Transizione green: la corsa a ostacoli dell’economia verde

L’Europa è in prima fila per spingere sulla sostenibilità, con gli Stati della Ue impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030. Ma il cammino è irto di ostacoli, a cominciare dal prezzo dell’energia, che si riflette su aziende e cittadini.

Transizione green e aumento del prezzo dei biglietti aerei

La notizia è stata ignorata dai principali quotidiani nazionali, ma non va sottovalutata: per i prossimi anni c’è il rischio di un sostanzioso aumento del prezzo dei biglietti aerei. Certo, il costo del volo è determinato anche dall’andamento del prezzo del petrolio. Ma il problema non è questo: il prezzo di un biglietto aereo rincarerà a prescindere dall’andamento del greggio.

La stangata volante dipenderà, invece, dal costo delle iniziative di riduzione dell’inquinamento introdotte per l’aviazione commerciale. Un danno soprattutto per le compagnie europee, dato che in ambito Ue dovranno essere sempre più utilizzati i Saf, i carburanti «sostenibili» (lo sono fino a un certo punto: le virgolette ci vogliono), che costano di più di quelli abituali a base di cherosene.

Le compagnie aeree di Stati Uniti e Medio Oriente, invece, sono più «fortunate» (anche in questo caso le virgolette servono), perché l’Europa si è data obiettivi più severi per tagliare le emissioni di anidride carbonica rispetto ad altri Paesi. Valutazioni che non sono frutto di fantasie che circolano su Facebook, ma che sono emerse durante l’ultimo Airbus Summit.

Quello dei biglietti aerei è un esempio di come la transizione green rischia di impattare nella vita di cittadini e imprese.

Attenzione: nessuno dice che non sia necessario ridurre l’inquinamento o, meglio, azzerarlo e transitare verso un’economia sostenibile. Perché più che un obiettivo, la svolta green è una necessità per evitare il consumo estremo di risorse naturali e la spirale irreversibile del cambiamento climatico. Quindi avanti con il verde, anche in edilizia. Allo stesso tempo, però, bisogna essere consci di che cosa comporta la transizione.

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Quanto costa la transizione green?

Uno studio della Stanford University ha stimato il costo mondiale per la transizione energetica green 100% con le rinnovabili attorno ai 73 mila miliardi di dollari entro il 2050. E se non avete idea a che cosa corrisponda quella cifra, pensate che l’intero Pil italiano (dato 2019) è di soli 2 mila miliardi di euro.

C’è, poi, il pacchetto clima Fit-for-55, varato dalla Commissione Ue lo scorso luglio. Gli Stati si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990: insomma, una svolta dietro l’angolo. Ma per l’Italia quale sarà il conto per questa iniezione di sostenibilità?

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Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

«Chiediamo al Consiglio Europeo che non tutto ciò che contiene la proposta della Commissione sia preso per oro colato», ha messo le mani avanti il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. «Il costo della transizione energetica per l’Italia potrebbe superare i 650 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Per quanto importanti siano i fondi che il Pnrr dedica alla transizione energetica, sono solo il 6% del totale necessario. Quasi il 94% lo devono investire le imprese. Ma se al contempo devono fronteggiare gli spiazzamenti tecnologici e di produzione, tutto diventa difficilmente realizzabile». 

E anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, dopo aver lanciato un appello all’assemblea dell’Onu per accelerare la conversione green, ha puntualizzato: «La transizione ecologica non è una scelta, ma una necessità. Dobbiamo prendere misure ambiziose per ridurre le emissioni e contenere l’aumento della temperatura. Ma dobbiamo tenere conto della capacità di riconversione delle nostre strutture produttive. Lo Stato deve fare la sua parte nell’aiutare cittadini e imprese a sostenere i costi di questa trasformazio- ne».

Insomma, le imprese e i cittadini si preparino a sobbarcarsi dei costi in più. Lo Stato darà una mano, ma l’altra la devono mettere le aziende e i loro clienti. Le aziende, dalla produzione alla distribuzione, faranno bene a tenerne conto.

D’altra parte, che un’economia verde sia costosa lo ha ribadito lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: «La sostenibilità, la difesa dell’ambiente, hanno un costo ed è anche molto alto, perché dobbiamo mettere su tecnologie molto impegnative e infrastrutture nuove», ha ammesso.

