’edificio non lo consentono. Il divieto va inteso non soltanto se le strutture dell’edificio non consentono di sopportarne il peso, ma anche nel caso in cui le strutture siano tali che, una volta elevata la nuova costruzione, le strutture non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento, quali le sollecitazioni di origine sismica. Si tratta, quindi, sia di un divieto rispetto alla statica dell’edificio, sia alla sua dinamica in caso di eventi sismici e dunque particolare attenzione va posta nella valutazione del rischio sismico e delle strutture che compongono l’edificio. Il divieto è tuttavia superabile se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato a eseguire opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo l’edificio a sopportare il peso della nuova costruzione. Come si può intuire, il tema è complesso e riguarda sia elementi di ingegneria statica e dinamica, ma soprattutto elementi legislativi e norme che comportano oneri per il proprietario, il quale deve in ogni caso corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova costruzione, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare. Queste norme e questi vincoli sono a volte superati o superabili in presenza di un regolamento di condominio specificatamente predisposto dal costruttore ed accettato da tutti i condomini, oppure da successivi contratti stipulati tra tutti i condomini.

Sopraelevazione

 

Diritto comune

 Il Codice Civile assegna dunque il diritto a sopraelevare al proprietario dell’ultimo piano, ma a differenza del vecchio codice non trascura i proprietari degli altri piani. Questo elemento in qualche modo innovativo rappresenta un fattore di sicuro interesse nella definizione delle opportunità che la sopraelevazione consente a chi può esercitare il diritto. È infatti indubbio che in presenza di condizioni statiche di sicurezza e in presenza di norme architettoniche che lo consentono, la sopraelevazione può diventare un piccolo business interessante per un intero condominio, per esempio, se la costruzione in sopraelevazione è definita e ripartita, sia in termini di costi che di ricavi dalla vendita delle nuove superfici, tra tutti i condomini. In ogni caso il Codice stabilisce che chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova costruzione, divisa per il numero dei piani sovrastanti, ivi compreso quello da edificare e detratto il valore della quota a lui spettante sull’area. Dal punto di vista del mercato è evidentemente, in entrambi i casi, un processo winwin, dove (ovviamente in presenza di un accordo e in assenza di contenziosi e di cause ostative), vincono tutti: il proprietario, che può costruire e utilizzare per sé o vendere la nuova porzione edificata, e i condomini, che possono godere di entrate straordinarie generate dalla sopraelevazione.  Come riportato nell’articolo 1127, ultimo comma, tale indennità è pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota lui spettante.

Regole per tutti

È un tema molto più legato ai consulenti a legge consente a chi ne ha facoltà e in presenza di condizioni statiche adeguate di sopraelevare, garantendo agli altri condomini un ritorno economico in termini di indennità compensativa. Il tema della sopraelevazione è dunque un tema soprattutto normativo e regolamentativo, prima che un tema progettuale e realizzativo, un tema in prima istanza molto più legato ai consulenti tecnici in grado di valutare l’incidenza del valore della realizzazione e definire gli accordi conseguenti tra i condomini. Dunque si può sopraelevare ed è conveniente farlo? Dipende. La sopraelevazione non è mai ammessa quando minaccia la stabilità o la sicurezza del fabbricato e il divieto va inteso non soltanto se le strutture dell’edificio non consentono di sopportarne il peso, ma anche nel caso in cui le strutture siano tali che, una volta elevato il nuovo volume, non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica. In questo contesto «il mancato accertamento dell’idoneità statica dell’edificio a sostenere la sopraelevazione impedisce il diritto della sopraelevazione stessa» (Cassazione, sentenza 27008/96). Anche il mancato rispetto delle prescrizioni in materia sismica, di particolari cautele da adottare in ragione delle caratteristiche del territorio in cui si inserisce l’opera, comporta la non legittimità dell’opera. Come si può dedurre, la sopraelevazione, ancorché prevista dalla norma, è un intervento complesso nel caso degli edifici condominiali e in tutti quei casi dove la proprietà di un edificio sia suddivisa tra più proprietari, un tema tutt’altro che semplice, che rende la sopraelevazione un mercato rivolto soprattutto alle aree con scarsa pericolosità sismica, agli edifici monofamiliari o bifamiliari e in generale in quei contesti nei quali i soggetti decisori coinvolti sono pochi o in quei rari casi nei quali la proprietà dell’edificio plurifamiliare sia divisa tra pochi soggetti. Crescere in altezza si può, dunque, ma tra il dire e il fare c’è sicuramente di mezzo l’indennizzare.

(Fiorella Angeli)

Le strategie di Monaco per Cortexa

È Alessandro Monaco, corporate development & planning manager di PPG Univer il nuovo Coordinatore della Commissione Comunicazione del Consorzio Cortexa. Laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica di Milano, Monaco ha un’esperienza pluriennale nel settore del marketing e della comunicazione. 

