La schiavitù moderna si annida nell’edilizia?

L’edilizia mondiale deve affrontare un grosso rischio globale: la schiavitù moderna. È infatti nel settore delle costruzioni che si annida il pericolo dello sfruttamento. È la conclusione del rapporto “Hidden in Plain” redatto da LexisNexis dopo l’analisi di oltre 6000 articoli sul tema di oltre 100 Paesi di tutti e cinque i continenti.  Sotto a lente l’industria dell’edilizia e la sua supply chain: manodopera  forzata e a basso salario e alte forme di sfruttamento nascono, e si sviluppano, in quelle zone d’ombra ancora inevitabili causa una prevenzione che continua ad essere insufficiente, così come l’azione di polizia e il perseguimento legale di tali reati.

A tal proposito, il governo britannico si è mosso: il nuovo premier Theresa May – che ha sostituito al 10 di Downing Street David Cameron, dimessosi dopo la vittoria del “Leave” al Referendum sulla permanenza nell’Ue – ha varato un piano di 33 milioni di sterline per prevenire le derive d’illegalità nel settore e implementare la lotta a tutela dei diritti umani contro povertà e ingiustizia. Uno sforzo meritevole  e nobile, che deve però essere replicato ad altre coordinate geografiche, in quanto  l’industria delle costruzioni rappresenta, circa, il 75 delle forza lavoro mondiale. Mark Dunn, direttore del LexisNexis Business Insights Solutions, lancia il suo appello alla politica lato sensu, invocando che il tema entri nelle agende di governo così da poter essere affrontato più efficacemente in concertazione con gli organismi internazionali, i gruppi industriali, le imprese di costruzione, la società civile e gli stessi mass media.

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Schiavitù ed edilizia

L’esempio più tristemente lampante di questa tratta di esseri umani è la forza lavoro reclutata e impiegata in massa nei lavori per la costruzioni delle infrastrutture per i Mondiali di calcio in Qatar (2022), dove sono all’opera all’incirca 1,4 milioni di immiganti. È stato il The Guardian (circa due anni fa) a condurre un’inchiesta sullo sfruttamento insieme ad Amnesty International, forte dei dati del Nepalese foreign employment promotion board, che parlava di un vero e proprio massacro: 157 operai morti tra gennaio e novembre 2014, circa uno ogni due giorni. Nepalesi, indiani, cingalesi e bengalesi prima reclutati e trattati come bestiame, con le autorità locali che fanno finta di non vedere.

Tornando a pié pari in Gran Bretagna, l’United Kingdom Home Office ha stimato che nel 2014 gli “schiavi moderni” erano 10-13mila. Mentre secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (nel 2012) erano più di 20 milioni le persone ridotte a lavoro forzato, mentre la Free Walk Foundation aggiorna i dati al 2016 e alza drammaticamente la stima, parlando di 45,8 milioni di vittime.

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