Quanti soldi per il Green Deal

Il Green Deal lanciato dalla Commissione europea con l’obiettivo di decarbonizzare l’economia senza dover rinunciare a crescita e innovazione, migliorando sensibilmente la qualità della nostra vita, comporta un piano investimenti da più di mille miliardi di euro in dieci anni.

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Come cambierà il consumo di energia nella UE

E non bisogna pensare che questa montagna di soldi si crei dal nulla. Circa la metà, certo, sarà frutto dell’emissione di eurobbligazioni, per ora non più un tabù. Ma anche i singoli Paesi dovranno inevitabilmente contribuire (tradotto: tasse).

In particolare, il piano prevede un contributo Ue di 500 miliardi, di cui 100 sono calcolati come necessari per sostenere chi perderà il lavoro durante la transizione green. Eh, già, perché passare dal diesel all’elettrico, oppure dalle centrali a gas agli impianti di accumulazione per le rinnovabili, significherà anche tagliare un sacco di posti di lavoro.

Tanto per fare un esempio, in Europa nel 2015 erano ancora attive 128 miniere di carbone, che davano lavoro a 238 mila persone. Saranno tutte chiuse.

Per non parlare del settore automobilistico: dopo il caso della Gkn di Campi Bisenzio, multinazionale che ha deciso di mandare a casa 422 dipendenti (produce semiassi), è a rischio la Vitesco, azienda tedesca che fabbrica iniettori per motori termici. Per lo stabilimento di Pisa ha annunciato 750 esuberi a partire dal 2024, legati alla decisione di uscire dal comparto della combustione. Sono le prime vittime delle automobili elettriche. 

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Intendiamoci, l’energia green, l’economia circolare e la sostenibilità creeranno anche nuovi posti di lavoro: Stanford University ha calcolato in 29 milioni le posizioni che si apriranno nel mondo. Tutto da vedere, però, se i nuovi posti equivarranno a quelli persi.

Transizione green e industria

Ma, naturalmente, la transizione green coinvolge anche il settore della distribuzione e dell’edilizia. Di che cosa comporta un utilizzo dell’energia più sostenibile, a proposito dell’industria della ceramica: la transizione aumenterà ulteriormente il costo dei certificati legati alle emissioni di CO2 (gli Ets, i titoli che permettono di produrre una tonnellata equivalente di CO2). Questi certificati, necessari per le aziende energivore, sono arrivati a quota 60 euro, contro i 24 euro del 2020.

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Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea 

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, d’altra parte, ha appena ribadito che per affrontare il cambiamento climatico è necessario imporre «un prezzo all’inquinamento».

Ma, secondo, Confindustria Ceramica, gli extra costi per acquistare le emissioni di carbonio si mangeranno il 18% dell’utile del settore. Favorendo i concorrenti asiatici (tradotto: cinesi) che non devono pagare l’energia a così caro prezzo, anche perché la maggior parte delle centrali elettriche in Cina funzionano a carbone.

Insomma, si rischia di abbassare le emissioni di CO2 in Europa per alzarle in Asia. Purtroppo, però, l’atmosfera terrestre non conosce i confini politici e il danno sarà globale.

I prezzi dell’energia frenano le economie green

I prezzi dell’energia saliti alle stelle spingono anche un paradosso: frenano le economie green. Come nel caso di Aquafil, azienda di Arco in Trentino, che ha puntato tutto sull’economia circolare.

Con un innovativo processo chimico, la depolimerizzazione, l’azienda in uno stabilimento in Slovenia riesce a recuperare il Nylon 6 dalle vecchie moquette o altri scarti di plastica. Un’attività importante, che si inserisce nella filiera della riqualificazione edilizia. Il nylon riciclato è poi acquistato da marchi come Adidas e Prada.

Che l’attività sia green non c’è dubbio: il riciclo evita fino al 90% delle emissioni nocive provocate dalla produzione di nylon basata sul petrolio. Ma, naturalmente, l’attività di riconversione del materiale comporta consumo energetico. E il costo salito alle stelle degli Ets, oltre all’aumento del costo dell’elettricità, rendono la tecnologia di Aquafil non più economicamente conveniente.

Quella che si delinea, insomma, è una transizione complicata e, soprattutto, condizionata dal costo dell’energia. Serve l’elettricità, infatti, per un’economia green. Ma la maggior parte dell’elettricità è prodotta con fonti non rinnovabili.