Domanda. Quali sono a suo avviso i trend di innovazione per il Sistema a Cappotto in Italia per i prossimi anni?
Risposta.
La sensibilità ad un approccio sostenibile verso l’ambiente è in fase di lenta crescita e la consapevolezza che è necessaria un’inversione di marcia rispetto al passato è consolidata. Le organizzazioni e le società sono le prime a comprendere questa tendenza e offrono pacchetti di miglioramento dell’efficienza energetica e di riqualificazione con investimenti diluiti nel tempo, quindi un pubblico sempre maggiore si sta avvicinando ai temi cari al Consorzio Cortexa. Le case in legno rappresentano ancora una piccola nicchia di mercato, ma oggi costituiscono una vera e propria realtà e tendenza per un futuro energetico ed edilizio sostenibile. La sfida è portare alla luce tutti i benefici in termini di benessere nella vita quotidiana del singolo che è garantita solo se la riqualificazione o l’investimento nel Cappotto è realizzato in linea con gli standard qualitativi previsti dal Consorzio Cortexa.
D. Cortexa è impegnata ormai da quasi 10 anni nella diffusione della cultura del Sistema a Cappotto di qualità. Qual è il target privilegiato delle attività di formazione e comunicazione del Consorzio?
E.
In questi dieci anni di attività il Consorzio Cortexa ha svolto un’attività infaticabile e molto preziosa verso il target dei progettisti, geometri, architetti e ingegneri, mentre le imprese di applicazione sono state sensibilizzate attraverso attività di formazione sul territorio poste in essere dalle aziende che costituiscono il Consorzio Cortexa stesso. Oggi è venuto il momento di parlare in modo ancora più incisivo e collaborativo con gli applicatori e le imprese per far percepire loro quanto sia vantaggioso investire in qualità dell’applicazione e della posa.
D. Quali sono a suo parere le leve da utilizzare per una promozione efficace di sistemi e servizi in edilizia finalizzati ad una maggiore efficienza dell’intero processo edile?
R.
In Italia purtroppo viviamo un vuoto istituzionale e culturale del settore edile. Non c’è nessuna scuola e nessuna istituzione che forma, prepara e monitora la qualità del lavoro nel settore della posa e della finitura del cappotto. Come è già successo in altre realtà artigianali, è necessario lavorare in forte sinergia con tutte le organizzazioni del settore per colmare questo vuoto. 

Alessandro Monaco
Alessandro Monaco

D. Quali sono le prospettive per il mercato dell’edilizia? 

R. Ormai da almeno quattro anni assistiamo ad un impoverimento del mercato sia in termini di volumi che in termini di valore. Mancano le risorse e per questo prevale la tendenza ad accontentarsi di una qualità inferiore. Tuttavia il mattone in Italia è un bene rifugio importante e con una forte connotazione valoriale, quindi sebbene il crollo sia stato forte, presumiamo che il peggio sia passato e che si avvicini una stabilità che presuppone una ripartenza nel medio periodo. I primi a cogliere la ripresa saranno coloro che sono rimasti ancorati ad un approccio di qualità concreta ed efficiente subendo meno gli effetti della crisi. 

D. Che aspettative avete in merito alla definizione degli obiettivi di risparmio energetico per il 2030?
R.
Il progresso nel risparmio energetico è ancora lento, quindi per la scadenza del 2030 ritengo saremo in ritardo. Un’iniziativa utile sarebbe quella di rendere più veloce l’accesso alle opportunità di finanziamento che già esistono e troppo spesso non vengono sfruttate o sono indirizzate in modo sbagliato.
D.  Quali saranno nel prossimo futuro le sue priorità come Coordinatore della Commissione Comunicazione del Consorzio?
R.
Il primo importantissimo punto che mi sono prefisso è quello di focalizzare ancora di più all’interno del Consorzio la consapevolezza dell’autorevolezza raggiunta dal Consorzio stesso nel mercato di riferimento grazie al prezioso lavoro svolto in questi anni e quindi supportare l’attività decisionale con dati quantitativi che svolgano il ruolo di guida nelle decisioni strategiche. Vorrei che il comitato si focalizzasse di più sulla funzione Marketing, in modo da indirizzare le attività del comparto tecnico verso azioni con valenza strategica importante. Dal canto mio assumo con piacere e dedizione, facendone una mia priorità, il ruolo di coordinamento della Commissione Comunicazione, coadiuvando i miei colleghi nel perseguire insieme con autentico spirito di squadra e in maniera proattiva gli obiettivi prefissati e nello sviluppare i progetti che il Consorzio porta avanti in termini di diffusione della conoscenza e delle buone pratiche di applicazione del Sistema a Cappotto.