Banche italiane: luci e ombre degli istituti di credito, tra impieghi al top e bad bank

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La situazione è questa: la Bce da un anno presta soldi alle banche europee in cambio di obbligazioni, sia dello Stato che di aziende private, comprese quelle delle banche. Il risultato è che gli istituti di credito, anche quelli italiani, hanno a disposizione un sacco di liquidità. Eppure, i finanziamenti a famiglie e imprese nel 2015 non sono aumentati (-0,03% anno su anno secondo il rapporto Abi di dicembre). Deduzione comune: i perfidi banchieri si tengono stretti i soldi che ricevono a interessi quasi zero, mentre le imprese restano alla finestra e l’economia langue.

Ma purtroppo, o per fortuna, non è esattamente così. In Italia il peso degli impieghi delle banche sull’attivo totale resta molto superiore alla media europea (55% contro 46%, fonte Bce). Insomma, le banche in Italia prestano più soldi rispetto a quello che fanno gli istituti degli altri Paesi della Ue. Sorpresi? D’accordo, difendere la categoria davanti a imprese o semplici cittadini è provocatorio come accendere un cero a San Fisco, ma capire che cosa succede è necessario.

Il problema è però un altro: dato che le banche hanno concesso una maggiore quantità di finanziamenti, sono anche più esposte al vento dell’economia reale. E questo è il vero motivo per cui molte banche si sono trovate nella bufera e ci sono circa 200 miliardi di crediti dubbi o inesegibili nelle cassaforti degli istituti. Ed è la ragione per cui si è invocata una bad bank.

Sempre questo è in buona parte il motivo che ha scosso Popolare di Vicenza e Veneto Banca, Monte Paschi a Carige, fino alle quattro banche dell’Ave Maria cancellate e fatte rinascere con un provvedimento del governo (Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti). Certo, ci sono anche i banchieri che gestiscono male le proprie aziende, con favori e personalismi, come avviene in tutti i settori dell’economia. Ma sono gli effetti della crisi dell’industria e dell’edilizia in Italia che hanno inciso sui patrimoni delle banche in modo più forte che in altri Paesi.

La montagna di crediti deteriorati, i cosiddetti non performing loans, ha così reso più costoso per le banche italiane adeguarsi alle richieste di rafforzamento del capitale giunte dal meccanismo europeo di vigilanza unica e molti pensano che gli istituti dovranno chiedere altri soldi ai soci. Ma se, secondo Standard And Poor’s, la mole dei non performing loans è attorno al 20% dei prestiti e un finanziamento su cinque non viene restituito.

Siamo sicuri che sia tutta colpa dei banchieri?

(Federico Mombarone)

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