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Le fonti di energia elettrica nel 2050

Non solo: le diverse filiere industriali devono fare i conti anche con la mancanza delle materie prime, come litio, cobalto e nickel necessari per le batterie della auto elettriche, oppure il silicio per i pannelli solari, alluminio, acciaio, rame, terre rare, fino allo stagno per saldare i circuiti. Elementi che hanno subito rincari considerati insostenibili. E la crescente richiesta dovuta alla transizione green minaccia di alzare il costo di queste materie ancora di più.

Per molti è stato un brusco risveglio: il costo di batterie, impianti eolici e fotovoltaici, infatti, è diminuito per un decennio. Fino a ora: il 2021 segna aumenti a doppia cifra. Il centro di ricerca Rystad Energy, per esempio, stima che il prezzo dei pannelli solari sia già cresciuto del 16%: realizzare un nuovo impianto oggi viene a costare il 12% in più.

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La percentuale di possibile elettrificazione per le industrie

Per l’eolico, la musica è analoga: un altro centro di ricerca specializzato, Wood Mackenzie, vede rincari attorno al 10% per le turbine nei prossimi 12-18 mesi. Costi che costringono i grandi produttori di turbine, come Siemens Gamesa, Vestas e General Electric, ad aumentare i prezzi. 

Morale: la transizione green è considerata, giustamente, sempre più necessaria, come testimoniano i disastri climatici. Ma non è per nulla facile. E rischia di essere compromessa, o perlomeno rallentata, proprio nel momento in cui il consenso verso un’economia circolare è quasi unanime. Quasi. Perché se il green peserà troppo sulle tasche di imprese e cittadini, le voci di dissenso saranno sempre di più.

Prezzi energia ed eolico: se il vento scende, la bolletta sale

Tra le difficoltà nella transizione ecologica ce n’è una che nessuno aveva previsto: la bonaccia. Cioè l’assenza di vento. Prolungata.

È quello che è accaduto nei mesi scorsi nel Nord Europa, quando una lunga latitanza di refoli e correnti ha spento le turbine che servono a produrre energia eolica. Non si è trattato di un piccolo incidente di percorso: proprio l’assenza di vento, secondo gli analisti, è tra le cause dell’aumento del prezzo dell’energia, con il petrolio tornato sopra i 70 dollari e il prezzo del gas ai massimi.

La ripresa delle attività economiche post pandemia, ha fatto il resto: cittadini, famiglie, e imprese si trovano ora a pagare in bolletta anche i capricci del meteo.

I prezzi di benzina super e gasolio sono così saliti ai massimi degli ultimi 14 anni, con il governo che in tutta fretta ha messo una pezza con la sterilizzazione di una parte degli aumenti previsti in bolletta dal primo ottobre per elettricità e gas naturale.

Ma, attenzione: oltre ad attenuare l’aspetto fiscale i governi non possono fare nulla se il prezzo del greggio o del gas cresce.

La truffa del riciclo dei pannelli fotovoltaici

La transizione verso un’economia circolare, inevitabilmente, inciampa anche in ostacoli che non sono dettati da difficoltà tecniche. Bisogna mettere in conto, purtroppo, anche delle truffe. Come quella messa in luce dall’agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che ha acceso un faro sul traffico illecito di pannelli fotovoltaici giunti a fine vita.

Un pannello, infatti, non è per sempre come un diamante, ma con il tempo perde la capacità di trasformare la luce del sole in energia. In qualche caso, però, i pannelli esausti sono illecitamente rimessi sul mercato semplicemente come materiali usati (e qualche volta nuovi) per evitare gli alti costi di smaltimento di rifiuti: sono rivenduti soprattutto a Paesi del Terzo Mondo.

Il giro  d’affari truffaldino ammonterebbe a qualche centinaia di milioni di euro, a danno dei fondi europei per la sostenibilità dei Paesi più poveri. E, secondo le indagini, c’entrano anche il superbonus 110% e il Recovery fund, dato che il 37% degli investimenti dovrà essere green.

Incentivi e obiettivi hanno alimentato la corsa a nuovi pannelli fotovoltaici, che spinge la dismissione di impianti ormai giunti al termine della loro capacità produttiva.

Tra il 2029 e il 2032 i moduli da dismettere saranno qualcosa come 83 milioni, di cui almeno 75 milioni non coperti dalla cosiddetta garanzia di fine vita, perché installati prima dell’introduzione dell’ecobonus a carico del produttore.

Rifiuti da catalogare come Raee (come gli elettrodomestici), e che sono piuttosto costosi da smaltire, a meno di rifilarli a qualche Paese africano. Il tutto equivale a un business da oltre 20 miliardi di euro l’anno, spalmati su una filiera che va dal produttore, al proprietario, all’operatore logistico, fino a un nuovo impianto di destinazione.

Trasporti, il punto debole del green

Prodotti sostenibili. Materiali green. Edifici che non consumano. E, come ciliegina sulla torta, che tutto sia riciclabile. Si chiama economia circolare ed è quanto chiedono i consumatori italiani, e più in generale, di tutti i Paesi più evoluti.

In molti casi le aziende produttrici sono riuscite anche ad avvicinarsi a questi obiettivi, basti pensare, nell’edilizia, agli edifici con certificazioni di basso o addirittura nessun consumo di energia. Tutto bene? Non troppo. Perché per calcolare il reale impatto green manca un tassello: il consumo di energia relativo al trasporto.

Insomma, se per patate e mele il chilometro zero è (anche se solo in parte) un parametro perseguibile, almeno in parte, non esiste quasi mai una fabbrica dietro casa che produce viti, pannelli di Eps o mattoni. Insomma, la logistica ha un costo e anche un impatto.

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Basta osservare i dati ufficiali (del Gse, il Gestore servizi energetici), secondo cui nel 2019 i consumi di energia nel settore dei trasporti in Italia sono ammontati a 39,8 Mtep, un valore pari al 34,5% dei consumi energetici complessivi del Paese. Un tep, per intenderci, equivale a una quantità di energia rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo.

I Mtep consumati tra autocarri, automobili e aerei si traducono quindi in 39,8 milioni di tonnellate di petrolio grezzo utilizzati: la maggior parte dei consumi è costituita da prodotti petroliferi (91% del totale) e in particolare dal diesel (54%), utilizzato in misura quasi tripla rispetto alla benzina. Le altre fonti (biocarburanti, elettricità, gas) si attestano invece intorno al 3%. Tra le modalità di trasporto, in dettaglio, i consumi maggiori sono quelli su strada (83% del totale), seguiti da quelli degli aerei (poco più del 12%). 

Dunque, il trasporto è un difficile gradino da superare quando si parla di green, a meno di non tornare a costruire capanne di paglia. Ammesso di avere a disposizione la paglia, oltretutto. La soluzione? Non c’è. A meno di non invocare un perenne lockdown.

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Fabienne Cetre, sales director di Manhattan Associates

Oppure, come suggerisce Fabienne Cetre, sales director di Manhattan Associates, una società di consulenza americana specializzata nel settore della distribuzione, di «realizzare soluzioni logistiche che siano esse stesse innovative. Queste soluzioni non devono limitarsi a ridurre l’impronta ecologica relativa alla parte a monte del trasporto (quella cioè che i clienti non vedono tra i fornitori e il magazzino) e alla parte a valle (la consegna), ma offrire anche diverse soluzioni che, in ultima analisi, promuovano azioni più sostenibili e attente all’ambiente sia da parte loro che lato cliente».

Sempre secondo la manager, «le soluzioni più innovative possono creare nuove sfide: portano a reti di trasporti più frammentate di quanto i corrieri siano abituati a gestire, per non parlare della moltiplicazione dei punti di raccolta, l’imprevedibilità degli ordini di consegna e l’aumento del flusso degli ordini, tutte cose che rendono più difficile gestire i trasporti in modo responsabile per l’ambiente e controllare i costi al tempo stesso». 

Le conclusioni di Manhattan Associates, insomma, sono che per l’economia circolare esiste il rischio di produrre l’effetto opposto rispetto al problema che vorrebbe risolvere. E, per evitare che ciò accada, bisogna poter contare su una rete di consegne molto più dinamica e capace di massimizzare le opportunità di consolidamento grazie all’uso di mezzi di trasporto più smart e più ecologici, promuovendo collaborazioni con start-up della delivery e innovatori del settore, e offrendo strumenti di ottimizzazione capaci di tener conto di tutti questi fattori. Che questo sia facile in Italia, però, è tutto un altro discorso.

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